Dall’1 all’11 settembre si è tenuta la settantottesima edizione della Mostra del Cinema di Venezia (Venezia 78), edizione che si è distinta per aver saputo reagire alla situazione di crisi che negli ultimi due anni ha colpito (anche) il mercato cinematografico.
L’aumento di affluenza rispetto al 2020 e la qualità dei film presentati hanno fatto sì che questa edizione della mostra rappresentasse un momento di rinascita per il mondo del cinema. Quella di quest’anno è stata una mostra che ha saputo mostrare la forza di un cinema non solo hollywoodiano, ma anche internazionale, europeo e non solo. In particolare, questa grande varietà – non solo di nazionalità, ma anche di generi – ha rivelato uno spaccato della condizione del cinema in generale.
È emersa una tendenza generale a guardare al passato, attraverso film ambientati in epoche passate precise e contestualizzate, ma la cui distanza temporale rispetto ad oggi non ha impedito a queste opere di parlare del nostro presente. Anzi, attraverso questo sguardo sul passato, questa edizione della mostra ha saputo parlare anche e soprattutto del mondo di oggi.
Venezia 78: la condizione della donna
Uno degli argomenti di cui si è parlato è stata la condizione della donna, a partire dal film vincitore del Leone d’Oro, L’événement di Audrey Diwan. Questo film racconta la storia di una ragazza che nella Francia degli anni sessanta resta incinta e decide, nonostante la legge lo vieti, di abortire. Impossibile non pensare a questa storia, ambientata più di cinquant’anni fa, in relazione al mondo di oggi, in particolare per il modo in cui racconta il percorso di questa ragazza: la sua determinazione e le difficoltà che incontra nel suo cammino verso l’autodeterminazione, ricordano la situazione che ancora oggi molte donne vivono in giro per il mondo.
Quella sul diritto all’aborto è una battaglia che ancora oggi continua (le recenti leggi approvate in Texas lo testimoniano) e che si intreccia con le lotte per la parità di genere. La vittoria di Audrey Diwan, assolutamente meritata per le qualità artistiche del suo film, dimostra che negli ultimi anni l’industria cinematografica si è aperta a un numero di registe donne decisamente maggiore rispetto al passato.
Come L’événement, anche The last duel di Ridley Scott, di genere e ambizioni completamente diverse, racconta la storia di una donna ambientata nel passato, un passato ben più lontano degli anni sessanta: la Francia del XIV secolo.
La pellicola di Scott tratta un tema ancora più attuale de L’événement, il pregiudizio che la società nutre nei confronti di una donna che denuncia uno stupro. Quanto accade nel film di Scott è estremizzato rispetto al mondo di oggi, seppur coerente con la mentalità del trecento, tuttavia è una storia che si lega all’attualità in quanto mette in scena dinamiche che si ripetono anche oggi.
Venezia 78: una società che ritorna
Ma non è solo la donna al centro di questo discorso tra passato e presente. Tramite un racconto ambientato più di due secoli fa, si riflette sul presente in Illusions perdues di Xavier Giannoli. Il film è la trasposizione della parte centrale dell’omonimo romanzo di Honoré de Balzac e racconta della scalata sociale del giovane Lucien, che nella Parigi della Restaurazione, passa da umile tipografo ad affermato giornalista. Attraverso un’accurata e visivamente ispirata ricostruzione storica, il film racconta la corruzione del giornalismo e l’ipocrisia che accompagna la vita borghese dell’epoca.
Tramite la riflessione su questo momento particolare, si attua una riflessione sul mondo di oggi, dove spesso le opinioni che contano sono condizionate e guidate da facili guadagni più che da reali e sincere convinzioni.
Il film di Xavier Giannoli, a ben vedere, non cerca un parallelismo con il mondo di oggi, ma si limita con ottimi risultati a proporre fedelmente sullo schermo l’opera letteraria di Balzac. I parallelismi, tuttavia, nascono spontanei al termine della visione, dopo aver lasciato il personaggio di Lucien e le sue illusioni perdute.
Allo stesso modo nascono riflessioni sull’attualità dopo la visione di Leave No Traces del polacco Jan P. Matuszyński, tratto da una storia vera.
Siamo nella Polonia comunista degli anni ottanta e un giovane studente viene massacrato e ucciso dalla polizia davanti agli occhi del suo amico Jurek. A chi vedrà questo film in Italia, verrà subito in mente Stefano Cucchi, la cui storia fu a sua volta trasposta al cinema in Sulla mia pelle.
Anche al di fuori dal nostro paese, però, questo film può parlare all’attualità. Il 2020 è stato l’anno del caso George Floyd, vicenda che aveva al centro un abuso di potere da parte delle forze dell’ordine e, pur con le dovute differenze e implicazioni, Leave No Traces racconta una storia che può avvicinarsi a quell’evento e a tutto ciò che ne è seguito.
Raccontare il passato è quindi un modo per riconoscere il presente e rifletterci sopra. È l’idea che anima anche Madres paralelas di Pedro Almodóvar, film che parla della verità, in tutte le sue forme e declinazioni. Attraverso il personaggio di Penélope Cruz, Almodóvar ci dice che per capire il proprio presente è necessario conoscere e analizzare il proprio passato.
Venezia 78: raccontare il cinema
Questo concetto si può estendere idealmente a È stata la mano di Dio di Paolo Sorrentino, film vincitore del Gran Premio della Giuria, in cui il regista Premio Oscar racconta la propria adolescenza segnata da un tragico evento. In seguito a questo momento doloroso, il protagonista Fabietto, alter ego di Sorrentino, troverà una salvezza proprio nel cinema e nella possibilità di creare una realtà che gli piaccia di nuovo: allo stesso modo ha fatto Paolo Sorrentino, che tramite il racconto del suo passato ci racconta come e perché è diventato il regista che conosciamo tutti.
Ma il dialogo tra passato e presente torna anche in Freaks Out di Gabriele Mainetti e non solo perché la storia è ambientata durante la Seconda Guerra Mondiale. Il film è a tutti gli effetti un blockbuster, un kolossal come mai se ne erano visti nel cinema italiano recente, che mette in discussione definitivamente i punti fermi del nostro cinema. Freaks Out è l’apice dell’evoluzione iniziata con Smetto quando voglio e Lo chiamavano Jeeg Robot e proseguita nel corso degli ultimi anni. È un film che vuole raccontare un cinema nuovo, inconsueto e mai visto prima, qualcosa di estraneo dal cinema italiano.
Per farlo mette in scena una storia ambientata nel periodo storico che invece ha dato vita alla corrente cinematografica più rappresentativa del cinema italiano, il neorealismo: una storia fantasy che ribalta completamente i canoni che nel corso dei decenni erano stati utilizzati per raccontare quel periodo storico. In Freaks Out l’occupazione nazista del paese, che al cinema vedeva il suo massimo testimone in Roma città aperta di Roberto Rossellini, viene fotografata attraverso una storia d’azione e fantascienza.
Ecco che, anche in questo caso, il dialogo tra passato e presente appare pertinente: per raccontare il cinema italiano di oggi, Mainetti mette in discussione, con massimo rispetto, il cinema italiano del passato. Segnando così l’inizio di un nuovo capitolo per l’immaginario cinematografico del nostro paese.