Con Taxi Driver e Joker si tirano in ballo due pezzi da novanta; film che, ognuno a modo suo, hanno scritto la storia del cinema. Facile pensare a quest’attribuzione nel primo caso, meno scontato invece associare Joker a una pietra miliare vera e propria. Eppure, i due hanno molto in comune: la loro struttura, i contenuti e il fascino visivo che evocano li rendono quasi due pellicole speculari.
Tra Taxi Driver e Joker non sussiste un paragone ma un vero e proprio parallelo: i due film sono figli del loro tempo e descrivono la società di riferimento in maniera certosina; ognuno con le sue singolari prerogative. Se quindi l’accostamento può sembrare azzardato è logico pensare che la visione non sia stata approfondita. Le similitudini, invece, sono tante.
A partire dai protagonisti che, a ben vedere, fanno fioccare un sorriso di piacere sulle labbra dei cinefili. Da un lato Martin Scorsese a dirigere Robert De Niro in uno dei primi capolavori dell’autore (forse quello che lo ha definitivamente lanciato nel gotha della nuova Hollywood). In Joker anche c’è sempre De Niro che stavolta non interpreta il protagonista ma ha un ruolo molto consono al tipo di discorso che si sta portando avanti.
Qui nasce il primo parallelo ravvisabile: rilevare la presenza del pupillo di Scorsese impone un’associazione a dire il vero forzata e rievoca alla memoria quanto è stata negli anni Settanta con quel cult magnifico che è appunto Taxi Driver. Andando con ordine, è dapprima la trama a dover essere scandagliata: la narrazione avvicina clamorosamente i due film, quasi facendo pensare che la sceneggiatura di Joker sia di fatto un omaggio a Taxi Driver.
Taxi Driver e Joker – Due storie di solitudine
Taxi Driver e Joker condividono innanzitutto l’aspetto prettamente narrativo della questione. Entrambi hanno a che vedere con storie di assoluta solitudine (tema di fondo delle due opere che aleggia lungo tutto l’arco della trama).
Come si diceva, i due titoli hanno tuttavia l’avvedutezza di proporre due immagini ben distinte della disperazione e della noia: in Taxi Driver la matrice è di natura storica, in quanto Travis Bickle è un reduce del Vietnam che torna in patria e deve cercare di sbarcare il lunario. La storia è fortemente permeata quindi da quei sentimenti di spaesamento e sconfitta che dominava l’epoca; tutti dovuti alla percezione di una guerra ingiusta che rischiava di cambiare la società.
L’ambientazione è quindi concreta, realmente vissuta e sperimentata: una New York più notturna che mai imperversa in tutta la sua maestosità fatiscente e le ore di luce sullo schermo si contano con le dita di una mano. L’atmosfera è cupa ma dona allo spettatore un calore tipico del noir (per questo potrebbe considerarsi uno dei film più sperimentali di Martin Scorsese). Travis è un cittadino come tanti, ingobato come gli altri milioni di personaggi nelle spire della Grande Mela.
Joker invece parte da un assunto simile ma al contempo contrapposto. Anche Arthur Fleck è solo, abbandonato come un cane alla fame e ai suoi sogni sgangherati. Da buon prodotto simil fumettistico Joker è ambientato a Gotham City che a differenza della New York scorsesiana non da speranza a chi ci vive. L’ambiente è ancora più grigio, ancora meno confortevole e fa sentire Arthur non la parte del tutto ma il protagonista del niente.
Arthur Fleck non ha gli stimoli di cui gode Travis e sente di essere di troppo; è il membro non voluto di una società non tanto ferita bensì completamente decadente. Simbolo di questo impianto scenico è la sua consapevolezza di essere malato (ha una malattia che oltre tutto rappresenta un’ulteriore barriera sociale). Nel caso di Taxi Driver, il protagonista ha effettivamente una via di fuga, avendo diversi contatti con altre persone che in un modo o nell’altro donano allo stesso una qualche flebile speranza.
Se da un lato rileva una sostanziale innocenza e ingenuità, nel film di Todd Phillips si ha contezza di un isolamento disperato (privo di spunti o slanci di ogni sorta).
Nessuno si salva da solo
Taxi Driver e Joker mostrano un altro parallelo nello spunto che hanno entrambi i personaggi principali di cercare salvezza negli altri. Si stagliano sullo schermo in entrambe le opere figure salvifiche che hanno lasciato il segno ma che poi inevitabilmente hanno deluso: anche qui i simboli sono assimilabili ma il percorso è nettamente diverso.
Travis Bickle ha fiducia in Palantine, candidato alla presidenza degli Stati Uniti. Più che un idolo rappresenta un mentore, colui che può riportare ordine in un America fracassata dalla guerra lontana e prosciugata economicamente dal conflitto più controverso della storia. Il ponte per arrivare a Palantine è la sua frequentazione amorosa che lavora nell’ufficio stampa del politico e all’inizio sembra accogliere Travis, nel suo modo di essere e di pensare.
Fleck invece ha come stella polare il conduttore di un programma televisivo. Non è una spalla ma un vero e proprio mito. Fleck vuole essere come lui e sono accomunati da qualcosa che uno è riuscito a realizzare e l’altro non realizzerà mai: Fleck ha il sogno di diventare un comico ma non ne ha certamente l’ambizione (non avendo mai praticato).
Palantine non ha deluso Travis, Murray Franklin arriva addirittura a farsi beffa del povero Fleck. Tuttavia, sia in Taxi Driver che in Joker si percepisce l’importanza di un maestro, di un condottiero, un leader che possa prendere per mano la gente e trascinarla verso il riscatto. In tutte e due le situazioni ad ogni modo quest’aspettativa viene delusa e il risultato è un’ultima finale mattanza.
Se in Taxi Driver questa è rivolta verso il bene, in quanto Travis ha a cuore la giovane prostituta che si dona in pasto a beceri individui nell’upper west side, in Joker questa diventa delirio. La follia che genera la solitudine di Fleck è un’estrema conseguenza del contraltare esperito nel film di Scorsese. I percorsi sono quindi simili ma il risultato è diverso.
Si parte da condizioni analoghe, incattivite dalle difficoltà del proprio tempo. Poco importa che Joker abbia a che fare con una storia nata dai fumetti: al giorno d’oggi in molti provano l’isolamento che il titolo presenta allo spettatore. Due gioielli quindi che hanno il merito di descrivere la decadenza e il conflitto sociale; chi in un modo, chi nell’altro.