Da quanto le serie TV sono divenute un tipo di prodotto così presente sul mercato, con un consumo che ha ormai superato quello dei film, abbiamo visto praticamente di tutto. Ma c’è un genere che non è mai riuscito ad attecchire al palato degli spettatori, ovvero quello delle serie sportive. In particolare, se pensiamo al contesto europeo, qualsiasi appassionato ha sognato almeno una volta nella vita una serie sul calcio capace di catturare i cuori degli spettatori e di fornire una visione coerente e realistica di uno degli sport più amati del nostro continente.
Tutto questo fino all’arrivo di Ted Lasso (QUI la recensione della prima stagione), serie creata da Jason Sudeikis, Bill Lawrence (ideatore anche dell’immortale Scrubs), Brendan Hunt e Joe Kelly, capace di strappare Golden Globe e Emmy a profusione. La serie racconta le gesta di Ted Lasso (lo stesso Jason Sudeikis) strampalato coach di football americano che viene assunto per ritirare su le sorti dell’AFC Richmond, squadra di calcio che bazzica nei bassifondi della Premier League inglese. In realtà il personaggio di Ted Lasso è nato dall’attore americano in una serie di promo per l’emittente NBC Sports riguardanti la copertura della rete del campionato inglese. La serie è andata in onda per tre stagioni a partire dal 2020 ed è disponibile su Apple TV+.
Vediamo quindi se con questa terza stagione, il simpatico allenatore è stato capace di concludere degnamente la sua avventura inglese.
Ted Lasso, la trama
Dopo due stagioni in cui abbiamo vissuto gioie e dolori dell’AFC Richmond, con grandi vittorie, una retrocessione in Championship e una conseguente leggendaria promozione, la squadra di Ted è adesso di nuovo in Premier e si prepara alla stagione della sua consacrazione. Intanto Nate Shelley (Nick Mohammed) è diventato l’allenatore del West Ham, voluto fortemente dal magnate Rupert Mannion (Anthony Head), ex patron della squadra di Richmond. Il “ragazzo prestigio”, così viene scherzosamente chiamato Nate dopo un suo errore di pronuncia, incanta tutti col suo gioco propositivo, mentre la squadra di Ted fatica a ingranare.
Tutto cambia quando Rebecca (Hannah Waddingham), presidente della squadra, grazie anche all’aiuto del fedele Leslie Higgins (Jeremy Swift), riesce a ingaggiare il fuoriclasse Zava (Maximilian Osinski), una sorta di caricatura di vari calciatori realmente esistenti, la cui principale ispirazione è ovviamente quella di Zlatan Ibrahimović. Con l’acquisto di Zava il Richmond risale la classifica fino a giocarsi il campionato con West Ham e la corazzata Manchester City.
Intanto nel corso della stagione vedremo anche tutte le altre linee narrative rimaste in sospeso: il rapporto tra il giovane talento Jamie Tartt (Phil Dunster) e coach Roy Kent (Brett Goldstein), ex leggenda della Premier; la storia d’amore tra lo stesso Roy e Keeley (Juno Temple) che intanto ha aperto la sua agenzia di comunicazione; i vari problemi dei calciatori del Richmond; e, ultimo, ma non meno importante, la situazione familiare di Ted.
Un mix di storie e gag che comunque trovano tutte una sua completezza nel finale di serie.
Tante storie, non tutte riuscite
Partiamo dal presupposto che la carne al fuoco in questa terza stagione di Ted Lasso era veramente tanta. E forse non tutte le scelte si sono rivelate azzeccate. Ad esempio la gestione di alcune storyline è sembrata affrettata e troppo poco curata, come ad esempio il personaggio di Zava, brillantissimo e riuscitissimo, ma caduto inspiegabilmente nel dimenticatoio a metà stagione. O anche il rapporto tra Keeley e Jack (Jodi Balfour), che sembra inserito più per strizzare l’occhio a certe tematiche sociali che per una reale funzione narrativa. Ma anche il percorso di Nate, tra i più interessanti delle prime due stagioni, meritava forse uno sviluppo e una conclusione più soddisfacenti.
Tutto questo, concentrato in una stagione forse non all’altezza delle altre per impatto emotivo e trovate di trama, rendono questa ultima iterazione della serie un po’ meno riuscita delle altre. Difetti che, con la dovuta attenzione, sarebbero potuti essere evitati, rendendo così questa terza stagione praticamente perfetta.
La forza di Ted Lasso
Ma per tante cose non riuscite, ce ne sono altre che invece lo sono eccome e rendono Ted Lasso un piccolo gioiellino della serialità moderna. Alcuni personaggi sono incredibili e notiamo il tocco di Bill Lawrence nel caratterizzarli in maniera ottima, pur rimanendo fuori dalle righe. Ad esempio, coach Beard (Brendan Hunt, anche sceneggiatore della serie) è un personaggio bellissimo, divertente, ma anche capace di sferzate emotive devastanti. Il suo rapporto con Ted, uno dei meno soggetti a cambiamenti dell’intero show, è in realtà in continuo mutamento, e finisce con una chiusura del cerchio nel finale di stagione che risulta davvero soddisfacente, con un distacco che forse prima o poi serviva a entrambi.
Il dualismo Roy-Jamie è poi un altro dei fiori all’occhiello dell’intera produzione: da rivali in squadra nella prima stagione, a rivali fuori (e per amore) della seconda, fino a una strana dinamica maestro-allievo della terza, i due regalano momenti potenti e commoventi, tanto da essere forse uno dei motori propulsori della serie.
Ma anche la presa di consapevolezza di Rebecca, ormai non più schiava dell’invidia e della voglia di rivalsa nei confronti di Rupert; i siparietti di Higgins; il rapporto tra Trent Crimm (James Lance) e il calciatore omosessuale Colin (Billy Harris), tutto trova il suo posto in un equilibrio inconsueto, ma tremendamente riuscito.
Ted Lasso, una serie sul calcio che non parla di calcio
Descrivere Ted Lasso come una serie di calcio che parla soltanto a sportivi e appassionati sarebbe riduttivo e sbagliato. Anzi, le tematiche affrontate sono molteplici e tutte trattate col dovuto rispetto e cura maniacale. In questa terza stagione oltretutto vediamo davvero poco di calcio giocato, ma si affrontano questioni che interessano il calcio moderno: si parla ad esempio di Superlega, un campionato che comprenderebbe le più grandi squadre e star del pianeta, ma che renderebbe questo sport un prodotto elitario, irraggiungibile per i semplici tifosi. Ma si parla anche di omosessualità nel calcio, e le sue conseguenze sull’opinione pubblica; l’importanza della comunicazione nello sport; la tattica (l’episodio “Girasoli“, ambientato interamente ad Amsterdam è forse uno dei più belli dell’intera serie e rende Ted consapevole di quello che è il calcio totale inventato proprio dagli olandesi).
Ma si parla anche di sentimenti e umanità, aspetti che esulano lo sport e che sono propri della vita in generale. In tutto questo, la figura di Ted, forse meno approfondita delle scorse stagioni, è comunque centrale. Ted è una persona buona, ma non per questo esente da fragilità e ferite aperte. Ma l’allenatore di Kansas City non è né un eroe, né un anti-eroe (che tanto va di moda oggi). Ted è un uomo e la sua umanità è talmente potente da condizionare chi gli sta intorno. Ogni risultato raggiunto non è infatti merito suo: i gol li fa Jamie, la tattica è propria di Nate, l’esperienza sul campo appartiene a Roy, la gestione oculata è di Rebecca e Higgins ecc… Ma è Ted a tenere insieme il tutto, un collante così efficace da unire e consentire a chiunque di essere sé stesso al 110%.
E forse è questa la vera essenza dell’essere allenatori. La vera essenza dello sport. La vera essenza della vita.
Un cast incredibile, con tante piccole soprese
Il cast di Ted Lasso è forse l’aspetto più riuscito di tutto lo show, e la scelta dei vari attori sembra quasi miracolosa per come si rivelano efficaci sullo schermo. Jason Sudeikis è bravissimo a tratteggiare un uomo solare e divertente, mai realmente pesante, con ferite aperte che raramente si mostrano, ma che quando lo fanno escono e colpiscono lo spettatore proprio dove fa più male.
Brett Goldstein e Phil Dunster partecipano ottimamente al gioco delle parti e il personaggio di Juno Temple (che forse è il meno brillante in questa stagione) compie le sue incursioni in maniera comunque riuscita.
E poi, senza perdersi a elogiare le performance di Hannah Waddingham (già apprezzata in Sex Education), di Nick Mohammed, di Anthony Head e compagnia, a farla da padrone è la batteria di caratteristi che rendono Ted Lasso una delle migliori serie comedy degli ultimi anni. Jeremy Swift parla poco, ma è sempre tagliente al punto giusto, mentre i vari calciatori come Dani Rojas (Cristo Fernandez), Sam (Toheeb Jimoh) e McAdoo (Kola Bokinni) restituiscono perfettamente quello che si potrebbe vivere in uno spogliatoio.
Ma il top player, per usare il gergo calcistico, è Brendan Hunt, con un coach Beard che è già un personaggio “storico” per quanto riguarda il comedy in TV.
Da apprezzare inoltre un grande numero di camei dal mondo del calcio, mai tanto presenti come in questa stagione: la leggenda del calcio inglese Thierry Henry, l’ex arbitro Mike Dean e, soprattutto, la partecipazione straordinaria di Pep Guardiola durante il match contro il Manchester City.
“Believe”
La terza stagione di Ted Lasso non è forse la serie che tutti potevano immaginare e sognare, ma si rivela pressoché perfetta per concludere le gesta dell’eclettico allenatore americano e della sua banda di calciatori. Piena di citazioni (anche e soprattutto a pilastri del comedy targato USA) e con frizzanti momenti musicali, Ted Lasso finisce coerentemente con tutto quello che è sempre stato: un percorso attraverso la crescita personale dei vari personaggi che devono capire cosa è giusto e cosa è sbagliato per divenire persone migliori.
In particolare, la parabola di Ted è significativa: ha accettato la panchina dell’AFC Richmond per fuggire dai propri problemi nel corso delle varie stagioni, è stato capace di soffrire, di guardare in faccia tutto quello che non andava nella sua vita e infine di affrontare i suoi demoni per poter tornare a essere realmente felice. Il tutto condito da un moralismo di fondo che per una volta tanto non fa rima con “non richiesto”, ma anzi risulta al posto giusto nel momento giusto.
Una grande serie di cui sicuramente sentiremo la mancanza.