Nel 2015, il regista teatrale Rupert Goold si lascia ispirare dalle memorie del giornalista Michael Finkel – e dal relativo caso di cronaca – per il proprio debutto cinematografico. Nasce così True story, diretto da Goold (che nel 2019 tornerà dietro la macchina da presa per l’apprezzatissimo Judy) e scritto dal regista in collaborazione con David Kajganich, successivamente sceneggiatore di A bigger splash, Suspiria e Pet semetery. Il film oscilla tra vari generi, dal thriller al dramma, delineando un efficacissimo thriller psicologico dell’esile durata di 100 minuti. Attualmente, la pellicola è disponibile per lo streaming sulla piattaforma Amazon Prime Video.
La trama del film
Reduce da un grave errore che ha annientato la sua carriera al New York Times, il giornalista Michael Finkel (Jonah Hill) torna alla sua vecchia vita dalla compagna Jill (Felicity Jones). L’uomo tenta di trovare nuovi sbocchi professionali in campo giornalistico, ma l’errore commesso fa sì che tutte le porte di fronte a lui sembrino chiudersi. Un giorno, tuttavia, scopre di essere stato vittima di un furto d’identità. Il presunto quattro volte omicida Christian Longo (James Franco), infatti, prima di essere arrestato era fuggito in Messico dichiarando di essere Finkel. Incuriosito dalla vicenda e affamato di nuove prospettive professionali, il giornalista si reca in carcere per incontrare Longo. Michael è affascinato dalla figura del criminale, enigmatico ma sereno. Durante l’incontro, i due stringono un patto: Longo racconterà in esclusiva l’accaduto inconfessato che si cela dietro ai suoi presunti crimini a Finkel, che a sua volta dovrà insegnargli a scrivere.
Michael, tra il lusingato e l’incuriosito, accetta le condizioni. Inizia così una lunga corrispondenza tra i due, scandita dalle lunghissime lettere di confessione scritte da Christian e punteggiata dagli incontri tra i due uomini, durante i quali Michael corregge e allena la scrittura di Longo. Tra i due viene a crearsi, in circostanze inedite e peculiari, un profondo legame, corroborato dalla stima che il criminale nutre per l’autore e dall’affascinata curiosità che quest’ultimo nutre per il primo. Sebbene il rapporto turbi fortemente Jill, costretta a viverlo passivamente, appare fruttuoso per Michael, che rilancia la sua carriera professionale. Ma, tra confessioni e colloqui, il giornalista faticherà a capire quale sia la verità e cosa Christian tenti di celare. Nel tempo che li separa dal processo, il loro legame ha tempo di sbocciare, fiorire e farsi torbido, in una rete di bugie e onestà che rischiano di far smarrire Michael.
La recensione di True story
A conferire solidità e organicità al prodotto filmico concorrono, in primo luogo, le interpretazioni dei due protagonisti. Strutturalmente il ruolo del protagonista parrebbe riservato al personaggio di Michael Finkel, ma i due finiscono per costituire una diade pressoché inscindibile, morbosamente unita e perfettamente bilanciata, motivo per cui entrambi si ergono a protagonisti della vicenda. Jonah Hill, storicamente relegato all’ambito della commedia (dalla più raffinata alla più bassa), riesce ad esularne brillantemente dimostrando doti drammatiche che poi torneranno in altre sue interpretazioni (in Don’t worry di Gus Van Sant, ad esempio, ma anche nella miniserie Maniac, in cui recita a fianco di Emma Stone). Hill padroneggia sapientemente il genere per lui inconsueto, incorpora e cattura la tensione del film restituendola allo spettatore con una performance sussurrata ma efficace, fatta di dettagli e sfumature.
Al suo fianco fa la sua apparizione il talento meticolosamente studiato di James Franco (La ballata di Buster Scruggs, The disaster artist, The interview, Palo alto). Altrettanto in bilico fra dramma e commedia nel corso della sua carriera, negli anni ha avuto più modo rispetto ad Hill di sperimentare con l’ambito drammatico e con True story riporta la sua esperienza sullo schermo. Il ruolo dell’oscuro antagonista di cui si faticano a comprendere gli intenti ben si accorda con il suo modo di fare impastato ed enigmatico. Ai fini del film è strettamente necessario che al pubblico sfugga la natura di Longo e la performance che delinea James Franco, nonché la natura stessa della sua consueta recitazione, si rivelano fortemente efficaci in questo senso. L’attore, con la sua interpretazione, fa da contraltare negativo al personaggio di Hill e insieme ne svela le oscurità, delineando il riuscitissimo dualismo che caratterizza la pellicola.
True story si muove nello spazio che si delinea all’interno della zona grigia tra vero e falso, bene e male, buono e cattivo. La storia e le sfumature di significato che essa implica mettono in discussione l’assolutezza di tali termini portando sullo schermo due personaggi ambigui, enigmatici. Secondo un giudizio convenzionale, indubbiamente il “buono” della vicenda è Michael e l’antagonista è Longo. Ma il film gioca con il valore assoluto di tali ruoli e, spogliando i personaggi degli orpelli che li caratterizzano e delle relative implicazioni, dimostra che entrambi si sono macchiati della stessa colpa (ovviamente, con conseguenze drammaticamente differenti): sia l’uno che l’altro, infatti, hanno camuffato la realtà, l’hanno resa artefatta per il raggiungimento di un proprio scopo.
Entrambi, che sia su un giornale o relativamente alla propria identità, hanno mentito. La pellicola, partendo da questo presupposto, tenta di scoprire (scandagliando anche le ragioni che hanno portato a tale menzogna) se i due personaggi siano effettivamente così differenti come le convenzioni sociali vogliono farli apparire. Ciò che incuriosisce, è che nei protagonisti stessi si insinua il dubbio di una somiglianza reciproca con l’altro: se questo pensiero aiuta il personaggio di Longo ad elevarsi, parallelamente affossa quello di Michael. Giocando anche con la sfera tematica della morbosità – applicata ai presunti omicidi di Longo ma soprattutto alla pseudo-ossessione che il giornalista sviluppa nei confronti dell’omicida – il film instaura una rete di parallelismi tra i due per tentare di comprendere cosa li accomuni e cosa invece li renda differenti.
In questa sistematica messa in atto di un confronto, la trama è aiutata dalla regia di Goold. Il regista, per quanto alla sua prima esperienza, si dimostra in grado di possedere una lungimiranza tale da ricorrere con insistenza a primi e primissimi piani, dando modo allo spettatore di tentare di scovare nei loro volti gli elementi comuni ai due personaggi. Forse lo svolgimento di True Story – e le riflessioni che esso implica – sono più soddisfacenti per il pubblico rispetto alla risoluzione finale, tuttavia il film si dimostra capace di intrattenere, affascinare e tenere con il fiato sospeso.