HomeDisney PlusSeverance – Scissione: la recensione della serie di Ben Stiller con Adam...

Severance – Scissione: la recensione della serie di Ben Stiller con Adam Scott

A partire dallo scorso febbraio una nuova serie abita il catalogo della piattaforma di streaming Disney Plus. Si tratta di Severance, in Italia anche occasionalmente indicata con il titolo nostrano Scissione. Il prodotto consta di nove puntate, che sono state aggiunte sulla piattaforma di settimana in settimana per un arco di tempo totale che copre all’incirca due mesi (dal 18 febbraio all’8 aprile). La serie appartiene al genere del thriller distopico, confacendosi dunque ad un’ambientazione futuristica (per quanto neppure troppo lontana, in prospettiva) decisamente non idilliaca. Il prodotto è stato ideato da Dan Erickson, mentre la regia è stata affidata alle sapienti mani di Ben Stiller (puntate 1-3 e 7-9) e Aoife McArdle (puntate 4-6), pressoché esordiente nei prodotti di natura fictional ma già molto attiva nell’ambito di videoclip e commercials.

La trama della serie

In un futuro distopico non particolarmente remoto e invece preoccupantemente simile al nostro presente vive Mark Scout (Adam Scott). A seguito di un lutto complesso e traumatico, l’uomo ha deciso di cambiare mestiere, passando dall’insegnamento della storia nelle scuole all’elaborazione di dati presso la Lumon Industries. Mark ha scelto di avvicinarsi all’azienda dopo aver scoperto che proprio quest’ultima (colosso scientifico con implicazioni in svariati ambiti, dal farmaceutico al tecnologico) permette ai propri dipendenti di effettuare una pratica indicata con il nome di scissione (severance, appunto, nella versione originale). Per mezzo di questo complesso e modernissimo intervento, l’azienda agisce sulla mente del dipendente, in effetti, scindendola letteralmente: all’infuori del contesto lavorativo il soggetto non avrà alcuna memoria o pensiero legato all’ambito professionale, mentre sul posto di lavoro non sarà a conoscenza della propria vita privata.

A seguito della scomparsa di Petey, collega e amico di Mark, quest’ultimo assume l’incarico di responsabile del proprio settore. Nell’orario lavorativo Mark condivide l’ufficio con il docile e morigerato Irving (John Turturro), il più indisciplinato Dylan (Zach Cherry) e l’ostinata Helly (Britt Lower), nuova alla pratica della scissione e ancora restia all’adattarsi al nuovo tipo di realtà che questa comporta. Li monitorano sistematicamente la severa Mrs. Cobel (Patricia Arquette) e il suo sottoposto, Milchick (Tramell Tillman). Fuori dall’ambito professionale, invece, la vita di Mark si innesta sulla scia di quella della sorella Devon (Jen Tullock), in attesa della nascita del primogenito assieme al suo bizzarro compagno Ricken (Michael Chernus). Con il passare dei giorni vari interrogativi senza risposta e curiose coincidenze insospettiranno Mark e i suoi colleghi, che tenteranno di trovare il coraggio necessario ad agire per acquisire una più completa visione d’insieme e riscoprire il proprio sé.

Pubblicità

Severance: summa della distopia seriale tra citazionismo e precisione tecnica

Sono molte le citazioni o, più precisamente, le suggestioni e le influenze che segnano Severance, probabilmente utili a conferire al prodotto ultimato un’impressione (poi fondata) di solida complessità. Non regna, tuttavia, la sensazione di un già visto scarsamente sorprendente quando non noioso, quanto una sistematica familiarità utile a mettere a proprio agio lo spettatore, per poi stupirlo con sfaccettature narrative e ribaltamenti situazionali. Su tutti, il primo imperante grande debito è (come accade con quasi tutti i fenomeni di distopia recente) nei confronti di un Black mirror che, per quanto non lontanissimo cronologicamente, ormai fa evidentemente storia. Dalle ambientazioni alle musiche passando per la scelta del posizionamento della macchina da presa e, ovviamente, per le atmosfere narrative, ogni aspetto della serie è imbevuto di una patina alla Black mirror francamente mai eccessiva né disturbante o stucchevole.

Il prodotto riesce così a non apparire mai come la mera copia carbone di una serie forse più riuscita o storicamente rivoluzionaria, ma sembra in definitiva solo figlio della serie che lo ha preceduto. In questo, forse, è utile anche la fortunata influenza che ha sulla serie di Dan Erickson un prodotto unico ed inimitabile nel suo genere come lo storico Ai confini della realtà. Severance non tenta mai di imitarlo macchiettisticamente (e per fortuna, dato che il risultato altrimenti sarebbe disastroso), ma si lascia ispirare da atmosfere, straniamenti e sensazioni. La congiunzione dei debiti nei confronti di Black mirror e Ai confini della realtà rende la componente distopica della serie ottimamente riuscita, bilanciata, mai eccessiva e dunque preoccupantemente verosimile.

Severance

Se nel suo ascendente distopico l’ispirazione si rifa a capisaldi del genere, nel raggio d’azione del thriller la medesima dinamica si fa iperbolica, e l’influenza non può che essere quella del cinema hitchcockiano. Severance tesse una formidabile rete di quelle che in gergo sono note come semine, raccolte e rimonte, rimandi interni nella narrazione non immediati ma fondamentali nella costruzione degli esiti narrativi. L’intelligenza nella resa della suspense è marcatamente dipendente e debitrice del cinema di Hitchcock – così come lo è, sulla fortunata scia del rivoluzionario Psyco, la scelta di eliminare apparentemente troppo presto un personaggio considerato chiave dal pubblico nella risoluzione delle sottotrame thriller, disattendendo piacevolmente le aspettative dello spettatore.

Nella sua complessa totalità, però, l’ispirazione per la creazione di Severance è una, manifesta e definitiva: il rivoluzionario 1984 di George Orwell. I rimandi si sprecano, senza mai farsi stucchevoli, in quella che parrebbe una riproposizione modernizzata in forma seriale del romanzo distopico per eccellenza. L’opera orwelliana permea ogni aspetto della narrazione della serie, e i rimandi sono numerosissimi: il controllo onnipresente e sistematico del sistema nei confronti di chi lo abita (in questo caso, della Lumon Industries verso i suoi dipendenti), la depersonalizzazione, il grigiore sia effettivo che esistenziale, la fiducia quasi cieca e religiosa nei confronti del sistema, l’indottrinamento imposto, l’esistenza di stringenti dogmi a cui attenersi necessariamente per il mantenimento del quieto vivere, la presenza di una figura monolitica che tutti ritengono parzialmente divina, a cui credere insindacabilmente, la cui personalità grava sul quotidiano di tutti i dipendenti.

Pubblicità
Severance

Il compartimento delle fonti di ispirazione è così mirabilmente fornito da lasciare ampio spazio, in fase di realizzazione, per la minuzia tecnica. E, in effetti, la maniacale precisione emerge da tutti gli aspetti della produzione. Celato dietro ad una riuscitissima patina di linearità e continuity, che è solo in apparenza semplicità, si staglia uno stile realizzativo audace, accorto e estremamente stratificato. La regia (a fasi alterne di Stiller e McArdle, che ben si completano corrispondendosi) è cesellata, studiata, fatta di scelte non sempre convenzionali ma che si rivelano sistematicamente sensate. A questa si aggiunge un montaggio iper-presente, elaboratissimo, a tratti quasi frenetico ma sorprendente e, tutto sommato, mai stucchevole.

In definitiva questa prima stagione, per quanto carica di ispirazioni plurime, si dimostra paradossalmente originale e dunque, affiancata ad una tecnica molto ben studiata, pienamente riuscita. La conferma registica di Stiller e McArdle si allinea ad una produzione evidentemente molto pensata, ideata nei più infinitesimali dettagli e piacevolmente realizzata. Nell’attesa di una seconda stagione che sia auspicabilmente al medesimo livello di quella che la ha preceduta, è lecito affermare che guardando Severance il pubblico si trova di fronte ad una piccola ma indubbiamente brillantissima gemma nel panorama della serialità contemporanea.

PANORAMICA RECENSIONE

regia
soggetto e sceneggiatura
interpretazioni
emozioni

SOMMARIO

Severance unisce molteplici influenze di cinema e serialità più o meno recente ad una realizzazione minuziosa e impeccabile, delineando un thriller distopico efficace e ben studiato.
Eleonora Noto
Eleonora Noto
Laureata in DAMS, sono appassionata di tutte le arti ma del cinema in particolare. Mi piace giocare con le parole e studiare le sceneggiature, ogni tanto provo a scriverle. Impazzisco per le produzioni hollywoodiane di qualsiasi decennio, ma amo anche un buon thriller o il cinema d’autore.

ULTIMI ARTICOLI

Severance unisce molteplici influenze di cinema e serialità più o meno recente ad una realizzazione minuziosa e impeccabile, delineando un thriller distopico efficace e ben studiato.Severance – Scissione: la recensione della serie di Ben Stiller con Adam Scott