Waves è un’opera scritta e diretta dal regista statunitense Trey Edward Shults, più precisamente, il suo terzo lungometraggio, dopo Krisha (2015) e It comes at night (2017). Il film è del 2019, arrivato in Italia solo nel 2020, è prodotto dalla casa A24, già conosciuta per il premio oscar Moonlight e la recente serie tv Euphoria, oltre ad altre notevoli opere come The killing of a sacred dear (Il sacrificio del cervo sacro) di Lanthimos.
In Italia il film è distribuito con il nome Waves – Le onde della vita, molto probabilmente per una scelta quasi prettamente commerciale, ricordandoci i più tradizionali teen drama o i facili drammi sentimentali. In Waves, certamente le problematiche adolescenziali e i drammi familiari sono il centro fondamentale della vicenda, ma non lasciati al caso e con grande delicatezza visiva. La storia, gli elementi e gli avvenimenti, non portano effettivamente con sé enormi novità, ma ciò che stupisce è l’attenzione alla costruzione della storia da parte del regista, dal punto di vista narrativo, ma maggiormente dal punto di vista visivo. In Shults, le immagini assumono più importanza nel veicolare l’emozione, piuttosto che le parole, portando il racconto su un piano più espressionista.
In Waves, non vi è una struttura prettamente lineare nelle vicende, bensì si tratta, soprattutto nella fase iniziale, di avvenimenti che rimbalzano avanti e indietro nel tempo. Protagonisti sono i membri di una famiglia afro-americana, economicamente benestante e a primo impatto molto stabile. Una stabilità dalla quale emergono fragilità pronte a rompersi e precipitare. L’emotività e i sentimentalismi caratteristica delle immagini e soprattutto delle riprese di Shults, sono supportati da una grande interpretazione dei personaggi da parte degli attori. I movimenti della videocamera in Waves, non sono solo funzionali, bensì creano nello spettatore delle sensazioni, vi è un utilizzo del movimento in maniera immersiva ed emotiva.
Tyler, Kelvin Harrison Jr, è un ragazzo adolescente, che vive in Florida con la famiglia e che ha scelto di tentare di perseguire la carriera come lottatore di wrestling, per la quale il padre, Sterling K Brown, gli fornisce grande sostegno, non senza pressioni. Ronald, il padre, cerca di mantenere una stabilità nel nucleo familiare, il quale emerge poi essere stato colpito in passato da un lutto difficile, pronto a riemergere nei momenti più difficoltosi.
Ciò che porta a una pressione psicologica e a una conseguente esplosione del personaggio di Tyler però, è l’accumularsi di un susseguirsi di eventi, a partire dalle complicazioni sulla sua possibile carriera, a causa di una frattura alla spalla, nascosta alla famiglia probabilmente per paura di una delusione del padre. La relazione con la fidanzata Alexis, Alexa Demie, ancora nel pieno dell’euforia iniziale dell’amore, che a causa di una possibile gravidanza, sfocia in tutt’altro. Gran parte delle complicanze psicologiche di Tyler però, risiedono in quella che è una pseudo-incosciente, ma forte, pressione del padre.
Un’attenzione talmente focalizzata, che finisce in un certo senso per trascurare la figlia Emily, interpretata eccezionalmente da Taylor Russell. In conseguenza alla degenerazione del personaggio di Tyler, che porta l’intera famiglia in una difficile e stringente condizione, il film si concentra sulla figura di Emily. Con quest’ultimo cambiamento di rotta, dove la sorella diviene protagonista, cambiano i ritmi e le sensazioni generali che accompagnano lo spettatore in questo viaggio emotivo. Il mood generale si adatta al carattere di Emily, molto più introverso, pacato, delicato. L’introspezione della ragazza sfocia e trova il proprio nido di liberazione nella relazione con Luke, Lucas Hedges, un ragazzo del liceo, che come il fratello pratica il wrestling, per questo già visto come rivale dello stesso in una delle scene precedenti. Le analogie che Shults crea tra la relazione di Emily e quella precedente del fratello Tyler con Alexis sono leggermente preoccupanti, ma spostano il discorso di riflessione prettamente sulla concezione dell’amore in quanto tale. Sentimento, che declinato in diverse situazioni, risulta essere uno dei più complessi e articolati, stimolo e motore di altri sentimentalismi ed emozioni, protese verso scelte e azioni offuscate e compromesse. Non per niente, nella potente colonna sonora del film, proprio poco prima della scena chiave che cambierà le sorti della famiglia, sentiamo le parole della grande Amy Winehouse: “love is a losing game”.
Come già citato, Shults fa della narrazione visiva una prerogativa di Waves, dove i colori vividi raccontano più delle parole. La descrizione di un’emozione è la risultante dell’immagine e del sonoro, avvicinandosi spesso alle nuove forme di produzione contemporanee, contemplando i social media e le formule del videoclip in maniera direttissima. Possiamo ritrovare diversi riferimenti ad altre opere, per esempio lo stesso Moonlight (2016), in diverse scene, ma anche ai colori e alle composizioni visive di Gaspar Noé, oppure in alcuni momenti i colori narrativi di Nicolas Winding Refn. Basti pensare all’immagine di Emily con Luke nella doccia, che subito ci fa tornare alla mente la nostalgica figura del grande lavoro di Noé, Love.
Non ancora citata la figura della madre nella famiglia, Renée Elise Goldsberry, perno nascosto e spugna che assorbe le conseguenze delle principali problematiche, fino a riversarsi in uno sfogo particolarmente difficoltoso. Inoltre, di grande attualità la problematica riguardante i social media, che Emily subisce in silenzio, come conseguenza del tragico avvenimento causato dal fratello. Waves racconta l’amore nelle sue più disparate forme, ma non solo. Parla di tutte le interconnessioni e conseguenze dei sentimenti, delle difficili fragilità nascoste e di come si radicano diversamente in ogni soggettività.