Con The Room Next Door, Pedro Almodovar firma un’altra coerentissima e cristallina tappa nel suo incredibile percorso d’autore; alla stessa libertà di amare e di amore da sempre manifestata dal regista, corrisponde la medesima libertà di porre fine alla vita.
L’ultimo passo mortale è una rappresentazione plastica, spaziale, letteraria, teatrale, amorale, che non prevede strazio, rassegnazione o disperazione, ma piena consapevolezza, da condividere.
Combattere una malattia non è solo restare sul campo di battaglia fino alla fine (come suggerisce l’improprio verbo che piace molto utilizzare), ma anche scegliere di non mettere piede sul campo del dolore e autosottrarsi alla sofferenza prima che essa ti sottragga a te stesso.
The Room Next Door – Trama
Martha (Tilda Swinton), giornalista di guerra, con una figlia mai sentita tale e praticamente estranea, ha un tumore in fase terminale, che risponde male alle cure sperimentali propostele. Vuole morire con dignità. Ha preso una pillola proibita sul dark web. Ma ha bisogno di affrontare questa morte non da sola: vorrebbe una persona cara che stia nella stanza accanto alla sua.
Ingrid (Julianne Moore) è quella persona cara. Scrittrice, fresca di nuovo libro in cui affronta una delle sue più grandi paure ossia la morte, è grande amica di Martha: l’ha persa di vista per un po’, ma hanno passato anni indimenticabili di gioventù condivisa assieme. La malattia le fa riavvicinare ed è lei la persona a cui Martha arriva a chiedere di dormire nella stanza accanto mentre lei ingoierà il suo fine vita.
The Room Next Door – Recensione
Eutanasia, amore senza forme, della morte e della vita, in varie declinazioni, tutte strette all’interno del “nazismo contemporaneo”: questi gli ingredienti dell’ultimo film di Almodovar, tratto dal romanzo Attraverso la vita di Sigrid Nuunez, primo lungometraggio americano del regista, presentato in anteprima alla 81. Mostra Internazionale del Cinema di Venezia.
Temi del genere sono presi di petto, senza giustificazioni nè preamboli, incastonati in dialoghi essenziali, ovviamente ironici, di una lucidità drammatica e consolante al contempo. C’è una giustizia sul proprio corpo sofferente che può essere affidata solo alle mani di chi quel corpo lo detiene.
La giustizia su un corpo sofferente in mano ai detentori di quel corpo
Nonostante leggi, convinzioni religiose, emotive e personali non concepiscano il passo. L’amore per la vita porta a scelte differenti a seconda di chi quella vita l’ha esercitata.
Martha ha vissuto: l’amore della sua vita, troppo giovane e sfortunato, quasi ignaro di sè, il non amore di una figlia da cui si è sempre distaccata, l’amore per il piacere fisico unico sprone a sopravvivere sotto le bombe, ha accettato il gioco della sperimentazione medica. Ma per fedeltà e amore di sé stessa, vuole mantenere la luce accumulata fino ad ora anche nel momento della dipartita.
Ingrid è l’altra faccia della stessa luna. Parte in affanno sulla questione distacco, ma recupera al volo, mettendo le sue energie al servizio di un anticalvario, che la sfianca intimamente ma che al contempo celebra la vita.
Bisogna saper soffrire: così diventa utile il dolore
“Tu sai soffrire” le dice Damian (John Turturro), ex-amante di entrambe le donne e confidente segreto di Ingrid, perché la vita mette alla prova, ma la differenza la fa come si reagisce al dolore, come lo si attraversa. Bisogna saper soffrire con la stessa stoffa e la medesima bellezza con cui si è scelto di consumare in vita. Allora le lacrime di lutto avranno un peso storico e temporale diverso, vicino ad un’eternità di spirito che tante religioni vagheggiano.
Attorno a questo desiderio pianificato nei minimi dettagli, un mondo di ricordi pesanti, rievocati fin troppo schematicamente nella prima parte del film, che affollano la confessione di una donna in bilico sul grande vuoto che la ingloba.
E l’impalcatura di regole e divieti da cui proteggersi, da schivare, da ignorare, per non cadere in responsabilità penali che in questa faccenda, come in molte faccende di questo tipo, non c’entrano nulla.
Fotografia superba. architetture sorprendenti, cromatismi estremi
Tutto accade velocemente, The Room Next Door scorre veloce, cola leggerissimo, facile, troppo facile, con curve ed accenti dolorosi, ed ogni sospetto, cattivo pensiero, pregiudizio, commento al politically correct tiranneggiante, ogni alzata di sopracciglio, che pur arriva con una certa frequenza, è esposto e digerito come una ferita cicatrizzata con cui si sa di dover avere a che fare, ma che non impedirà all’arto infortunato di continuare a funzionare.
Almodovar alla sua prima produzione hollywoodiana, non cede di un millimetro alla propria stoffa personale, al proprio singolare, immaginifico rigore, anzi ne pennella il grande schermo con effetti di una grazia catastrofica.
The Room Next Door sfoggia una fotografia lussuosa e policromatica, i suoi colori sono accostamenti esplosivi che parlano di vita e bellezza anche nel momento del perduto, di cura per ogni singolo dettaglio, in un’architettura chic, elegantissima, sperduta chissà in quale mondo felice non odierno, che aumenta la sensazione di pulizia dello spirito e di quanta armonia contenga non solo la vita ma anche la morte.
The Room Next Door – Cast
Le interpreti sono coppia iconica, complementari per energie e temperature, calore ordinato e ghiaccio compassionevole, due poli di una bilancia femminile, disinvolta, soprattutto consapevole. La Moore e la Swinton, che ombreggiano nei loro nomi la cinematografia cara al regista di Bergman e di Fassbinder, hanno una complicità massima, si rimandano ricordi di una libertà oggi quasi imparagonabile, perché diventata moda, non necessità ontologica, come lo era per loro.
Ogni gesto è intriso di letture e letterature, pezzi cinematografici, un patrimonio umanistico che nutre l’anima su cui oggi sembra inutile soffermarsi e che per Almodovar è continua fonte di ispirazione. Lirismo senza sottolineature, tenerezza dentro le geometrie, un Buster Keaton che corre tra i massi che cadono, il compagno umorismo, la risata nella disgrazia. Gente di Dublino a suggellare con i suoi versi la chiusa del mistero che ci mette e ci toglie dal mondo.