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The Villainess – Professione assassina

Come stabilire il momento esatto in cui comincia una storia? Al nostro arrivo è sempre tutto già cominciato. Si deve affrettare il passo e ingoiare senza fare domande l’intero prologo tutto d’un fiato per addentrarci nell’intreccio. Quante volte abbiamo aspettato finisse la noiosa premessa per arrivare alla vera storia, quella autentica, in cui si procede senza più il libretto delle istruzioni sotto mano? The Villainess è il film perfetto per chi odia i prologhi.

The Villainess

The Villainess trama

Nessuna premessa, nessuna spiegazione. In pochi secondi si inizia a seminare morte. Ed è tutto già morbosamente eccitante. La telecamera si muove con ritmo frenetico realizzando un piano sequenza in soggettiva di un realismo impuro: l’estetica è da videogioco ma la violenza la si può quasi toccare.

Otto minuti di prologo magnifici e sconvolgenti che vi convinceranno ad amare l’incipit almeno quanto la storia. Le nostre povere ossa saranno scaraventate contro le pareti scrostate di un vecchio edificio e i nostri riflessi intorpiditi dovranno risvegliarsi velocemente per schivare i colpi di quegli scagnozzi. Solo quando avvertiremo il gradevole calore del sangue dei nostri nemici riversarsi sulle nostre mani saremo pronti a conoscerla. La macchina da guerra di cui abbiamo assunto l’identità in questo piacevole vortice d’inizio. L’angelo della morte capace di fare a pezzi chiunque voglia fermarlo. Una ragazza letale che vuole vendetta.

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The Villainess

“The Villainess” è un action esagerato, traboccante di armi e di sangue. Ci sono moto che mangiano l’asfalto, spade da samurai così affilate da recidere corpi come fossero burro, cecchini spietati pronti a sparare sopra ad ogni tetto. “The Villainess” è anche un action bello da morire, in cui si raggiungono livelli di raffinata e ricercata perfezione. Attenzione però, lo splendore non si conserva per tutta la durata (non troppo misurata a dir il vero) del film. Può il fascino di alcuni momenti risollevare le sorti di un’intera narrazione? Noi siamo pronti a scommettere di sì. Non sono forse le notti di passione a convincerci della solidità di un intero rapporto sentimentale?

The Villainess recensione

Il creatore di “The Villainess” è Jeong Byeong-Gil. Il regista sudcoreano torna a giocare con i propri personaggi così come il destino ama trastullarsi con le loro sorti. Proprio come nel notevole “Confession of Murder” (2012) infatti le vite che qui si inseguono e si feriscono a morte appartengono a persone a cui non è stato dato il diritto di scegliere. A scegliere è sempre il destino con i suoi crudeli capricci: ai personaggi non resta che subire o reagire con la medesima efferatezza. E a scatenare tutta la sua furia è anche la camera di Jung, dinamica, frenetica, in continuo fremito.

Sarà per la sua formazione da stuntman o per la sua passione per i videogiochi, ma la sua regia sembra muoversi al limite del controllo. Quasi fosse manovrata da un giocatore intento ad imprimere la propria foga sui bistrattati tasti di un joystick.

The Villainess

“L’assassina” (questo il titolo italiano) è Sook-hee, una guerriera addestrata per uccidere. Per la sua forza si nutre un’immediata e spassionata ammirazione. O forse il nostro spontaneo rispetto deriva da un certo timore? In effetti nel vederla armata di katana, o con un fucile sulla spalla, non ci sente del tutto tranquilli. Già dalle prime scene abbiamo imparato quanto sappia essere letale. Ma dove ha perfezionato la sua arte di ammazzare? E soprattutto chi deve uccidere? E perché?

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Sook-hee (Kim Ok-bin -“Thirst”-) all’età di sette anni ha assistito (da sotto il letto) all’uccisione del padre. Viene salvata ed aiutata dall’attraente Lee Joong-sang (Shin Ha-kyun – “Mr. Vendetta”-), boss di un gruppo criminale che diviene il suo mentore e poi amante. Sook-hee desidera la vendetta più di ogni altra cosa e convincerà Joong-sang a farla diventare una perfetta macchina della morte.

È determinata, agguerrita e innamorata. Eppure il destino non è dalla sua parte: non solo non le concede di vendicarsi, ma le porterà via anche il suo unico amore. La sua rabbia provocherà una vera strage.

A seguito della mattanza la giovane Sook-Hee viene prelevata dall’intelligence coreana che la costringe a lavorare per loro, come assassina ovviamente, per 10 anni, dopo i quali le verrà resa la libertà. La vedremo avere una forza distruttrice inarrestabile, una resistenza alle prove della vita inattaccabile e soprattutto la vedremo avere il coraggio di innamorarsi di nuovo.

The Villainess

È una donna, una madre, un’attrice (lavoro che le permette di nascondere la sua vera identità nelle missioni sotto copertura); insomma è un’assassina dannatamente umana, forse fin troppo. Perché è proprio in questa multiforme natura della protagonista che si intravede uno stridente disequilibrio: l’eccezionale cinema d’azione, ammirato nell’incipit e negli scontri sanguinari disseminati qua e là, e le difficoltà narrative causate da una sceneggiatura prevedibile che impongono al personaggio troppe aspettative da soddisfare.

Sebbene “The Villainess” fallisca l’obbiettivo di film perfettamente riuscito, non può dirsi che sia un film incoerente. Tutto in questa storia funziona come se si fosse immersi in un videogioco: l’importante è fare fuoco, poco importa se nessuno nella vita reale saprebbe trasformarsi in una bestia, per poi leccarsi le ferite come un cucciolo di gatto a cui hanno tagliato le unghie. “The Villainess” spara a raffica così tante pallottole che può permettersi di non centrare il bersaglio.

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Demolito da molti a causa di una costruzione narrativa rievocativa di molti cine-capolavori, che lo vorrebbero amalgama imperfetta tra Nikita di Besson e la Sposa più sanguinaria che il grande schermo ricordi (si parla della Black Mamba che vuole a tutti i costi uccidere il dannato Bill, lo avrete capito), “The Villainess” sa, a ben vedere, mostrare qualcosa di più complesso e molto meno banale. L’universo in cui la nostra Assassina colpisce, ferisce e uccide è dilatato, irreale, ricreato per il nostro passatempo. La macchina da presa si muove senza alcun limite spaziale ed è questo a conquistare gli animi irrequieti, in perenne ricerca di impavide emozioni.

Lo script ripercorre senza dubbio le indimenticabili vendette adorate da ogni rancoroso cuore cinefilo che si rispetti. La violenza iniziale esplode in un lungo e mal illuminato corridoio in cui ci sembra ti poter rivedere Choi Min-sik armato di martello (“Oldboy“), Sook-hee sembra quasi ricordare “Lady Vendetta” per fascino e brutalità, e poi qualche frammento di Nikita e qualche scheggia di Kill Bill non possono mancare. Una scena magnifica omaggia allo scoperto O-Ren Ishii (Lucy Liu in Kill Bill) bambina, nascosta sotto il letto, mentre assiste all’assassinio del padre. La paura trattenuta nel silenzio, gli occhi sgranati dal terrore, il sangue che sporca il volto della bambina.

The Villainess

“The Villainess” è un action dalla spettacolarità tossica, di quelle di cui poi si sente la mancanza. Jung si serve di meraviglia e furia per mandarci in visibilio, poi ce ne priva per un po’, giusto il tempo per importunarci con gli affanni di un amore. Ed è proprio quando ci si domanda come diavolo si è finiti a guardare un film dal risvolto inconsistente e melenso, ecco che ce ne somministra un’altra succosa dose. E noi finiamo al tappeto, grondanti di sudore, con una gran voglia di applaudire i prodi operatori armati di go pro che abbiamo immaginato abbattersi su ogni muro e scaraventarsi fuori da ogni finestra scorta all’orizzonte, come palline di un flipper manovrato da un folle.

Trailer

PANORAMICA RECENSIONE

regia
soggetto e sceneggiatura
interpretazione
emozioni

SOMMARIO

“The Villainess” è un action esagerato, traboccante di armi e di sangue. Un action dall'impatto visivo dirompente, in cui si raggiungono livelli di raffinata e ricercata perfezione. Attenzione però, lo splendore non si conserva per tutta la durata (non troppo misurata a dir il vero) del film. Ma fascino, brutalità e una macchina da presa che sembra muoversi smarcandosi da ogni limite spaziale sapranno rimediare ad ogni minimo cedimento di sceneggiatura.
Silvia Strada
Silvia Strada
Ama alla follia il cinema coreano: occhi a mandorla e inquadrature perfette, ma anche violenza, carne, sangue, martelli, e polipi mangiati vivi. Ma non è cattiva. Anzi, è sorprendentemente sentimentale, attenta alle dinamiche psicologiche di film noiosissimi, e capace di innamorarsi di un vecchio Tarkovskij d’annata. Ha studiato criminologia, e viene dalla Romagna: terra di registi visionari e sanguigni poeti. Ama la sregolatezza e le caotiche emozioni in cui la fa precipitare, ogni domenica, la sua Inter.

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