HomeRecensioni FilmUna famiglia vincente – la recensione del film con Will Smith

Una famiglia vincente – la recensione del film con Will Smith

Presentato in anteprima al Telluride Film Festival lo scorso settembre, Una famiglia vincente ha raggiunto gli schermi delle sale cinematografiche italiane nel gennaio 2022. La pellicola trae spunto dalle vicende personali delle iconiche tenniste Venus e Serena Williams, analizzando la figura del padre, il “King Richard” Williams del titolo in lingua originale. La regia del film biografico (144 minuti di durata complessiva) è affidata a Reinaldo Marcus Green, che si destreggia sulla base della sceneggiatura firmata da Zach Baylin. La pellicola ha già saputo guadagnarsi il plauso della critica, come testimoniano le numerose nomination ai recenti Golden Globe e Critics’ Choice Awards.

Una famiglia vincente

La trama del film

Le giornate dell’instancabile Richard Williams (Will Smith) sono scandite dai ritmi degli allenamenti che l’uomo impone a due delle due cinque figlie, le promettenti Venus e Serena (rispettivamente Saniyya Sidney e Demi Singleton). Sin da prima che nascessero, infatti, l’uomo ha prestabilito per le figlie una tabella di marcia che, se seguita pedissequamente, le porterà a diventare le più grandi tenniste che il mondo abbia mai avuto modo di acclamare. I sogni di gloria del padre e delle due figlie sono però sistematicamente e brutalmente ostacolati dalle quotidiane difficoltà implicate dalla violenta vita della comunità afroamericana di Compton, la città californiana in cui la famiglia vive. La disciplina che Richard impone alle figlie è del tipo più ferreo e intransigente, ed è la medesima che applica alla propria persona, costringendosi a svolgere più lavori per provvedere all’ambiziosa famiglia.

Grazie ad un’invidiabile testardaggine e ad una manifesta sfrontatezza, Richard riesce a disegnare per le proprie figlie una traiettoria secante a quella dei più rinomati allenatori di tennis degli Stati Uniti. Così, mentre lancia la carriera delle prodigiose Serena e Venus, si rivela capace di innalzare lo statuto socio-economico della propria famiglia. Con il passare degli anni, tuttavia, sempre più di frequente l’ostinazione dell’ambizioso padre di famiglia rischierà di diventare ottusità, e i propri princìpi risulteranno potenziali ostacoli alle sue figlie e alle loro carriere, che proprio lui ha plasmato. Giunte in precocissima età ad un livello di expertise e di tecnica eccelse, le due prodigiose tenniste dovranno farsi strada all’interno del mondo delle competizioni, facendo però traballare i pilastri ideologici su cui il padre ha poggiato il progetto di vita che aveva per loro.

Una famiglia vincente – Will Smith produce un film dal découpage classico e dalla regia lineare

Dopo la collaborazione con Jake Gyllenhaal e Mark Wahlberg, produttori della sua opera seconda Joe Bell, in Una famiglia vincente Green è affiancato da Will Smith (The suicide squad, Io, robot, Bright), alla produzione della pellicola. Il produttore, in questo caso, sceglie anche di concedersi il ruolo del protagonista, il King Richard del titolo nella sua versione anglofona. Smith pare voler effettuare, con questa interpretazione, un nostalgico tuffo nel passato delle sue vecchie glorie performative reclamando a gran voce il suo statuto di attore di prima scelta. L’intento sembrerebbe essersi concretizzato, alla luce della recentissima vittoria ai Golden Globe in qualità di miglior attore in un film drammatico. La critica internazionale, in effetti, si è detta fondamentalmente concorde sul plauso riservato alla performance dell’attore, che poggia su una studiatissima mimesi tanto corporale quanto vocale (nell’attenzione all’uso di un determinato slang e di alcune inflessioni verbali).

L’interpretazione dell’attore protagonista si offre allo spettatore assecondata da una modalità registica fra le più classiche. Sia la macchina da presa che successivamente il montaggio, in effetti, paiono lavorare nel segno della più pulita linearità. La regia non si concede virtuosismi né tecnicismi, non sembra volersi imporre all’attenzione di chi guarda come elemento caratterizzante della pellicola. Altrettanto accade nel caso del montaggio, declinato in un découpage pulito e lineare, a partire da un classicissimo se non didattico uso del campo/controcampo. Raramente in questo caso la post-produzione gioca con la tecnica, e nei pochi casi in cui lo fa evita di assumersi rischi vertiginosi – è il caso, ad esempio, della scena della prevedibile ellissi giocata sul lancio della pallina da tennis, con una giovane Venus che la tira in aria e una Venus cresciuta che la colpisce qualche istante dopo.

Una tecnica di questo tipo, in un certo qual modo, pare conforme al tenore della scrittura di Una famiglia vincente. Dalla sceneggiatura del film emerge con forza l’urgenza nella trattazione di tematiche di importanza capitale (su tutte quella del razzismo, seguita a ruota da femminismo e ambizione). La disamina che però viene effettuata in fase di sceneggiatura a partire da questi pressanti macro-argomenti sembra procedere per frasi fatte, le stesse che utilizza il protagonista del film per parlare alle sue figlie sin da quando sono poco più che bambine. La retorica, in questo modo, si fa così manifesta, se non a tratti ridondante, compromettendo parzialmente le buone intenzioni della pellicola e invalidando il messaggio di fondo.

Una famiglia vincente

Una famiglia vincente e l’importanza dei punti di vista

A partire dal soggetto da cui trae ispirazione, il vissuto delle due più grandi tenniste della storia, Una famiglia vincente pare muoversi sulla scia di intenti di un presunto femminismo di fondo. Tale fil rouge non compare unicamente nello spunto filmico ma si manifesta anche a più riprese nelle varie fasi della pellicola. Toni di questo tipo non solo si riversano nell’ambiziosa visione paterna nei confronti di Venus e Serena – nonché nell’attuazione concreta del piano che ha ideato per loro -, ma traspaiono anche in altre derive narrative. Sulla base dello stesso principio, infatti, sembra innestarsi lo storyline relativo alla sorella maggiore Tunde, promettente studentessa modello di cui Richard difende l’indipendenza a fronte degli atteggiamenti molesti che i ragazzi del malfamato quartiere assumono verso di lei.

Tuttavia, è opportuno considerare che, universalmente, qualsiasi storia viene narrata attraverso il filtro di un punto di vista. Il cinema ha presto preso atto di questa inevitabile eventualità, e nei decenni ha acquisito tanta familiarità con il concetto da risultare capacissima di giocarci sopra con risultati insperati e visionari. Nel corso degli anni sono nati così, poggiandosi sullo scalino del concetto di punto di vista, sperimentalismi narrativi del calibro di Rashomon (A. Kurosawa, 1950) o dell’hitchcockiano La finestra sul cortile (1954), che manipolando scherzosamente il concetto ne lasciano trasparire la fondamentale importanza agli occhi dello spettatore.

Alla luce di ciò, appare quantomeno contraddittorio rispetto ai sedicenti propositi femministi di Una famiglia vincente che la storia delle due grandi tenniste sia raccontata dal punto di vista della figura maschile di riferimento, quella paterna. Ma non solo: il passo compiuto in fase autoriale è tale che, con il pretesto di narrare il vissuto delle due tenniste dalla lente paterna, si finisce per raccontare direttamente la storia del padre. Lo scarto concettuale, apparentemente millimetrico, si rivela sostanziale. In questo il titolo stesso del film in lingua originale, King Richard, è una dichiarazione d’intenti piuttosto marcata. Al contrario di quanto accade, ad esempio, con il recente Spencer che sin dal titolo restituisce alla figura di Diana la sua indipendenza ricorrendo al suo cognome da nubile – la pellicola in questione declama sin da subito la lente attraverso cui la vicenda è narrata (lente discretamente bizzarra, considerati i propositi del lungometraggio).

La lente attraverso cui viene filtrata la vicenda in Una famiglia vincente sembra entrare in contrasto con gli intenti stessi e il presunto messaggio di fondo della pellicola. Inevitabilmente, tale criticità non investe solo le implicazioni concettuali derivanti dal film ma si riversa concretamente sulla narrazione. A bordo del suo fatiscente van, Williams senior dice alle due promettenti figlie: «The most strongest, the most powerful, the most dangerous creature on this whole Earth is a woman who knows how to think». Verità rispettabilissima, indubbiamente; se non fosse che, però, è lo stesso padre a chiedere alle figlie di non pensare mai, di ubbidire fidandosi ciecamente del suo piano senza sollevare alcun dubbio. La retorica di cui si fa portatore il protagonista inneggia al pensiero come fondamento della forza femminile, ma fattualmente l’uomo non lascia mai che le figlie ragionino, pensa sistematicamente lui per loro, rivelando una contraddizione in termini che inficia sulla credibilità del film stesso.

Una famiglia vincente e il fenomeno dell’oversaturation di biopic

A suo modo, e con le proprie evidenti problematicità, Una famiglia vincente è sintomatico del fenomeno relativo ad una sovrasaturazione del biopic nella produzione filmica contemporanea. Il cinema è tanto un’arte quanto una realtà industriale, costruita sui guadagni e sul gradimento del pubblico. Quando un prodotto pare funzionare, incontrando i gusti dello spettatore e implicando incassi vertiginosi, l’industria filmica tende a sfruttarlo quanto più possibile, cavalcandone l’onda dell’insperato successo: è quanto sta accadendo, ad esempio, con il fenomeno dei live action targati Disney (da Biancaneve a Il re leone passando per Crudelia e Mulan). La medesima dinamica pare aver investito, a partire dagli scorsi anni sino ad oggi, il genere del film biografico – in cui i recentissimi Being the Ricardos, Spencer o Capone sono solo gli ultimi esemplari di una linea generale scaturita dal successo dei vari L’ora più buia, Invictus o La teoria del tutto.

“Nel futuro ognuno sarà famoso nel mondo per quindici minuti”, pronunciava un iconico Andy Warhol. Anche se l’industria filmica parrebbe aver preso l’indicazione alla lettera, ciò non significa che sulla scia del fenomeno biopic si debba necessariamente scegliere di narrare il vissuto di chiunque, per giunta privilegiando un qualsivoglia punto di vista (e, a ben vedere, i quindici minuti di cui parlava il progenitore della pop-art sono ben distanti dai lunghissimi centoquarantaquattro su cui si articola Una famiglia vincente). I prodotti con del potenziale (come avrebbe potuto essere, in valore assoluto, quello delle Williams) rischiano così di perdersi nella pioggia di film biografici – non sempre validi – che viene propinata allo spettatore di oggi. E, per quanto nobile l’intento di partenza (qualsiasi vita merita di essere narrata), è concretamente più lecito pensare che il fenomeno derivi da e al contempo denunci una disperatissima crisi dell’inventiva narrativa in sede di sceneggiatura.

Una famiglia vincente

In definitiva, per poter apprezzare la narrazione biografica di Una famiglia vincente è opportuno non concentrarsi troppo sulle implicazioni concettuali legate alla scelta del punto di vista (e alla conseguente oscillazione tra presunto femminismo e fattuale maschilismo). Scevra di questi elementi, la pellicola comunque può considerarsi il più classico dei film d’intrattenimento. Forte dell’interpretazione del suo protagonista e della più lineare e manualistica tecnica hollywoodiana, il lungometraggio porta sullo schermo il vissuto della figura paterna delle due icone del tennis contemporaneo. La narrazione, tuttavia, al netto delle sue criticità, rischia comunque di essere invalidata da un minutaggio sensibilmente dilatato, ma ad ogni modo in linea con le durate prolungate di una certa new wave del cinema hollywoodiano contemporaneo.

PANORAMICA RECENSIONE

regia
soggetto e sceneggiatura
interpretazioni
emozioni

SOMMARIO

Una famiglia vincente è il film biografico incentrato sul vissuto delle sorelle Venus e Serena Williams. Assumendo un punto di vista improprio, la pellicola risulta in concreto narrare la storia del padre delle due tenniste, in quello che è solo l'ultimo di un'onda sovradimensionata di biopics. Una regia e un montaggio puliti ma mai sorprendenti accolgono la performance di Will Smith.
Eleonora Noto
Eleonora Noto
Laureata in DAMS, sono appassionata di tutte le arti ma del cinema in particolare. Mi piace giocare con le parole e studiare le sceneggiature, ogni tanto provo a scriverle. Impazzisco per le produzioni hollywoodiane di qualsiasi decennio, ma amo anche un buon thriller o il cinema d’autore.

ULTIMI ARTICOLI

Una famiglia vincente è il film biografico incentrato sul vissuto delle sorelle Venus e Serena Williams. Assumendo un punto di vista improprio, la pellicola risulta in concreto narrare la storia del padre delle due tenniste, in quello che è solo l'ultimo di un'onda sovradimensionata di biopics. Una regia e un montaggio puliti ma mai sorprendenti accolgono la performance di Will Smith. Una famiglia vincente – la recensione del film con Will Smith