Signs è un film controverso. Difficile pensarla diversamente. Come controverso è il suo autore. M Night Shyamalan ha infatti da sempre diviso critica e pubblico su quanto ha prodotto nella sua pluriennale carriera da regista. Non è assolutamente il primo approccio con la fantascienza, o comunque con il vasto mondo dell’ignoto, eppure Signs è una delle prime vere prove che l’autore ha affrontato. A seguito dei fasti de Il Sesto Senso, Shyamalan era chiamato a fare di meglio o, quanto meno, a non deludere.
Ne è uscito un film, dell’ormai lontano 2002, che tratta un argomento assai delicato: l’esistenza degli extra-terresti e come l’uomo affronta questa scoperta, mettendo a nudo dubbi e paure. Qui si percepisce il tocco del regista che, nella fase di scrittura e produzione di Signs, ha dato il meglio di sé. Il regista è unico, infatti, nell’avere a cuore i dettagli di contorno alla trama che costruiscono una pellicola alla pari della narrazione.
Da subito si capisce che Signs costituisce per lo stesso una sorta di esercizio di stile. Il primo elemento che colpisce all’occhio è certamente un obiettivo di fondo che Shyamalan dichiara benissimo già dalle prime scene: inquietare lo spettatore. Da cosa si vede questo proposito? Gli indizi sono molteplici e possono essere riassunti nella volontà del regista di rendere il tutto più reale possibile, come si trattasse di un thriller realistico e non fantascientifico.
I cerchi nel grano, ad esempio, grande cornice di Signs, sono stati riprodotti per intero, senza ricorrere all’ausilio degli effetti speciali. Un altro fattore da tenere in considerazione è la cura dell’aspetto sonoro che con Tak Fujimoto (direttore della fotografia) e James Newton Howard (compositore delle musiche) genera un risultato ammirevole. Il contrasto tra luce e ombra, tra ambientazioni notturne e giornaliere, unitamente a poche semplici note d’accompagnamento hanno generato un risultato imponente in fatto di suspense. Il gioco “vedo/non vedo” che Shyamalan mette in campo si sposa alla perfezione con lo sviluppo della trama (tanto è che i fantomatici alieni, a volte si mostrano, altre si nascondono).
Signs – Un film in grado di trattare coi guanti una tematica stucchevole
La trama di Signs ha un che di retro. Quanti film sugli alieni sono presenti nella filmografia mondiale? Il risultato, se si facesse una ricerca anche rapida, sarebbe sicuramente a diverse cifre. Eppure, il grande merito di quest’opera è quello di gestire un topic stucchevole con primizia e saggezza.
Graham Hess, pastore protestante della Pennsylvania, vive in campagna con i suoi figli e il fratello minore. La famiglia ha dovuto fare i conti con la scomparsa della madre e questo ha inevitabilmente segnato le vite dei protagonisti, tanto da decretare per Graham un sostanziale allontanamento dalla fede in dio.
Come se non bastasse, nei campi intorno alla loro casa, cominciano ad apparire strani cerchi nel grano. Si pensa possa essere un cattivo scherzo oppure un’innocua coincidenza. La famiglia non sa invece che dovrà affrontare una nuova prova: l’arrivo degli alieni sulla terra altro non simboleggia infatti che la paura dell’ignoto e una tappa necessaria che Graham deve percorre per recuperare la fede e un equilibrio sostanziale nella sua vita.
L’invasione aliena rappresenta allegoricamente l’arrivo del giudizio universale, la grande occasione per redimersi, o anche per diventare delle persone migliori. Signs procede quindi con un ritmo serrato verso quell’ultimo inevitabile confronto con gli extra-terrestri che decreterà il definitivo riscatto. Ci si arriva senza perdersi in chiacchiere, con una sequenza di scene posata, leggiadra e dai contorni molto schietti.
Graham e la sua famiglia apprenderanno della presenza degli alieni senza filtri. Shyamalan fa percepire allo spettatore come anche la verità più impensabile possa giungere ai nostri occhi con spietata franchezza. Sta all’uomo costruire il suo proprio destino e anche se molti eventi possono apparire come parti integranti di un grande disegno, non bisogna dare mai per scontata la propria esistenza e lottare per la sua continua riaffermazione.
La Recensione
Signs come detto ha a che vedere con pochi eventi, ha di fatto poche linee narrative e segue un filo che non si scosta mai dall’obiettivo centrale. La trama ha una conclusione scontata ma si sa che il regista non punta tanto a colpire per gli eventi presentati ma per la sua interpretazione della pellicola in termini di direzione e svolgimento.
La tensione è il grande cavallo trainante di questo titolo. Tensione in fatto di stile e tensione in fatto di contenuti. Quale modo migliore aveva Shyamalan di rappresentare il dissidio tra uomo e dio se non quello di proporre un registro stilistico graffiante? La trovata di affidare la narrazione a stilemmi di stampo Hitchcockiano ha del geniale.
Signs non vuole tuttavia rispondere all’annosa domanda “Siamo soli?”, vuole questionare piuttosto la capacità dell’uomo di avere un rapporto sano con sé stesso. Gli alieni e dio sono solo un espediente narrativo per far sì che i protagonisti riescano a uscire da un empasse emotiva da cui rischiano di non riprendersi più.
Chiariti gli intenti della produzione, ci si potrebbe chiedere se questo sia effettivamente un film riuscito. La risposta è sì. Certo, non è un film perfetto ma è un’opera che colpisce. Signs si contorna da tanti dettagli di livello assoluto: su tutti, sono da segnalare gli attori protagonisti. Joaquin Phoenix e soprattutto Mel Gibson compongono un tandem attoriale insolito, eppure di grande rilevanza visiva (o caratteriale). Si amalgamano alla perfezione nell’interpretare due diverse concezioni di vita, due diversi modi di affrontare le difficoltà
In particolare, Gibson sembra essere una scelta azzeccata. Si sa che lo stesso ha da sempre un rapporto molto altalenante con dio (testimoni anche le sue due opere da regista, La Passione di Cristo e Apocalypto). La sua partecipazione a Signs sembra dunque quasi un segno del destino che lega insieme le sue esperienze future. Al di là di questo insight, tuttavia, l’appeal che mette in campo è degno di nota: un mix perfetto di burberità e accoglienza emotiva.
Signs non sarà un film perfetto ma descrive al meglio la visione che Shyamalan ha del cinema. Un titolo che fa di allegoria e suspense due linee guida per seguire l’opera e il corso stesso degli eventi. Un film che si può amare o odiare; proprio come la fede che o c’è o è difficile da trovare.