Dobbiamo ringraziare Jordan Peele se l’horror contemporaneo sta sperimentando varie sfumature di forma e contenuto. Dopo un periodo stazionario, l’horror si rimette in gioco, spiazzando e intrigando la mente dello spettatore. É facile far sobbalzare lo spettatore dalla poltrona, basta un picco sonoro o un primo piano inaspettato, ma quanto è complicato farlo restare incollato? Jordan Peele c’è già riuscito con la sua opera prima Scappa – Get Out (conquistando anche la statuetta per la miglior sceneggiatura originale nel 2018), in cui ha tenuto incollati non sono gli occhi degli spettatori allo schermo ma anche i loro corpo, le mani e le braccia alla comoda poltrona del cinema facendogli provare la stessa inquietudine del protagonista. Ma se il primo esperimento ha riscontrato tanto successo quanto dovrà essere alta la posta in gioco per il secondo film? Pur essendo quasi incredibile da credere, con Us (Noi), Peele supera se stesso. Realizzando un film non solamente politico, come è stato riletto Scappa – Get Out, ma anche allegorico, con numerosi riferimenti che vanno dal cinema ai film d’animazione e cartoni animati.
Us (Noi) trama e recensione dell’horror di Jordan Peele
In Us (Noi) si sperimenta un terrore prolungato che vive e si alimenta della protagonista da diversi decenni. Per questo la trama viene intrisa di particolari che racchiudono la sfera emotiva della donna. Il senso di continuità viene sottolineato anche nella scelta registica, Us (Noi) ha per la maggior parte lunghi piani sequenza; alcuni dei quali possiedono un ampio raggio di visione arrivando anche a 360°. Ruotando del tutto la macchina da presa, Peele mostra sia cosa vedono i protagonisti che come loro appaiono vedendo il pericolo. Lo spettatore diventa vittima e carnefice, cambiando in ogni momento la prospettiva.
L’inquadratura di spalle è un frame che compare in diverse occasioni, essendo considerata la testimonianza dell’inizio dell’orrore – perché il primo incontro tra Adelaide e Red (entrambe interpretate da un meravigliosa Lupita Nyong’o), il suo doppelganger, viene immortalato proprio dalle spalle delle bambine. Successivamente l’inquadratura tenderà a manifestarsi soprattutto quando le due donne, ormai adulte, si ricongiungeranno. Attraverso l’uso del montaggio alternato l’attenzione si sposta sul resto dei protagonisti: Gabe, marito di Adelaide, Zora e Jason, i suoi figli; ognuno dei quali è impegnato a combattere contro il proprio doppelganger.
Queste entità, chiamate anche gli incatenati, ricordano in modo approssimato i drughi di Arancia Meccanica ma, al posto della divisa bianca, cappello e manganello, i doppelganger vestono di rosso scarlatto, guanto alla mano destra e forbice nella tasca anteriore del vestito. Red, come Alex De Large, è il leader del gruppo, l’unica evoluta che parla la stessa lingua degli uomini. Il suo primo piano in camera look ricorda sia l’inquadratura che vedeva protagonista il famoso drugo, poiché posiziona lo spettatore nella stessa situazione di disagio (quella durante lo stupro della donna a casa dello scrittore), che quella di Hannibal Lecter, per via degli strani versi che imita con la bocca (quando descrive alla giovane investigatrice il suo pasto preferito).
A differenza di Red la famiglia dei doppelganger è incapace di parlare, il marito Abraham emette versi primordiali, ululi, come se fosse il primo uomo ad abitare la Terra. ll figlio Pluto, ricorda e imita l’amico di topolino, camminando su quattro zampe e ringhiando di tanto in tanto; mentre la figlia Umbrae, la bambina che nacque ridendo, inquieta più di molti Joker del cinema. Non mancano altri riferimenti al cinema dell’orrore: come le gemelle, che ricordano le due bambine che infestavano i corridoi dell’Overlook Hotel in Shining, e la donna bionda che sembra recidersi il volto come se volesse disegnare un sorriso simile a quello dell’acerrimo nemico di Batman.
Dove finiscono tutti i conigli che magicamente spariscono dal cilindro dell’illusionista? Lo stesso quesito può estendersi in merito alla vera natura dell’uomo. Entrambi, almeno nel caso di Us (Noi), vivono in un mondo sotterraneo, gemello di quello sviluppato in superficie. Le ombre sono costrette ad emulare le vite degli umani, come se fossero due corpi con una sola anima, a saziare il loro appetito con dei conigli crudi e a partorire in solitudine (come ha spiegato in lacrime Red).
La parola coniglio deriva dal latino cuniculus, collegato al significato di tunnel, lo stesso tunnel che ospita i doppelganger. Le popolazioni antiche sostenevano che mangiare conigli donava forza e bellezza, e in Us (Noi) le ombre, spiega Red, erano state create in origine con lo scopo di proteggere i loro doppi. Più goliardicamente la figura dell’animale potrebbe riportare alla mente il Bianconiglio che ha introdotto Alice nel Paese delle Meraviglie, anche quello considerato un posto surreale.
Più concretamente Us (Noi) mostra fin dall’inizio la perdita di se stessi (preannunciata dalla scritta Jeremiah 11:11, un brano della Bibbia che narra dell’ira divina nei confronti del suo popolo). La piccola Adelaide entra incuriosita nella Vision quest – Find your self, una casa degli specchi sulla spiaggia di Santa Cruz. E attraverso quelli specchi deformi non riesce più a vedere chi è realmente. La sua esistenza muta, diventando una ricerca e, in seguito, una scoperta dell’incognito.
In Us (Noi), il noi, è inteso come inclusione tant’è che quando ai doppelganger viene chiesto chi siete? loro rispondono siamo americani. In primo piano incita lo spettatore ad accogliere anche la parte più remota di se stesso, ma secondo una lettura politica potrebbe far riferimento all’inclusione del prossimo. Anche in Scappa – Get Out Peele ha giocato sulla distinzione tra persone di colore e non, infatti in Us (Noi) la famiglia bianca è spesso derisa, mostrata come materialista e frivola, mentre la famiglia protagonista riesce ad avere la meglio.
Con Us (Noi) Jordan Peele conferma la collaborazione con Michael Abels per la realizzazione della colonna sonora. Come avveniva nel primo lungometraggio, il registro musicale spazia da brani comici, con l’intento di contrastare la violenza, fino a melodie cupe che oscurano le scene più psicologiche, come la danza condivisa tra la protagonista e la sua ombra in un tempo che viaggia tra passato e presente.
Il colpo di scena finale trasforma Us (Noi) da una narrazione tradizionale, lineare fino a quel momento, in una messa in scena circolare. I nodi vengono al pettine e il cerchio viene chiuso sia simbolicamente, la fine dell’incubo, che fisicamente, attraverso la catena umana creata dai doppelganger.