Tom à la ferme la recensione del film di Xavier Dolan tratto dalla pièce teatrale di Michel Marc Bouchard con Lise Roy
Nel 2013, a soli ventiquattro anni, Xavier Dolan torna dietro alla macchina da presa per il suo quarto film da regista, Tom à la ferme. Per l’occasione, Dolan riprende l’abitudine, precedentemente consolidata con i suoi J’ai tué ma mère (2009) e Les amours imaginaires (2010), di interpretare il protagonista del suo film. In questo caso, il progetto è stato avviato sulla base dell’omonima pièce teatrale di Michel Marc Bouchard, che ha a sua volta collaborato con Dolan alla sceneggiatura del film.
Il regista, rimasto affascinato alla vista dell’opera teatrale, brutale e violenta, gli chiese di poter realizzare un lungometraggio che traesse spunto dalla sua opera. Per la versione cinematografica di Tom à la ferme, Dolan ha collaborato con l’attrice Lise Roy, che interpretava il personaggio di Agathe anche nella pièce di Bouchard.
Tom à la ferme la trama del film di Xavier Dolan
Tom è la ferme segue il protagonista, il Tom del titolo (Dolan), nel suo viaggio in direzione di un fantasmatico villaggio di campagna, dove avrà luogo il funerale del suo compagno deceduto, Guillaume Longchamp.
Tom trascorre alcuni giorni nella casa di Agathe (Lise Roy),la madre di Guillaume, in cui vive anche Francis (Pierre-Yves Cardinal), lo scostante e irascibile fratello dell’ormai ex-compagno di Tom. Durante il suo soggiorno, il protagonista ha modo di scoprire che nessuno nel villaggio è a conoscenza dell’omosessualità del defunto fidanzato, al di fuori di Francis.
Tom sarà perciò costretto a mantenere il segreto, presentandosi come amico di Guillaume. Al contempo però diventerà vittima dei ricatti fisici e morali di Francis, che non vuole che la fragile madre scopra la verità.
La recensione e l’analisi del film
Il contesto si profila sin da subito volutamente confuso. Nei primi momenti che Tom e Agathe condividono lo spettatore non ha ben chiaro il rapporto che intercorre tra i due, a partire dal momento in cui la donna torna a casa per trovare lo sconosciuto ragazzo addormentato nella sua cucina. Evidentemente Agathe e Tom non si conoscono, mai si sono visti prima di allora, ma è altrettanto chiaro che qualcosa di forte li leghi.
Chi guarda comprenderà a pochi minuti dall’inizio del film che il minimo comune denominatore fra i due sta proprio nella presenza/assenza del defunto Guillaume. Sia per l’impostazione registica che per i temi trattati, dunque, sin dai primi minuti Tom à la ferme sembra rispettare tutti i criteri di un film drammatico. Tuttavia, l’inaspettato arrivo notturno di Francis virerà i toni della narrazione verso un’imprevista deriva thriller.
Proprio in funzione del personaggio di Francis e del dualismo di attrazione e repulsione che Tom prova nei suoi confronti, è possibile leggere nel film una sfumata declinazione del tema della sindrome di Stoccolma.
Il film è valorizzato da un’eccellente fotografia. Il direttore della fotografia André Turpin tornerà a collaborare con Dolan nei successivi Mommy (2014), È solo la fine del mondo (2016), La mia vita con John F. Donovan (2018) e Matthias & Maxime (2019). Tom à la ferme è dunque solo il primo tassello nella lunga serie di progetti a cui Dolan e Turpin lavoreranno insieme.
Tuttavia, la fotografia di questo film è impeccabile. I toni dominanti sono volutamente spenti: verde palude, giallo paglierino, cachi, beige. I colori sono deliberatamente neutri e poco saturi al fine di spegnere gli ambienti rendendoli tetri, e impallidiscono i volti degli interpreti.
In quest’ottica, l’utilizzo perfettamente riuscito della fotografia risulta fondamentale alla creazione di un’atmosfera tetra, ambigua e certamente non confortante.
Come aveva già dimostrato in precedenza, l’occhio registico di Dolan si rivela consapevole, intelligente e studiato. In Tom à la ferme la regia dell’enfant prodige canadese è indubbiamente più matura, ma comunque fedele ai suoi esercizi di stile preferiti.
L’uso della macchina da presa è fondamentale nella creazione della suspense, come si percepisce sin dai primi minuti. La regia, ad esempio, inizialmente aumenta vertiginosamente la tensione rendendo impossibile allo spettatore la visibilità del volto di Francis tramite riprese al buio o inquadrature sapientemente tagliate. In questo modo, quando il fratello si svela (per giunta, nel momento più inaspettato), l’effetto è esponenzialmente deflagrante.
Xavier Dolan torna a manifestare la sua predilezione per i primi piani, soprattutto sul personaggio da sé interpretato. Questi ultimi talvolta tendono a sfociare anche in primissimi piani, specialmente quando Tom si sfoga mentre guida, solo in automobile.
La regia, aiutata dal montaggio, offre inoltre accuratissime descrizioni ambientali, sia per quanto riguarda l’interno della casa (e delle stalle) dei Longchamp, sia per l’intero villaggio di campagna in cui essi vivono. Con Tom à la ferme Dolan osa per la prima volta anche nel formato, che cambia, restringendosi, nei momenti di massima tensione o di scontro violento tra il protagonista e Francis.
Xavier Dolan torna sul tema dell’omosessualità e dei concetti LGBTQI+
Sebbene siano evidenti i cambiamenti di genere e registro rispetto alle sue opere precedenti, con Tom à la ferme Dolan torna sull’argomento che gli è più caro, quello dell’omosessualità, di primaria importanza nei suoi film.
Tutta la filmografia di Dolan è permeata dai concetti LGBTQI+. Talvolta sono secondari nello svilupparsi della trama, talvolta costituiscono il conflitto principale da cui si sviluppa la sceneggiatura (Laurence Anyways). In questo caso, oltre ad essere di fondamentale importanza a livello narrativo, risulta particolarmente interessante (nonché raramente visto prima) l’accostamento della tematica al genere thriller.
L’omosessualità di Tom non è un elemento marginale, anzi: il suo doversi fingere altro da se stesso costituirà l’avvio della trama, e il rapporto di ambigua fascinazione nei confronti di Francis permetterà lo svilupparsi della storia.
Oltre alla regia e alla fotografia, l’ambiente alimenta la tensione di Tom à la ferme in modo sostanziale. Sin dai primi istanti il villaggio appare inquietante: Tom esplora i campi e le case in cerca di qualche presenza che lo accolga, ma il luogo è immerso nel silenzio e sembra pressoché privo di qualsiasi componente umana. Il villaggio, apparentemente disabitato, sembra immerso in un’atmosfera surreale, in un limbo tra reale e irreale, creando un senso di angosciante sospensione.
Paradossalmente, nonostante gli sconfinati campi e gli spazi aperti, il cronotopo campagnolo risulta soffocante, claustrofobico: non si sa mai quale pericolo incomba ma se ne avverte l’indubbia presenza. In questo luogo sospeso, Tom è la città che invade la campagna, un copywriter che si trova costretto a badare alle stalle dei Longchamp. Ma allo stesso tempo, la campagna è tanto isolata quanto lo è il protagonista, un giovane omosessuale che si ritrova a nascondere il suo segreto in un paesino di omofobi.
Se dopo Laurence Anyways Dolan aveva dichiarato di voler cambiare il tono dei suoi film, con Tom à la ferme l’esperimento può dirsi pienamente riuscito. Lo stesso regista, infatti, classifica i suoi tre precedenti film sotto alla comune matrice narrativa dell’amore impossibile, seppur l’amore in questione sia ogni volta di natura differente.
Con Tom à la ferme il cambiamento è ben evidente, sia a livello di sceneggiatura che per quanto riguarda il genere e il registro. Come i film precedenti, l’impostazione narrativa è certamente di stampo drammatico, ma dopo i primi minuti il ritmo si fa più concitato e l’atmosfera si tinge di angosciante suspense, lasciandosi completamente alle spalle il barocchismo del precedente film.
Lo spettatore si ritrova immerso in un senso di malessere come mai prima di allora era capitato guardando una pellicola dello stesso regista, forse anche grazie alla sapiente alternanza tra scene di stasi e scene violente, che vuole confondere chi guarda.
Il premio FIPRESCI al Festival del Cinema di Venezia e la critica
Il film è stato a ragione molto apprezzato dalla critica. Nel 2013 nella sua patria natia Dolan ha raccolto con Tom à la ferme addirittura otto nomination ai Canadian Film Awards: miglior film, regia, attrice non protagonista (Lise Roy), attore non protagonista (Pierre Yves-Cardinal), sceneggiatura non originale, sonoro, montaggio sonoro e colonna sonora (Gabriel Yared). Ma il lavoro di Dolan è stato apprezzato anche all’estero: il film ha vinto al Festival del Cinema di Venezia il premio FIPRESCI assegnato dalla Federazione internazionale della stampa cinematografica all’opera più rischiosa, personale e originale dell’anno (lo stesso premio negli anni è stato conferito a titoli del calibro di Rocco e i suoi fratelli, Deserto rosso ma anche ai più recenti Essere John Malkovich, The master, L’ufficiale e la spia).
Si può definire a tutti gli effetti un successo questo quarto film del prodigioso Dolan, che unendo i suoi temi e elementi ricorrenti a un genere e a dei toni fino ad allora a lui sconosciuti è riuscito a dar vita ad un’opera dall’indubbia forza emotiva, in cui dà prova di un uso intelligente, consapevole ed efficace del mezzo cinematografico.