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Zero In Condotta di Jean Vigo

Zero In Condotta, titolo originale Zèro De Conduite, è un film del 1933, terza delle quattro opere del geniale regista francese Jean Vigo.

Vigo girò Zero In Condotta dopo il corto documentaristico Taris o del nuoto (La natation par Jean Taris, champion de France o Taris, roi de l’eau) e prima de L’Atalante, (1934) lungometraggio che molto si avvicina all’amore per il cinema più che al cinema stesso, all’epoca un’entità ancora in evoluzione.

E il cinema è tale anche in Zero In Condotta: è evidente che sia un film degli albori della settima arte. Il cinema era allora trentottenne, troppo giovane per essere adulto, troppo vecchio per essere un ragazzo.

Il cinema stava maturando, ma Jean Vigo era già proiettato nel futuro.

zero in condotta

Jean Vigo, poeta maledetto della pellicola 

Jean Vigo morì all’età di 29 anni a causa della tubercolosi (malattia che lo affliggeva fin da bambino), ebbe giusto il tempo di vedere il suo canto del cigno, L’Atalante, proiettato in sala, sfregiato dai tagli della censura e con un titolo diverso.

Solo nel 1940 il film assunse il titolo voluto dal regista, ovvero quello con cui oggi conosciamo il film.

Un po’ per la breve durata della sua esistenza, ma soprattutto per l’accostamento da parte della critica ad autori come Rimbaud e Cèline, Vigo fu una sorta di poeta maledetto. In effetti i suoi film altro non sono che poesia in immagine.

Il pubblico non vide Zero In Condotta fino al 1945. La censura ne aveva ridotto drasticamente la durata, già breve di per sé (è infatti un mediometraggio di tre quarti d’ora), e lo etichettò come propaganda antifrancese.

Vigo era figlio di due anarchici, uno spirito libero nato da due simili, in un contesto assai rigido.

Il padre, che di professione era fotografo e giornalista subì più volte l’arresto e assunse lo pseudonimo Miguel Almereyda, anagramma di cui la traduzione non è certo misteriosa, come forma di protesta e per indicare che la società francese di inizio Novecento non era governata dalla giustizia necessaria- emblematico l’utilizzo della frase nel film.

Antimilitarista e socialista, Almereyda fu ucciso in carcere per motivi politici, anche se il caso venne archiviato come suicidio.

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Jean Vigo non ebbe dunque un’infanzia facile, era inoltre molto timido e ciò non lo aiutò nei rapporti con gli altri, aveva pochissimi amici e il cinema costituì per lui un vero e proprio rifugio.

Dopo il liceo frequentò i corsi di filosofia della Sorbonne, che dovette però lasciare per motivi di salute: la tubercolosi lo condizionava nuovamente.

Jean Vigo, spirito libero

Nel sanatorio, luogo incredibilmente infelice, incontrò però la sua futura moglie, che amava alla follia, come è evidente anche dalla sua ultima opera; i due si trasferirono a Parigi e conobbero intellettuali molto influenti- sono gli anni in cui Ernest Hemingway ambientò Festa Mobile– tra cui la prima regista donna della storia del cinema: Germaine Dulac, che aiutò il giovane.

Con i soldi ricevuti per il matrimonio Jean Vigo e la moglie acquistarono una cinepresa Debrie, con cui Vigo lavorò alle prime due opere, A proposito di Nizza e il già citato Taris.

I giudizi stroncarono A proposito di Nizza ed anche il pubblico lo contestò non poco. Rimase pochissimo nei cinema: era una critica alla società alto-borghese in vacanza. Questa categoria infatti fu letteralmente messa a nudo (impensabile negli anni ’30) e posta in contrapposizione alla fascia popolare che viveva nella più assoluta miseria.

Tutto ciò ovviamente non aiutò Vigo economicamente, egli infatti, costretto dal disagio, dovette addirittura vendere la sua Debrie: un incontro fortunato con un ricco uomo d’affari che ci aveva visto bene cambiò però le sorti del regista, iniziarono così le riprese di Zero in condotta.

Trama

Una volta terminate le vacanze estive i bambini di un collegio rientrano in quel luogo angusto dove gli adulti, rigidi ed insensibili, danno loro punizioni esemplari e spengono ogni barlume di creatività nei bambini. Tre di loro (a cui si unirà poi un quarto), irrequieti ed intelligenti, vanno puntualmente incontro a delle punizioni: uno zero in condotta e l’impossibilità di uscire la domenica.

Decidono un giorno di ribellarsi e, con l’aiuto di un nuovo sorvegliante, Huguet (Jean Dasté), mettono in atto una rivolta che inizia in refettorio e termina a colpi di cuscino. In questa lotta contro l’ordine costituito sono i piccoli ad avere la meglio e nel finale del film, liberatorio, surrealistico e metaforico, i bambini salgono sui tetti.

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Zero In Condotta: recensione

È evidente che Zero In Condotta sia frutto dell’infanzia ed adolescenza di Vigo: l’occhio del regista è quello di un bambino, un monello che si nasconde, sfugge, osserva, architetta.

Un bambino troppo intelligente per rimanere incatenato ai dettami degli adulti ottusi.

È l’occhio di un rivoluzionario che per anni era stato costretto a letto, per motivi di salute, che aveva vissuto nei sanatori e nei collegi, tanto è vero il legame del cineasta con quest’ultimo luogo che mentre si guarda il film pare di sentirne perfino l’odore.

Jean Vigo, sempre a causa della sua fragile salute, fu costretto a girare alcune scene sdraiato per terra: queste sequenze non fanno che accrescere la veridicità della pellicola, ecco il bambino nascosto che si palesa.

L’incredibile modernità

La modernità di Jean Vigo è impressionante: una scena in particolare è intimamente collegata ad una pellicola di circa cinquant’anni dopo.

Si tratta del momento in cui i bambini vengono svegliati brutalmente per l’ispezione: inquadratura fissa, prospettiva centrale, ai lati della scena i lettini in fila, entra un uomo vestito con giacca e cravatta, in testa un cappello a falde larghe, ogni bambino si mette sull’attenti in piedi sulla propria branda. 

Sembra il sergente Hartman di Full Metal Jacket, che qui al posto di Leonard rimprovera Bruel, Caussat e Colin: l’atteggiamento militaristico è uguale (e questo non fa certo scalpore), ma ciò che rapisce è l’immagine, talmente ben costruita da essere presente, in modo quasi simmetrico, in uno dei film di quello che forse è stato il più geniale tra tutti i cineasti, Stanley Kubrick.

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È interessante il fatto che i tre bambini appena puniti, nella scena successiva, ambientata non più nel dormitorio ma all’aperto, si muovano a rallentatore e bassi sulle ginocchia, proprio come i soldati di Full Metal Jacket in Vietnam.

L’importanza della fotografia

La bellezza dell’immagine permea la pellicola di Vigo in ogni suo momento, non c’è una singola scena in cui la luce non sia perfetta, i fotogrammi hanno evidenti influenze provenienti dalle avanguardie artistiche ma anticipano non solo la filmografia successiva (dello stesso Vigo e non solo) ma perfino la fotografia.

Emblematica la scena iniziale in treno, con un soggetto addormentato: ricorda moltissimo la celebre foto di Henri Cartier- Bresson, scattata nel 1975 ad una coppia su un treno per la Romania.

In generale nel film di Vigo il legame con il fotografo francese è lampante, dallo sguardo di entrambi emerge infinita maestria ed un modo di vedere il mondo delicato, raro, commovente.

Jean Vigo, con alcune scene in cui i ragazzini camminano in quella che diventa una parata e con la presenza di Jean Dastè anticipa il suo capolavoro, L’Atalante. Esso è certamente più noto e più completo di Zero In Condotta che, pur essendo un mediometraggio, è esempio di estrema eleganza registica ed assoluta modernità.

Il legame con i posteri

Legato per temi a Les 400 Coups e, in parte, a tutta la Nouvelle Vague, trova un corrispettivo significativo anche in un altro film francese, del 1995, L’Odio di Mathieu Kassovitz: sono sempre tre giovani contro lo status quo, in fondo, contro un mondo che non riserva loro la giusta attenzione e che li gestisce come un problema invece di rapportarsi.

Nasce inoltre spontaneo, per gli elementi onirici, surrealistici e legati all’universo circense il collegamento con il cinema di Federico Fellini, in particolare con la scena finale di 8½.

Zero In Condotta è una perla, ormai antica, del cinema, una pellicola che nessun cinefilo può permettersi di perdere, al suo interno c’è bellezza e soprattutto tanta anima.

zero in condotta

PANORAMICA RECENSIONE

Regia
Soggetto e Sceneggiatura
Interpretazioni
Emozioni

SOMMARIO

La bellezza dell’immagine permea la pellicola di Vigo in ogni suo momento, non c’è una singola scena in cui la luce non sia perfetta, i fotogrammi hanno evidenti influenze provenienti dalle avanguardie artistiche ma anticipano non solo la filmografia successiva (dello stesso Vigo e non solo) ma perfino la fotografia. [...] Zero In Condotta è una perla, ormai antica, del cinema, una pellicola che nessun cinefilo può permettersi di perdere, al suo interno c’è bellezza e soprattutto tanta anima.
Redazione
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