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The last of us, la trasposizione televisiva del videogioco

The last of us è una serie tratta dall’omonimo videogioco targata HBO che fin dal suo debutto ha raccolto gli elogi di una grandissima quantità di pubblico, fatta da appassionati del videogioco ma anche da chi ne aveva solamente sentito parlare.

Il prodotto è stato realizzato da creata da Craig Mazin e Neil Druckmann, quest’ultimo è proprio colui che ha creato il videogioco. In quanto tale ha “protetto” la serie da eventuali differenze o mutamenti troppo forti rispetto alla storia originale che caratterizzano, di norma, ogni trasposizione seriale di un prodotto videoludico.

I consensi che ha ricevuto The last of us sono da ricercare nella minuziosità tecnica che la compone, sia per quanto riguarda la fotografia che la sceneggiatura, ma anche proprio per questo “rispetto” che la resa seriale ha mantenuto nei confronti del videogioco, senza negare qualche “chicca” in più.

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The last of us: videogioco e trama

Il primo episodio di The last of us è stato un record: è stato seguito da 4,7 milioni di telespettatori negli Stati Uniti, ha battuto quindi il record di più grande debutto dal 2010 che era stato il primo episodio di House of the Dragon, prequel di Game of Thrones. Il videogioco racconta di come una pandemia generata da un fungo di nome Cordyceps mutato abbia messo in ginocchio gli Stati Uniti. Il fungo trasforma gli esseri umani in quasi mostri estremamente aggressivi.

Il protagonista è Joel che, dopo aver perso la figlia, vent’anni dopo intraprenderà un viaggio pieno di incontri e avventure. Partirà insieme con Tess dalla zona di quarantena dove vive per cercare il fratello di cui non ha notizie. Questa zona di quarantena è situata tra le rovine di Boston, dove imperversa una dittatura militare. Tess e Joel intraprenderanno un viaggio per portare una ragazzina di nome Ellie alla Old State House, a causa di un patto stretto con il capo di un gruppo ribelle.

I fatti narrati nella serie specie nei primi due episodi sono pressoché uguali: i pochi minuti di gameplay sono tradotti minuziosamente in un’ora e mezzo di primo episodio, alcune battute e inquadrature sono praticamente identiche. Ci sono inoltre diverse citazioni anche a vari momenti del videogioco che creano una fidelizzazione e connessione tra i due prodotti, senza dimenticare di rendere efficace la visione anche per chi non avesse mai sentito parlare di The last of us.

Narrazione seriale e narrazione videoludica

Per adattarlo a logiche prettamente seriali, The last of us non è comunque esattamente identico al prodotto a cui appartiene. Un esempio lampante è quello delle figure femminili: nel primo gioco ancora la figura della donna nel videogioco doveva essere quella della “semplicemente bella”, simile alla bambola, come possiamo notare dall’aspetto di Ellie nella prima versione del gioco; quando il gioco fu restaurato questo aspetto è stato effettivamente modificato, e lo stesso vale per il cast. Ci sono state inizialmente polemiche per alcune scelte, ma che non vanno a inficiare effettivamente la natura del personaggio o della trama.

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I creatori della serie hanno spostato cronologicamente gli eventi per rendere tutto più contemporaneo, infatti la storia è ambientata ai giorni nostri. Lo storytelling riguardo ai personaggi è stato approfondito, le ambientazioni e gli spostamenti sono stati resi più realistici. Il cambiamento più emblematico e forte che i fan del videogioco avranno notato è la stata la scelta di eliminare il modo originale con cui il fungo si propaga. Nel gioco ciò avviene tramite spore, nella serie si spiegherà che gli infetti sono tutti collegati con una sorta di rete, quindi l’infezione avviene tramite viticci o filamenti.

Questo cambiamento mostra la necessità di adattare un videogioco in una trasposizione televisiva che sia funzionale anche esteticamente. Se avessero mantenuto le spore, i membri del cast avrebbero dovuto indossare delle maschere antigas, cosa che avrebbe inficiato la recitazione e l’espressività che uno spettatore si aspetterebbe da loro. Se in un videogioco non è fondamentale la presenza di queste maschere, nella serie sicuramente lo è e quindi anche tale differenza risulta funzionale. Come quella di inserire personaggi e membri del cast verosimili con l’età raccontata.

The last of us: il terzo episodio

La terza puntata della serie è quella che si distacca maggiormente dal videogioco, ma è stata anche quella più lodata e apprezzata per la forte carica emotiva che la caratterizza.

I personaggi introdotti esistono via nel videogioco, sono Bill e Frank e conservano la loro caratterizzazione come personaggi; in realtà nel videogioco, tuttavia, il loro legame non è approfondito ma viene lasciato tra le righe il fatto che ci sia una relazione omosessuale, che comunque sta in secondo piano.

Questo aspetto è stato invece valorizzato dal creatore che con una scelta, di questi tempi, super coraggiosa, di sbattere in faccia a chi pretendeva di sapere cosa fosse The last of us la verità di una umanità in cui trova spazio anche la struggente storia d’amore di questi due uomini innamorati, in una società come quella americana.

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L’episodio che rappresenta l’essenza del videogioco

Neil Drackman ha creato il gioco del resto, e ne ha approfittato per inserire qualcosa che non ha potuto mettere nel gioco, in cui la storia è importante ma nel quale le dinamiche videoludiche sono differenti e forse più frettolose per ovvi motivi. Nick Offerman, che interpreta Bill, offre qui una grande prova di recitazione in un episodio che rappresenta probabilmente l’essenza del gioco.

Sappiamo infatti che se The last of us è stato inserito tra i migliori giochi di tutti i tempi non è solo per la capacità di intrattenere, ma per quella di emozionare. La serie approfondendo sottotrame e non detti consente a tutti, fan del videogioco o meno, di vedere come l’umanità lotti, come l’amore possa resistere, in contesti di distruzione e rovina.

Il risultato è un prodotto validissimo sul piano della regia e della scrittura, con un cast valido e con la capacità di sospendere l’incredulità dello spettatore fino a lasciarlo sprofondare in un viaggio dell’eroe che non è dei protagonisti ma prima di tutto suo.

PANORAMICA RECENSIONE

regia
soggetto e sceneggiatura
interpretazioni
emozioni
Roby Antonacci
Roby Antonacci
Giornalista per Vanity Fair, collaboratrice per Moviemag, scrivo da sempre di cinema con un occhio attento a quello d'autore, una forte passione per l'horror e il noir, senza disdegnare i blockbuster che meritano attenzione.

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