Sognando Beckham è un titolo che non può definirsi vezzoso. Anzi, è un film che sorprendentemente risulta anche poco conosciuto, appartenendo ormai a un’epoca diversa (2002). Eppure, il film detiene un primato veramente invidiabile: è la prima pellicola prodotta in occidente ad essere trasmessa in Corea del Nord.
Accadde il 30 dicembre 2010: Sognando Beckham entrò nella programmazione televisiva coreana e deliziò gli spettatori durante quello che può essere inteso a ben vedere come un vero e proprio evento storico. Diede l’annuncio anche l’allora ambasciatore inglese a Pyongyang, Martin Uden, il quale fece percepire alla nazione (ma si potrebbe dire anche al mondo intero) l’immensità di un accadimento culturale simile.
La notizia aveva del clamoroso proprio alla luce di tutta una serie di fattori che rendevano Sognando Beckham un film sorprendentemente accolto dalla censura dei vertici politici. La pellicola, oltre a dipingere un prezioso affresco di multiculturalismo, aveva a che fare con dettagli narrativi che confutavano gli stessi stereotipi occidentali; figurarsi la montagna che il titolo in questione ha dovuto scavare per attecchire culturalmente nel paese più discusso al mondo.
Sognando Beckham – Le ragioni dietro alla storica scelta
Come si diceva Sognando Beckham ha come perno centrale il multiculturalismo. Per chi non avesse avuto l’onore di partecipare alla visione (in Corea o nel resto del pianeta) si sappia che la storia ruota intorno a due ragazze che inseguono il sogno di diventare calciatrici professioniste. Le due sono legate da questo immenso amore per lo sport ma naturalmente vivono in contesti socioculturali opposti.
Jules è inglese; la tipica bionda nordica che ha un fisico slanciato e potrebbe tranquillamente vincere ogni tipo di concorso di bellezza. Jesminder invece è indiana e proviene da una famiglia con radici culturali molto solide. Ciò che le fa incontrare è appunto il calcio ma quello che realmente farà di loro due amiche inseparabili è la concezione per la quale una ragazza che dedica la sua gioventù a uno sport rinomatamente maschile sta perdendo tempo e non arriverà da nessuna parte.
Questo, dunque, l’incipit narrativo che segna l’evolversi della trama, naturalmente protendente all’atto finale di compiuta accettazione da parte delle famiglie del destino delle due giovani. Interessante capire quindi come ha fatto il dipartimento culturale nordcoreano ad accogliere questo tipo di messaggio e favorirne la distribuzione di massa.
Non può trattarsi di completa ignoranza nei confronti del medium cinematografico. Si sa infatti che, ad esempio, il controverso The Interview sollevò non poche polemiche, anche in ambito diplomatico. Una delle ragioni è da ravvisarsi nell’amore della Corea del Nord per il calcio che, a questo punto, merita davvero l’appellativo di sport più amato al mondo. Sognando Beckham celebra in un certo senso l’attaccamento della nazione al calcio e, di rimando, l’unione che questo potentissimo mezzo ha nel compattare tutta la Corea del Nord.
Storicamente le uniche due partecipazioni della squadra di calcio coreana a un mondiale risalgono al 1966 (dove la compagine sconfisse per 1-0 proprio l’Italia) e al 2010, il discusso mondiale sudafricano. Si usa questo termine non solo perché i lavori infrastrutturali si sono rivelati poco lungimiranti ma perché, a detta di molti, la Corea avrebbe tentato di garantirsi l’accesso a un girone più semplice. A rivelare tutto questo Sven Goran Eriksson che avrebbe indicato la presenza di rappresentanti coreani in forte pressing per ottenere questo tipo di vantaggio.
Come se non bastasse la Corea subì una pesantissima sconfitta contro il Portogallo (7-0) e l’allenatore, insieme ai giocatori, furono sottoposti a una lavata di capo in relazione alla quale non è trapelato nulla ma che, si intende, non deve essere stata piacevole.
La Corea del Nord e il cinema
Al di là della moralità che notizie del genere suscitano è ovvio che un amore del calcio così malsano è da scongiurare ma certifica comunque la propensione della nazione verso questo tipo di sport. Con Sognando Beckham si è voluto comunicare questo al popolo: il calcio può essere un mezzo efficace per promuovere i valori nazionali; un viatico per rafforzare i legami sociali che tutti i governanti hanno sempre cercato di consolidare.
Non è da intendersi come una celebrazione dedicata alla diversità, all’inclusione e al superamento delle dinamiche di genere. Il cinema nordcoreano non parla storicamente di queste tematiche ma presenta l’epopea della famiglia tradizionale come perno della produzione filmica. Sebbene negli anni Sessanta e Settanta ci fosse una censura molto pressante, era paese come Kim Jong-il avesse a cuore lo sviluppo del cinema nazionale.
Si parla addirittura di un riconciliamento forzato che avrebbe riguardato il più famoso regista coreano e l’attrice più in voga di quegli anni. Shin Sang-ok e Choin Eun-hee erano rispettivamente il direttore di scena e la diva che furono costretti a risposarsi perché un loro eventuale e definitivo allontanamento avrebbe potuto nuocere alla propaganda culturale. Si parla addirittura di un rapimento: l’attrice sarebbe stata tolta di mezzo per incentivare il regista a ritornare con lei (senza averla poi sulla coscienza). Ad un party del dittatore poi i due sono magicamente riapparsi (e per di giunta insieme).
Come si vede quindi, il fine ultimo non sembra essere la cultura ma un costante intento di autocelebrazione nazionale (legata anche alle dinamiche della famiglia governante). Sognando Beckham non può essere definito un caso; ha una chiara matrice politico-culturale. Sorprende sicuramente la volontà di trasmetterlo in diretta televisiva, così come è curioso che proprio quello sia stato il film occidentale eletto a veicolo culturale; ma dietro a una semplice messa in onda si nascondono comunque delle trame governative ben definite (anche se stavolta la pesantezza del messaggio di fondo si attenua e la comunicazione dall’alto si fa più dolce).