The lie è uno degli otto film, diretti da otto nuovi talenti registici, inseriti sulla piattaforma di Amazon Prime Video dal 2020 al 2021, facenti parte di Welcome in the Blumhouse. Quest’ultimo è un progetto che promuove giovani direzioni di lungometraggi impegnate nella realizzazione di prodotti schierati verso il genere thriller, horror, mistery, in cui l’adrenalina scorre a fiumi e la suspence viene costantemente alimentata, in favore di un pubblico di giovani, ma anche meno giovani, il quale possa facilmente e piacevolmente restarne soggiogato.
Nello specifico i primi quattro titoli in programma, per esplicita dichiarazione dei promotori, ruotano attorno ai temi “dell’amore e della famiglia, quali forze redentrici o distruttive” mentre i secondi quattro vertono “sui classici orrori e sulle fobie personali”. Il punto di vista e la visione complessiva portata a termine devono essere se non inedite, quantomeno originali e The Lie è la prima opera figlia di questo progetto.
Diretto da Veena Sud, scrittrice, produttrice e regista canadese-americana, (sue sono le serie Cold Case e The Killing), il film parte da un interessante e meritorio spunto, ma disconosce l’epica di genere con un finale-demolizione delle aspettative suscitate: per questo The Lie è un mancato bersaglio.
The lie – Trama
La storia è quella della quindicenne Kayla (Joey King), figlia unica in pieno mood adolescenziale di Jay (Peter Sarsgaard) e Rebecca (Mireille Enos), coppia separata e molto impegnata nei rispettivi diversissimi lavori, che si divide la cura e l’educazione della giovane ragazza, tra sbalzi di umore, cambi di idea e segreti tipici dell’instabile età.
Una mattina, sulla strada per il ritiro di danza cui Kayla deve pur malvolentieri partecipare, il padre che l’accompagna offre un passaggio a Britney, un’amica della figlia. Poco dopo in un incidente avvenuto fuori dall’auto, dentro un bosco innevato vicino la strada, ritroviamo Jay con Kayla sconvolta in bilico su un ponte; la ragazza dice di aver accidentalmente spinto l’amica giù nel fiume semighiacciato.
Inizia l’incubo per la famiglia: madre e padre si votano anima e corpo a segretare quanto accaduto per difendere la loro bambina, nel terrore che possa essere incriminata per omicidio volontario alla stregua di un adulto ed incarcerata per chissà quanto, mentre Sam Ismali (Cas Anvar), il padre di Britney, inizia a fare domande in modo sempre meno controllato, sospettando che ci sia qualcos’altro che la coppia non vuole fargli sapere e diventando il capro espiatorio su cui Jay e Rebecca depistano le indagini.
La polizia tramite i servizi sociali inizia ad investigare su Sam, scopre rapporti non proprio idilliaci tra le due giovani, dubita e setaccia la zona dell’incidente, mentre i genitori di Kayla si muovono come lupi braccati, uniti e pronti a tutti, determinati a commettere la qualunque pur di salvare la figlia. Kayla dal canto suo resta sospesa tra confusione, rimorso ed una normalità interdetta, che la lascia agire dopo l’incidente come se nulla fosse accaduto.
The lie – Recensione
Qual è la bugia in campo? E fin dove ci si può spingere per tenere in piedi una bugia? Nelle lande innevate di bianco, ghiaccio e vetri che circondano Toronto, luogo in cui si sono realizzate le riprese, si svolge questo dramma-psicologico che dal thriller prende il via per approfondire le dinamiche familiari che si innestano quando non tutto va come deve andare.
Se è la cosanguineità a chiedere protezione, sembra che limiti e confini si spostino ineluttabilmente verso un acritico non ritorno. Si avvicinano cose e persone che prima non si sfioravano neppure; si frantumano cose e persone che prima sembravano inscalfibili: dunque si creano nuovi equilibri.
Allo stesso modo dozzine di figli dimenticati dalla società davanti ad uno schermo e dietro una mascherina, ingaggiano una lotta alla vita contro la noia, nella ricerca di tutto e di niente, dando vita ad atteggiamenti che mettono spesso in difficoltà, se non in pericolo, non solo loro, ma anche chi vive accanto a loro.
Irresponsabilità genitoriale e filiale, mancanza di valori che degrada in un malessere articolato in farsa di sopravvivenza, in cancellazione del problema, in manovre per richiamare lo sguardo volte a colmare un vuoto d’attenzione pneumatico, destinato a sfaldare le forze emotive in campo, nate, invece, per starsi accanto. E la famiglia insabbia, ed il figlio mente, e il solito sospetto cade, ed il resto di mondo fagocita, strazia e dimentica.
Se lo spunto di riflessione è lungi dall’essere malvagio, la sua realizzazione lo è molto meno. The lie ruota attorno alla condizione di Kayla che resta fastidiosamente astenica, di difficile empatia, arma caricata a salve, ingabbiata in un clichè statico e poco approfondito, mentre i genitori sono topi in trappola che macinano chilometri di disperazione e sotterfugi, soldatini ignari che vanno incontro alla loro rovina. La caduta dei padri ed il disimpegno dei figli, la distruzione del vecchio per la salvezza di un nuovo che non sembra poi avere tutto questo valore, nè volere una così radicale trasformazione. Certo anche i genitori separati hanno le loro colpe, poiché hanno teso distanze laddove avrebbero dovuto cucire ponti, eppure l’assenza di Jay e Rebecca qui non è raccontata al punto da giustificare una tale eversione disastrosa.
Il plot-twist finale, con sorpresa smorza la forza dei toni fin qui consumata in un domino elegante e, tutto sommato, rilassato, rovescia il castello di carte algido costruito e ci lascia con l’amaro in bocca, come se avessimo male investito fede ed intenzioni.
Poco amalgama negli atti, in particolare nella brusca virata di contesto terminale, che arriva come uno schiaffo alla credulità dello spettatore o alla sua perplessità rispetto al ritmo di un thriller dai toni nordici, mentre permane una decisa incertezza sulla verosimiglianza e la concatenazione di alcune reazioni dei genitori, soprattutto, della figlia, autrice di un reato, reticente ed innocente, di cui non convince il comportamento e dal cui personaggio, forse, su carta, ci saremmo aspettati di più.
The lie: Cast
Ottime le interpretazione degli adulti coinvolti: Sarsgaard, padre più vicino all’età scanzonata della figlia e ai suoi segreti che non alla madre, diligente avvocatessa in carriera, stropicciato e disperato, colpito al cuore e sorpreso dall’amore che improvvisamente sente riaffiorare per tutti i membri della sua famiglia, messi in pericolo da un’assurda circostanza, mantiene saldi forza e profondità. Alla stessa stregua, se non superiore, la Enos, madre luminosa e sempre più prosciugata dalla situazione, nonostante le spalle quadrate, gli occhi di cielo e una voce che si fa via via più sottile tra le battute che le sono deputate.
Entrambi, in questa circostanza, dimenticano i rispettivi amori con cui avevano consolato la fine del loro matrimonio, probabilmente con una semplicità e abnegazione eccessive, scoprendo fin da subito il gioco e la direzione della trama.
Sulla giovane King, permangono parecchie incertezze, in parte imputabili ad uno sviluppo monco e fastidioso del suo personaggio, in parte ad una scompostezza con cui dipinge ed esprime paura e difficoltà, estroiettate quasi casualmente, forse poco accurate, forse appiattite su un’esigenza di verosimiglianza adolescenziale che qui però dovrebbe essere esemplificativa, emblematica, non un “come se” qualunque.
Lo richiederebbe anche l’ambientazione, geometrica e gelida, che si muove attorno ad una casa di tre piani isolata ed a vista, trasparente e labirintica al contempo, in cui la vista filtra, la luce anche, ma solo in apparenza, esattamente come agisce la storia.
Parca la colonna sonora, qualità che si apprezza sempre in un filone che ne fa strage ed abuso per facile effetto sensazionale. The lie dimostra come la rovina generi la rovina, al pari dei miti greci più sacri, ma anche di come la fesseria generi altra fesseria, al pari delle più apatiche trovate made in generazione zeta.