Già nel 2015, il palermitano Luca Guadagnino aveva annunciato di volersi dedicare ad un progetto coraggioso, da alcuni addirittura considerato folle: il remake di Suspiria, film del 1977 dal plauso pressoché unanime che assieme all’altrettanto noto Profondo Rosso (1975) ha contribuito a decretare la fama dello stimato Dario Argento. Per concretizzare la sua visione, il regista ha scelto di collaborare con una troupe variegata e dal respiro internazionale: alla sceneggiatura lo statunitense David Kajganich (i due avevano già lavorato assieme in A Bigger Splash), fotografia del thailandese Sayombhu Mukdeeprom, montaggio dell’italiano Walter Fasano (Viaggio Sola, Io e Lei, Chiamami col tuo nome) e interpreti perlopiù statunitensi e tedesche. Le fasi di pre-produzione, produzione e post-produzione hanno ricoperto un arco di tempo di circa due anni, dal 2016 al 2018, anno in cui Guadagnino, reduce del successo di A Bigger Splash (2015) e della consacrazione con il candidato all’Oscar Chiamami col tuo nome (2017), presenta il suo Suspiria al pubblico. Il regista non ha mai nascosto la sua volontà di ricalcare solo le atmosfere dell’originale, portando tuttavia la narrazione verso derive inesplorate dallo stesso Argento. In effetti, nei circa centocinquanta minuti in cui il film (disponibile su Amazon Prime Video, dove ad oggi è reperibile anche l’originale del ‘77) si sviluppa, resta il classico clima angoscioso, a tratti surreale e spaventoso che caratterizza i lavori di Argento, ma la storia è arricchita da varie sottotrame, e indubbiamente risulta fortemente diversificata dall’originale. Cambia inoltre l’ambientazione storica: la trama si sviluppa proprio nel 1977, anno a cui risale la versione originale.
La trama di Suspiria, il remake del classico di Dario Argento
La narrazione di Suspiria di Guadagnino è scandita da una divisione in sei atti: 1977, Palazzi di lacrime, Prendere in prestito, Nella casa della madre (tutti i piani sono Tenebre), Suspiriorum, Una pera a fette. Nella Berlino del 1977, immersa in un clima di terrore politico e paranoie, una visibilmente instabile giovane di nome Patricia (Chloë Grace Moretz) racconta al suo psicoterapeuta, il dottor Josef Klemperer (Tilda Swinton) di essere scappata dall’accademia di danza che frequentava, la Markos Tanz, dopo aver scoperto che la scuola è in realtà una congrega di streghe capitanata da tale Madame Markos. Il dottore identifica i comportamenti di Patricia come follia, ma comunque si spinge ad indagare sulla questione. Al contempo, l’americana Susie Bannion (Dakota Johnson) arriva in città per frequentare le lezioni dell’accademia Markos Tanz. Sin da subito dà prova del suo innegabile talento, diventa amica della ballerina Sara (Mia Goth) e entra in stretto contatto con la più influente delle insegnanti, Madame Blanc (ancora Tilda Swinton).
Susie attira presto l’attenzione del corpo docente e viene scelta per interpretare la protagonista del balletto Volk, quando Olga, la protagonista designata, sceglie di andarsene dall’accademia indignata dai segreti che le insegnanti celano. Madame Blanc, che in realtà sta cercando l’ospite più idonea in cui instillare l’anima di Madame Markos, fa da mentore a Susie, la sprona a superare i suoi limiti e la incoraggia. Al contempo Sara viene avvicinata dal dottor Klemperer, che le svela le idee di Patricia: la ragazza si rifiuta di ascoltarlo ma appare scossa da quelle rivelazioni. Volk viene portato in scena, e all’esibizione assiste anche lo psicoterapeuta, ma quella stessa sera Sara trova un covo nei sotterranei dell’istituto, scopre alcuni terribili segreti e poi, preda di una misteriosa trance, si esibisce con le compagne. Durante la performance, però, Sara collassa e l’evento viene bruscamente interrotto. Alcuni giorni dopo, mentre il dottor Klemperer viene punito per la sua curiosità, Madame Blanc conduce Susie nei sotterranei affinché possa compiersi la congiunzione con Madame Markos. Il rituale però, non andrà come previsto, e tra colpi di scena e ribaltamenti di potere, viene ristabilito un nuovo ordine all’accademia Markos Tanz.
Il valore della regia e il ruolo delle musiche in Suspiria
Il cinema degli ultimi anni ci ha abituati ad una rappresentazione del mondo della danza visto come ambiente oscuro, tenebroso e mefistofelico: se Il cigno nero (Aronofsky, 2010) già aveva caratterizzato questo filone, le conferme arrivano con il più recente Climax (Noé, 2018). Le atmosfere si ripetono, dunque, in vortici di angoscia e cattiverie, tra elementi narrativi reiterati e trovate innovative. In un panorama di questo genere, certamente l’uso della macchina da presa può essere fondamentale nel fornire un valore ulteriore. Questo è proprio ciò che accade in Suspiria, dove la sapiente e accorta regia di Guadagnino incrementa esponenzialmente il valore del film. Il regista alterna dettagli e staticità a un uso molto dinamico della macchina da presa, con bruschi movimenti di macchina e vertiginosi zoom. Questa mobilità non è certo casuale, ma ha un valore esplicativo: tenta di fornire risposte allo spettatore e accresce i sospetti, contribuendo a portare avanti la narrazione. Questo uso della macchina da presa può inoltre essere considerato un omaggio alla regia del predecessore di Guadagnino, Dario Argento, che era spesso solito arricchire i suoi film con tali stilemi.
Ad avvalorare Suspiria concorrono anche le interessanti e suggestive musiche. A tale componente si è dedicato il celebre Thom Yorke, il compositore e cantante noto frontman dei Radiohead. In particolar modo, le scene di Suspiria che vengono accompagnate dalle note della sua voce eterea, soprattutto quelle tramite cui si introduce il personaggio di Susie, acquisiscono una dimensione sospesa che sfiora l’onirico. È opportuno notare come non si tratti dell’unico caso in cui Guadagnino privilegia questo stile musicali: nel suo Chiamami col tuo nome le immagini sono affiancate dalle meravigliose composizioni di Sufjan Stevens, la cui matrice stilistica non è lontana da quella delle musiche presenti in Suspiria.
La tecnica di Suspiria, tra fotografia, scenografia e montaggio
La qualità delle immagini in Suspiria è sicuramente molto curata, e giocata su accostamenti contrastanti. A tal proposito, il ruolo della fotografia è evidente se si nota la forza con cui si impongono, visivamente, i rossi capelli fluenti di Susie sullo sfondo del grigio ambiente metropolitano di Berlino o, più nello specifico, dei toni tenui dell’accademia di danza. In alcune scene, soprattutto avvicinandosi al finale, la fotografia gioca con tinte e viraggi al rosso. Questa scelta indubbiamente potenzia l’effetto caustico delle inaspettate svolte narrative. Ma tale decisione può essere interpretata anche come un omaggio alla fotografia dei film di Dario Argento, in cui spesso comparivano viraggi (specialmente al rosso, come in questo caso) che evidenziavano momenti decisivi o particolarmente violenti, sanguinosi. Anche la scenografia ha un ruolo fondamentale nella costruzione del Suspiria di Guadagnino. Sin dai primi momenti l’istituto di danza pare un pacifico paradiso se rapportato alle turbolente agitazioni politiche e sociali che colpiscono la città circostante. Per corroborare quest’impressione, gli ambienti della scuola sembrano vivi, pulsanti: con le sue stanze nascoste e i suoi corridoi labirintici, l’ambiente diventa a tutti gli effetti uno dei personaggi. Soprattutto all’inizio, lo spettatore può percepire una piacevole estetica legata agli ambienti dell’istituto. Gli spazi sono ampi, rassicuranti, regolari, dai toni neutri, colmi di specchi che rendono l’ambiente luminoso. Tuttavia, con l’infittirsi della trama, gli stessi ambienti appaiono fin troppo perfetti, e contribuiscono a generare un’atmosfera inquietante.
Di primaria importanza risulta anche il montaggio, sempre studiato e differenziato nei vari momenti del film. Nelle frequenti scene che comportano le visioni notturne di Susie e i sogni, ad esempio, un montaggio rapidissimo, quasi vertiginoso, è veicolo di irrequietezza e malessere. Ma un’altra tecnica che pare fortemente privilegiata dal montatore è quella del montaggio alternato, utilizzato per rendere la simultaneità di due scene, nella più pura accezione griffithiana. Questa tecnica viene utilizzata in modo massiccio soprattutto in due occasioni nel film, e in entrambi i casi una sofferente ballerina sotto tortura viene costretta da una forza misteriosa a replicare i movimenti che Susie (nel primo caso) o tutte le ballerine (nel secondo) stanno effettuando nello stesso momento. L’uso del montaggio alternato, in questi casi, è utile a rendere ancora più evidente la componente di sofferenza dei personaggi e valorizza ulteriormente la trovata dell’eco narrativa tra i movimenti delle ballerine.
Tilda Swinton domina Suspiria con la sua triplice interpretazione, mentre Dakota Johnson tenta di tenere il passo con lei
Suspiria si focalizza sul rapporto tra Susie e Madame Blanc, e le interpretazioni delle due attrici conferiscono valore e credibilità all’intera pellicola. Incredibile il lavoro svolto dalla fenomenale Tilda Swinton, che interpreta addirittura tre personaggi: la ritroviamo nel ruolo di Madame Blanc, la vediamo, pesantemente truccata, diventare il dottor Kemplerer per poi trasformarsi infine, irriconoscibile, nella mostruosa Madame Markos. Vedendo almeno due di questi personaggi apparire talvolta in una medesima scena, per non menzionare il finale in cui appaiono tutti e tre assieme, è difficile tenere a mente la monumentale performance dell’attrice. Ma in Suspiria l’interpretazione (o meglio, le interpretazioni) di Swinton, sebbene non sia la netta protagonista del film, è senza pari, e la risaputa capacità camaleontica dell’attrice risulta strettamente necessaria al conseguimento del risultato finale. È costretta a confrontarsi con quella che può essere a ragione definita uno dei pilastri del panorama attoriale contemporaneo la più giovane e inevitabilmente meno esperta Dakota Johnson, nei panni della protagonista Susie. Sebbene il confronto giochi a favore di Swinton, Johnson si difende bene, lasciando trasparire capacità attoriali che vanno ben oltre alla protagonista timorosa e ipersessualizzata da lei interpretata nella saga cinematografica di Cinquanta sfumature, per la quale è purtroppo nota. Lodevole è la dedizione con la quale l’attrice si è avvicinata al progetto di Guadagnino, studiando danza per un anno prima dell’inizio delle riprese per accorciare il distacco che aveva rispetto alle altre ballerine nel film, non interpreti ma danzatrici anche nella vita reale.
Suspiria di Guadagnino si allontana molto dall’originale, e Dario Argento pare non aver apprezzato il tentativo
Pur essendo il Suspiria di Guadagnino un remake, è evidente che si tratti di un’opera molto personale, che si differenzia fortemente dall’originale prendendosi varie libertà soprattutto nello stile visivo e nella messa in scena, nonché in alcuni snodi della narrazione. È opportuno tenere a mente che Guadagnino non è propriamente un regista horror, perciò si approccia al genere in un modo nuovo, certamente atipico e libero da condizionamenti, a differenza di Argento che ha dedicato l’intera carriera a definire uno stile personalissimo muovendosi sempre dentro ai parametri dell’horror. Le differenze più evidenti tra le due versioni sono innanzitutto quelle relative alle coordinate temporali: la collocazione del film nel 1977 permette a Guadagnino di inserire un filone narrativo a sfondo storico, non presente nell’originale, che connota fortemente la turbolenta atmosfera e si riflette sulla narrazione. Differente è anche l’uso che viene fatto degli effetti speciali, soprattutto in alcune scene di tortura: Guadagnino si affida a tecniche che riflettono comunque il gusto per l’eccesso di Argento ma sono inevitabilmente più evolute dell’originale, a dimostrazione che negli anni lo stile degli effetti speciali si è affinato. Al livello della sceneggiatura, a differenza dell’originale, la versione di Guadagnino integra la figura di Susie con un background personale complesso e articolato, rendendola una giovane statunitense umile ma ambiziosa, ripudiata dalla madre e dalla comunità mennonita in cui è cresciuta. Infine, in questo remake viene data decisamente più importanza all’elemento della danza, che diventa contemporanea sostituendo quella classica dell’originale. Le coreografie curate da Damien Jalet risultano fondamentali per la creazione dell’atmosfera e della narrazione.
Nonostante gli sforzi di Guadagnino nel realizzare un remake che omaggiasse le atmosfere dell’originale, Dario Argento non si è detto particolarmente concorde con la riuscita finale del film. Ha affermato, con dure parole di aspra critica: «Non mi ha entusiasmato, trovo che abbia tradito lo spirito del film originale. C’è poca paura, non c’è musica. Non mi ha molto soddisfatto. La pellicola è raffinata, come Guadagnino, che è una persona fine […] Non voglio esprimere un voto, non sono un professore, ma il film non mi ha soddisfatto, è stato così così». Al di là del giudizio del maestro, probabilmente troppo vicino alla sua versione per poter apprezzare quella del successore, Suspiria di Guadagnino fonde sapientemente tecnica innovativa e omaggi all’originale, delicatezza e gusto per l’eccesso. Probabilmente il paragone con l’originale non gioca a suo favore ma, aiutato dalle irreprensibili performance delle protagoniste, ha portato a compimento un’opera di tutto rispetto, in cui si esplora il genere horror in una chiave inedita e indubbiamente interessante.