Ritorno al futuro ha infiammato cuori di ogni generazione. Se si solo si prova a usare la parola cult in ambito cinematografico, la saga di Robert Zemeckis è una delle prima che salta in mente.
Ha segnato il passo per tanti altri prodotti che sono intervenuti dopo. I viaggio nel tempo, il rapporto con i genitori e i primi esperimenti con una fantascienza di un certo tipo (ovvero attuale, che può avvicinarsi al reale).
Nell’epoca più creativa in assoluto, sarebbe a dire i cari vecchi anni ottanta, Ritorno al futuro costituisce una perla e un punto di riferimento essenziale per l’arte cinematografica. Non si possono però dare per scontate troppe cose.
Innanzitutto, Christopher Lloyd (il DOC che tutti conosciamo) non doveva vestire i panni dello scienziato pazzo. Inizialmente la scelta della produzione era ricaduta su un’altra figura. Una rockstar degli anni ottanta per l’appunto.
La scelta commerciale era condivisa da Zemeckis e Steven Spielberg che addirittura per Marty McFly avevano scelto Eric Stoltz, rimpiazzato appena quattro settimane prima della partenza delle riprese.
Anche la storia di Christopher Lloyd è simile e dietro al suo coinvolgimento nel cast vi è una questione di rifiuto. Mark Mothersbough (frontman dei Devo) ha rifiutato l’occasione (forse per tornare quanto prima a concentrarsi sul suo sostentamento primario).
Il cantante ha precisato, ospite a The Wrap, che Spielberg e Zemeckis un giorno avevano preso parte a un suo concerto. Successivamente si sarebbero proposti per scritturare lui stesso per un ruolo cinematografico.
Mothersbough ha declinato l’offerta di prendere parte a Ritorno al futuro in un battibaleno, dichiarando perentoriamente di non voler intraprendere la carriera attoriale (dice che non facesse proprio per lui).
Al di là di quello che si possa pensare (che mancare un’occasione del genere può rappresentare una follia) per tutti i fan di Ritorno al futuro questa è stata in realtà una svolta. Lo sliding door del destino ha portato Lloyd a diventare l’icona che tutti conosciamo oggi.