John Brown non è l’uomo che ha messo fine alla schiavitù. Occorrerà, dopo di lui, il conflitto più sanguinoso di tutte le guerre combattute dagli Stati Uniti messe insieme. La guerra di secessione conterà ben oltre un milione di vittime. E pare non siano stati sufficienti i 156 anni trascorsi dalla sua fine per disarcionare l’ineguaglianza sociale che intercorre con violenza ancora oggi fra bianchi e neri d’America.
Ma nessun uomo che si consacrò con tanta generosità ad una giusta causa può dirsi sconfitto. John Brown non è l’uomo che ha messo fine alla schiavitù, ma è colui che ha sparato il primo colpo. L’uomo che ha iniziato la guerra. Lui era esattamente come i bianchi dipingono Dio: occhi di cerulea severità e saggio viso barbuto annunciavano indulgenza verso i più deboli e terrificante intransigenza verso i peccatori. Preghiere interminabili, grida sguaiate e fucili: così John Brown (1800-1859), predicatore abolizionista, intraprese la sua rivoluzionaria lotta contro la schiavitù negli Stati Uniti. “The Good Lord Bird” è una miniserie insolita che potrebbe persino sembrarvi irriverente per il divertimento che saprà provocare anche dinanzi alla violenza e al sopruso. Ma è questo il motivo che ci fa pensare che sia bene non perdersela per nessuna ragione.
“The Good Lord Bird”, miniserie prodotta da Blumhouse (la production company di Jason Blum, la stessa di “Scappa – Get Out” e “BlacKkKlansman”), distribuita in Usa da Showtime e in Italia da Sky Atlantic, edifica le sue fondamenta narrative sul libro omonimo di James McBride, autore pilastro della nuova letteratura black vincitore del National Book Award. Lo scrittore è stato definito «una voce comica e originale come non se ne sentivano dai tempi di Mark Twain».
Ethan Hawke è rimasto affascinato da questo testo fin dall’anno della sua prima uscita (2013), tanto da appiopparne la lettura a chiunque gli girasse intorno in quel periodo, tanto da diventare il creatore, il co-sceneggiatore, co-produttore e l’esaltato giustiziere protagonista della miniserie, adattata per il piccolo schermo insieme alla moglie Ryan Shawhughes.
L’attore di Austin, il normal guy del romantico “Before Sunset” e “Before Midnight” di Linklater e dell’action “Training Day” di Fuqua, si trasforma in un tornado la cui furia è ispirata direttamente da Dio. Ethan Hawke, infuso di ferocia e religiosità, funziona alla grande. L’attore ha voluto nella serie anche la figlia Maya, nata dal matrimonio con Uma Thurman. La giovane attrice interpreta la stessa figlia del capitano Brown. (Maya Hawke era una delle seguaci di Manson in “C’era una volta a… Hollywood” di Quentin Tarantino: quella che all’ultimo decide di non prendere parte all’assalto in casa DiCaprio-Dalton, la ricordate?)
John Brown, a metà tra un militante pieno di fervore e un criminale sovversivo, insieme all’esiguo numero di uomini al suo seguito, fu il protagonista degli eventi del Bleeding Kansas, culminati con la tragicamente nota incursione di Harper’s Ferry, in Virginia. Le sue infuriate battaglie e il suo sacrificio (fu impiccato nel 1859) sono stati la fiamma da cui la guerra civile americana ha iniziato ad ardere, illuminando per la prima volta il lungo sentiero che i diritti degli afroamericani avrebbero dovuto percorrere per essere affermati.
“The Good Lord Bird” è una storia quasi vera. Solo alcuni degli eventi raccontati nella serie sono davvero accaduti. Ma Bibbia, fucile e coraggio c’erano di certo. John Brown era convinto di essere guidato da Dio e questo gli donava l’irrefrenabile presunzione dell’impossibilità del fallimento. Ma lui e i suoi 21 uomini furono sopraffatti. Brown fu arrestato e impiccato pubblicamente. Oggi, l’obelisco commemorativo in pietra che si trova sul luogo dell’ultimo raid ad Harper’s Ferry non ha il suo volto. La facciata è priva di immagine. È possibile così proiettare sulla roccia anonima le proprie interpretazioni, liberi dai commenti della Storia, sul giustiziere John Brown. Al contempo però, sappiamo che un ricordo depredato di immagini, è più facile che sia vinto dal tempo. “The Good Lord Bird” intende regalare a John Brown sembianze impossibili da cancellare. Ethan Hawke inamidato di sudore, infuocato di fervore, che urla prega e sputa, durante i suoi monologhi da pellegrino armato, è così inebriante da essere indistruttibile anche al trascorrere del tempo.
Non è il barbuto infervorato Brown a narrare la sua rivolta. A parlare di quei giorni ingiusti intrisi di polvere da sparo è Henry (Joshua Caleb Johnson), un ragazzino di colore liberato dalla schiavitù dallo stesso Brown. Le sue catene si sono spezzate per caso, in uno scontro a fuoco in cui la lingua del capitano Brown si è mossa molto più velocemente della sua capacità di riflettere. È proprio a causa delle parole altisonanti e della pistola dal grilletto più che facile dell’abolizionista Brown che il padre di Henry ha perso la vita.
Sentendosi in colpa per l’accaduto e temendo che il giovane solo al mondo non sapesse come gestire il suo neo stato di persona libera, gli offrirà (o imporrà?) la sua protezione e gli eterni soliloqui sulla risonante parola di Dio, a cui già sottostava il suo esiguo seguito di pistoleri. E come se il dormire all’agghiaccio, lo spaccarsi i denti con il granturco e il nutrirsi di grilli non fosse stato sufficiente, il giovanissimo Henry viene fin da subito scambiato per una ragazza. Nessun dubbio sembra mai pervadere il vecchio Brown. Tanto che finirà per affibbiargli un nomignolo tutt’altro che virile, ovvero Little Onion (Cipollina) e donargli un abito da vera signorina destinato ad una delle figlie.
Per non contraddire il predicatore, dal quale è ragionevolmente intimorito, il giovane non troverà il coraggio di svelare la sua vera natura, in quanto ciò significherebbe evidenziare un notevole errore di valutazione dell’uomo bianco. Henry inizierà a vestire e a comportarsi come una donna, divenendo presto una specie di porta fortuna dell’intera banda armata guidata da Brown.
Il giovane finirà per ritenere l’essere scambiato per una donna come un vantaggio. Dispensato dai lavori più faticosi, dalle sparatorie e dal cameratismo machista della combriccola, apprezzerà molto il poter rimanere nelle retrovie in quei tempi duri. Con il passare del tempo il desiderio di indipendenza, quello di divenire protagonista della sua vita, e di potersi avvicinare ad una ragazza in maniera onesta però si faranno sentire. Ma Henry ha imparato che la menzogna è l’unica strategia di sopravvivenza degli schiavi neri nei rapporti con i bianchi.
Il suo rapporto con il predicatore militante Brown è uno degli elementi che rende l’intera narrazione emotivamente coinvolgente. Nessuno si stancava mai di ascoltare le storie del vecchio. Eppure Henry si rattrista nel vedere tutti quei bianchi piangere per i neri, perché se anche ci fosse stato un altro nero come lui ad ascoltarlo quello avrebbe saputo di non dover fiatare. Persino l’equanime John Brown può essere scambiato per un padrone in un mondo in cui essere schiavi viene considerato l’ordine naturale delle cose.
“The Good Lord Bird” è un’avventura coinvolgente, ma anche una commovente esplorazione di un’identità divisa tra ciò che conviene e ciò che è giusto, sospesa tra l’odio per la subordinazione e la paura della libertà. Il giovane Henry rinchiuso in abiti che non gli appartengono inizierà a pretendere la vera libertà solo dopo l’incontro con Frederick Douglass (Daveed Diggs), politico e abolizionista nero. Il famoso declamatore, che nella vita reale ha posato per più di 160 immagini, è stato probabilmente l’americano più fotografato di quel tempo. Si presenta come black dandy ossessionato dalla propria immagine la cui eccentricità lo porta a vivere, in pieno contrasto con i benpensanti costumi dell’epoca, con la moglie nera Anna e l’amante bianca Helen sotto lo stesso lussuosissimo tetto.
Douglass è erudito, sofisticato e moderno. Brown è impulsivo, selvaggio e scorbutico. Ogni interazione fra i due è mediata dalla grande deferenza che Brown mostra al divino Douglass, in quanto lui uomo nero istruito e noto a tutta l’America può fare la differenza, può consentire agli scontri animati dalla scarsa dozzina di pistoleri di Brown di trasformarsi in una rivolta molto più ampia. Douglass non è però d’accordo con i metodi disorganizzati e violenti del primitivo sanguinario Brown. Dinanzi al tergiversare del politico Douglass, Henry “Cipollina” comincerà ad avvertire come particolarmente fastidioso, sino a ritenerlo inaccettabile, il sottrarsi dei neri privilegiati ad una guerra più che mai necessaria.
“The Good Lord Bird” è un racconto avvincente soprattutto grazie alla sua irriverenza. Persino un’icona della lotta alla schiavitù come Frederick Douglass viene ritratta in maniera smodata e sovrabbondante. Così come interpretato da Daveed Diggs in questa serie, Douglass non appartiene al 1850, e nemmeno al XIX secolo. La sua presenza è così maestosa, da risultare eminente ma perennemente fuori dal tempo. Lui che iniziò la sua vita come schiavo, fuggì, divenne un autore, un oratore e uno statista, tutto questo mentre tantissime persone di colore erano ancora in schiavitù. Eppure “The Good Lord Bird” ha il coraggio di giocare con la sua fama e la sua immodestia, e Diggs ci regala una grande e divertita interpretazione.
Ethan Hawke con il suo scatenato John Brown fa esattamente la stessa cosa. Solo a briglie completamente sciolte. Un personaggio imprevedibile, che rimbrotta con la Bibbia sempre sotto braccio e uccide con il fucile sempre carico. Hawke ci offre un’interpretazione da antologia vestendo i panni di quello che ha definito “il personaggio più impegnativo, gratificante e politicamente urgente che ho interpretato nei miei 35 anni di carriera d’attore”.
“The Good Lord Bird” urla con voce fuori dal coro, sconveniente, indelicata le gesta e i sacrifici del profetico anticipatore della guerra civile americana, avvenuta due anni dopo la sua impiccagione. La sua irragionevole fede e il suo idealismo estremo sono state un contributo fondamentale all’abolizione della schiavitù. La violenza spalmata a grandi dosi sullo schermo non viene utilizzata per descrivere la condizione disumana degli schiavi, ma è completamente ad appannaggio del suo pellegrino tutto Bibbia e pallottole, capace di giustiziare a sangue freddo chiunque si dicesse favorevole alla schiavitù. Questo perché l’essere schiavo è una condizione che per essere raccontata non necessita di alcun risalto visivo: lo squallore della subordinazione è tutto nella granitica credenza che l’uomo bianco possa disporre a suo piacimento dell’uomo nero. La normalità perversa è ritratta perfettamente dall’ironia e dai toni enfatizzati e grotteschi di questa narrazione, perché a raccontare l’irrazionale può riuscire solo il ridicolo dell’assurdo.
Il carattere del racconto è costantemente eccesivo ed iperbolico, tanto da ricordare i western alla Tarantino, la commedia dei fratelli Coen e lo Spike Lee di “BlacKkKlansman” e “Da 5 Bloods”. Audace, frenetico, grottesco e con il coraggio narrativo di stravolgere e riscrivere una parte della storia, non tanto per fornirne una nuova versione, quanto per dare nuovo vigore a quella che già conosciamo. Un’operazione che ricorda da vicino la grottesca e intrigante serie pulp “The Hunters”, dove Al Pacino e i suoi cacciatori super hero stanano gli ufficiali nazisti che vivono sotto false identità in America.
La sigla colorata e beffardamente kitsch è una squisitezza fumettistica, con tanto di cipollotto che schiva i proiettili (proprio come vedremo fare nel corso dei sette episodi dal giovane Henry in gonnella). Troviamo una suddivisione in capitoli di tarantiniana derivazione, in un font esagerato e grossolano. Persino la regia si mostra goliardica e poco incline a prendersi sul serio: asseconda i frequenti cambi di registro, mutando a seconda del procedere narrativo, passando dall’essere lenta, di un immobilismo quasi teatrale, ad essere irruente, rapidissima, da action inaspettato.
“The Good Lord Bird” è un prodotto eccentrico, coerente nel non prendersi sul serio, coraggioso nel tono ironico ed irrisorio che sceglie di mantenere fino ad un riuscitissimo finale. “The Good Lord Bird” è un racconto in cui giovani uomini vengono scambiati per donzelle, dove si credono salvatori uomini con grande affinità alla truffa, e dove persino i folli possono essere creduti valorosi eroi. La commedia dell’equivoco approda in un teatro in cui tutto è ancora possibile, sebbene tutto sia già accaduto. La storia di John Brown è stata scritta dal tempo quasi due secoli fa, eppure questo show in costume imbraccia il fucile come se la sua insurrezione dovesse ancora compiersi.