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Sicario

Sicario è un film datato 2015 di Denis Villeneuve, canadese del Quebec, regista di cinema ‘d’autore’, ma sarebbe meglio dire ‘regista di film stupendi’, passato ai generi non per caso, ma per vocazione. I suoi film, Polytechnique, Maelström, l’incredibile  La donna che canta, sono opere di livello artistico assoluto.  La svolta avviene con Prisoners, un thriller che mostra la volontà di Villeneuve di approcciarsi ai generi senza alcuna spocchia, ma col suo personalissimo stile fatto di una fotografia perfetta e di una tensione montante in modo progressivo.

Questo è Sicario, film particolare fin dalla gestazione. L’autore dello script è un personaggio davvero peculiare, Taylor Sheridan, americano, regista e attore, strenuo difensore dei nativi americani, un novello Marlon Brando, insomma. Taylor si dimostra anche uno sceneggiatore d’eccezione, Produce uno script teso, nervoso e glaciale al tempo stesso, perfetto per lo stile del regista francofono. In realtà nel Quebec sono tutti bilingue, ma basta farsi un giro nella capitale per capire le reali preferenze della popolazione, orgogliosa delle proprie radici francesi.

L’atmosfera del film è chiara fin dalle prime battute, quando un assedio dell’FBI in terra di confine diventa un bagno di sangue, e l’agente in capo, Kate Macer, sconvolta da ciò che ha visto e provato, decide di aiutare una squadra speciale, poi rivelatasi la CIA, a perseguire gli autori della strage, un cartello della droga messicano. Chi ha sentito parlare degli Zetas e in generale della violenza delle bande in Messico, sa cosa aspettarsi, in teoria, e così anche l’agente Macer. Ma Kate scoprirà che quel mondo è più feroce persino di quello visto in TV, così sconvolgente che, forse, neppure i libri di Saviano o film come Traffic(regia di di S. Soderbergh, 2000) riescono a rendere appieno.

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Villeneuve ci riesce. Apre gli occhi agli americani, mostrando loro che a pochi chilometri dai loro villini a schiera c’è una guerra continua, orribile e sanguinaria come sanno essere tutte le guerre, e che nessun muro potrà tenere fuori dalle loro vite. Kate, interpretata da una straordinaria Emily Blunt, osserva una nuova ‘sporca guerra’, dopo il Vietnam, combattuta dall’America non per la civiltà, ma per proprio tornaconto.  Non c’è vittoria, dice l’agente CIA Matt Graver, c’è solo caos, ma ne serve uno che si può controllare, e a questo servono tutte le loro manovre.

Ancora parallelismi con Traffic: due attori di quella pellicola vengono cooptati per due ruoli decisamente straordinari. James Brolin è Graver, il cinico e disincantato ‘addetto ai casini’, facile immaginarlo in gioventù in Nicaragua ad armare i Contras, o in giro in Medio Oriente a seminare false prove di armi di distruzione di massa. L’altro attore è Benicio del Toro, allora agente messicano, qui è Alejandro, il classico ‘fidati-non-vuoi-sapere-chi-è’ tanto caro al cinema di genere.

Procedendo nella storia, Kate e Alejandro assurgono a protagonisti, antagonisti e cartina tornasole delle intenzioni del film. Kate, che si era unita alla brigata per giustizia, e in fondo per vendetta, vuole fare le cose ‘by the book’, secondo la legge. Alejandro conosce una sola legge, la vendetta, e il suo sodale (amico?) Graver lo asseconda in tutto, fino al teso, amarissimo finale.

Ultimo parallelismo tra il film di Soderbergh e quello di Villeneuve, la sottotrama di Silvio, che finisce per incrociare la trama principale esattamente nel finale. Silvio è un poliziotto corrotto, corriere della droga per il cartello, le cui scelte sono fatte chiaramente per spirito di sopravvivenza: vittima del sistema e ingranaggio dello stesso, anche lui senza la possibilità, e, forse, senza la volontà di fuggire da quell’inferno.

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Le musiche, dell’islandese Jóhann Jóhannsson, danno un senso continuo di angoscia e inquietudine; lo spettatore ha la sensazione di avere varcato un confine di cui avrebbe preferito non sapere nulla, ed ora non può uscirne finché la vicenda non giungerà al termine. Cosa che puntualmente accade, in un confronto finale che non lascia nulla di confortante, solo la certezza che il male è alla porta, e i guardiani sono forse peggiori di quello che c’è al di là di quella porta. 

Il successo del film ha portato alla produzione di un seguito con lo stesso cast, rintracciabile con i titoli Sicario 2: day of the Soldado, oppure semplicemente Soldado.


Alessandro Marangio
Alessandro Marangio
Critico cinematografico per la RCS, ho collaborato per anni con le più importarti testate giornalistiche, da Il Messaggero a La Stampa, come giornalista di cronaca, passando poi per Ciak, Nocturno, I Duellanti (Duel) di Gianni Canova, Cineforum e Segnocinema, come critico cinematografico.

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