Raramente nella storia del cinema recente è esistito un film tanto atteso quanto The French Dispatch of the Liberty, Kansas Evening Sun (più comunemente noto come The French Dispatch), decimo film di Wes Anderson. Il progetto, già da tempo nella mente e nelle intenzioni dell’autore e regista, ha iniziato a delinearsi concretamente nell’ormai non più vicinissimo 2018. Nel novembre di quell’anno le riprese hanno avuto inizio, per concludersi agli inizi del 2019, ma a causa del contesto pandemico la distribuzione è stata rimandata per più di un anno. Nel corso di tali mesi l’attesa del pubblico si è amplificata raggiungendo proporzioni esponenziali, finché nel luglio di quest’anno il film è stato presentato al Festival di Cannes (in concorso). Da questo novembre la pellicola (108 minuti di durata complessiva) è presente nelle sale cinematografiche italiane, pronta ad entusiasmare gli spettatori con i tipici toni andersoniani in bilico tra dramma e commedia.
La trama del film
The French Dispatch declina la formula della narrazione per episodi inserendola nella cornice della redazione di una rivista, coordinata da Arthur Howitzer Jr. (Bill Murray). Ognuno dei quattro episodi proposti costituisce il racconto per immagini dei quattro articoli presenti nell’ultimo numero della rivista. Nella glossa introduttiva costituita dal primo episodio – Il reporter di ciclismo – il giornalista Herbsaint Salzerac (Owen Wilson) esplora con la propria bicicletta i luoghi più simbolici della città di Ennui, descrivendo anche il passato del luogo fittizio, le tradizioni e gli abitanti. Nel secondo episodio – Il capolavoro nel cemento – è narrato il curioso caso di Moses Rosenthaler (Benicio del Toro), carcerato nelle prigioni di Ennui che scontando la sua pena scopre una personalissima predisposizione per l’arte figurativa, ispirato dalla sua musa Simone (Léa Seydoux), agente penitenziaria della prigione. Il carcerato Julien Cadazio (Adrien Brody) aiuterà Moses a far conoscere la sua arte in tutto il mondo.
Nel terzo episodio – Revisioni a un manifesto – la giornalista Lucinda Krementz (Frances McDormand) fa riferimento ad un periodo del suo passato in cui, già adulta, aveva assistito alle rivolte studentesche dei giovani di Ennui che hanno portato alla “rivoluzione della scacchiera”. A capitanare gli iracondi e intellettuali giovani studenti svetta Zeffirelli (Timothée Chalamet), che chiedendo a Lucinda di revisionare il manifesto della protesta si legherà a lei più del previsto. In La sala da pranzo privata del commissario di polizia, Roebuck Wright (Jeffrey Wright) racconta di una cena tenuta dal Commissario di Ennui (Mathieu Amalric), cucinata dal leggendario Nescaffier. Con un inaspettato rapimento la cena assume le forme di un inseguimento frenetico e caotico, dove il Commissario e i suoi ospiti si opporranno ad una sgangherata banda di criminali. A chiusura del film (e dell’ultima edizione della rivista), la redazione della rivista si riunisce per redigere un ultimo sentito necrologio.
Gli aspetti tecnici in The French Dispatch
Il lungometraggio riassume magistralmente gli stilemi più cari al regista: in questo senso, The French Dispatch è somma e manifesto della concezione registica di Wes Anderson. Gli orpelli stilistici andersoniani si fanno in questo caso marcatissimi, onnipresenti, segnalando per l’intero minutaggio una forte presenza registica dietro alla macchina da presa. Non manca la consueta e minuziosissima attenzione per la costruzione dell’inquadratura (e dunque dell’immagine). Il livello iconico stesso si fa, con Anderson, portatore di significato anziché mero vezzo estetico. La costruzione dell’immagine diventa un campo di forze in cui regnano equilibrio, simmetria e prospettiva. Nulla è lasciato al caso, lo studio compositivo pregresso alla ripresa è attentissimo tanto quanto lo è il montaggio, affidato a Andrew Weisblum (collaboratore abituale del regista). Non manca in questo film neppure la consueta attenzione di Anderson nei confronti del colore: le sue tipiche tinte inondano l’inquadratura conferendo carattere e significato alla pellicola stessa.
Tuttavia, con questo decimo film Anderson si concede anche ad uno sperimentalismo inedito, che investe sia il piano del colore che quelli del montaggio e delle tecniche utilizzate. In questa pellicola il regista lascia ampio spazio all’uso del bianco e nero, dosandolo con attenzione e cognizione di causa. L’utilizzo che ne fa Anderson, alternandolo costantemente al colore, rivela uno studio pregresso attentissimo e carica tale scelta visiva di un significato profondo. Anche il montaggio osa di più in questo caso (soprattutto nel secondo episodio), con un uso singolare del campo/controcampo e ribaltamenti dell’inquadratura a 360°. La regia, seppur riportando alcuni stilemi cari ad Anderson (su tutti, carrellate e vertiginosi zoom) si lascia contaminare da altre tecniche. Così all’interno del lungometraggio trovano spazio, ad esempio, tableaux vivants e animazione, tracce di un’identità registica giocosa ma al contempo audace.
Il cast di The French Dispatch
Uno dei motivi per cui il film ha fatto tanto parlare di sé nei mesi precedenti è stato proprio l’incredibile cast. Oltre ad essere eccezionalmente numeroso, infatti, si compone di moltissimi attori di primo livello. Raramente nel cinema recente un film ha potuto vantare un cast del genere, costituito da un campione significativo della Hollywood odierna. Come di consueto, Wes Anderson non rinuncia a quelli che sono i suoi attori feticcio e li integra nel progetto seppur per pochi minuti: compaiono così gli onnipresenti Bill Murray, Adrien Brody, Owen Wilson e – brevemente – Jason Schwartzman, Edward Norton e Willem Dafoe. Non manca neppure Anjelica Huston, tanto cara al regista, che compare (pur non apparendo mai sullo schermo) in veste di narratrice nella versione in lingua originale. The French Dispatch è però per Wes Anderson anche un film di grandi ritorni, in cui tornano a collaborare con lui interpreti che aveva già incontrato una volta nel corso della sua carriera.
Compaiono così Tilda Swinton e Frances McDormand, reduci dall’esperienza di Moonrise kingdom, e tornano anche Léa Seydoux, Mathieu Amalric, Saoirse Ronan e Toni Revoli, memori dell’esperienza di Grand Budapest Hotel. Nel film anche interpreti già ampiamente affermati ma new entries della filmografia andersoniana: Benicio del Toro, Jeffrey Wright, Elizabeth Moss, Christoph Waltz. Anderson inoltre si dimostra attento alle nuove promesse del cinema contemporaneo, e riserva un ruolo di rilievo per il brillante e capace astro nascente costituito da Timothée Chalamet. Potrebbe apparire difficile compattare sullo schermo così tante personalità attoriali forti e decise, ma Anderson ci riesce magistralmente, riuscendo addirittura a creare dualismi impensabili che si rivelano particolarmente efficaci (su tutti, McDormand-Chalamet e Seydoux-del Toro). Tutti gli interpreti lavorano brillantemente seguendo e rispettando i toni cari al regista: in questo modo, ognuno di essi finisce per costituire una sfaccettatura unica di quest’opera multiforme.
The French Dispatch: un impareggiabile affresco andersoniano
Con i suoi tipici toni in bilico fra dramma e commedia, tra ironia e malinconia, Wes Anderson realizza un incredibile affresco di esistenze umane – seppur fittizie – vivide e credibili. Il film è emblematico del suo modo di fare cinema, e al di là dell’eventuale gradimento difficilmente è un prodotto che può passare inosservato. Si tratta di un progetto colossale, studiato, minuzioso, un vero e proprio omaggio alla tecnica cinematografica. Ma The French Dispatch è anche molto di più. Con il suo giocoso sperimentalismo e la sua attenzione per i dettagli, l’esercizio di stile di Anderson assume le forme di un accoratissimo inno d’amore per il cinema. Con questa pellicola il regista esplicita, forse con più forza che in qualsiasi altro caso della sua carriera, il profondissimo amore e la devozione che lo legano alla disciplina filmica, portando a compimento un film complesso, pensato, emozionante e monumentale.