Dopo la candidatura all’Oscar e la vittoria del Premio della giuria al Festival di Cannes per l’acclamato Persepolis (2007), Marjane Satrapi era attesa al varco dagli appassionati del cinema d’autore, pronti a vedere se la regista iraniana avrebbe regalato uguali sorprese anche in forma live-action. E le aspettative non sono andate deluse in questo nuovo adattamento, ma per l’appunto “in carne e ossa”, di un’altra graphic novel dell’autrice, risalente al 2004. Pollo alle prugne vede, come per il folgorante esordio, la preziosa collaborazione dietro la macchina da presa del collega francese Vincent Paronnaud, e ci trasporta ancora una volta nell’ambientazione del Paese arabo, sotto il regime monarchico degli anni ’50, per raccontarci una storia visionaria prendente ispirazione da leggende locali nel narrare l’inquieta love-story che ossessiona il malcapitato protagonista, magnificamente interpretato da un attore di razza del cinema transalpino come Mathieu Amalric.
La trama di Pollo alle prugne è incentrata sul personaggio di Nasser-Ali, un famoso violinista che ha perso il proprio talento e la voglia di vivere dopo che, in seguito ad una furiosa lite con la moglie, il suo amato strumento è andato irrimediabilmente distrutto. La sua ricerca di un violino di pari qualità lo conduce fino ad un piccolo villaggio nel quale, in un negozio ricco di oggetti antichi e posseduto da un misterioso venditore, trova uno Stradivari dai poteri magici: dopo averlo suonato, Nasser-Ali comprende come la sua esistenza sia stata un completo fallimento e decide di lasciarsi morire lentamente di stenti. Nei sette giorni che precedono la sua presunta morte, annunciata quasi da subito da un voice-over, il musicista comincia a ripercorrere alcuni dei passaggi chiave del suo passato, cominciando dall’incontro con il grande amore della sua vita, la splendida Irane, con cui la relazione non si concluse nel migliore dei modi per cause esterne. Nello stato allucinatorio del protagonista si intersecano anche i potenziali futuri e passati delle persone a lui care, i figli, l’odiata compagna e la madre, in un viaggio senza una precisa collocazione temporale che lo conduce inesorabilmente a fondo ora dopo ora.
Una favola dark lunga una settimana, un percorso negli inferi e nelle gioie personali di un uomo che ha deciso anzitempo di concludere il suo cammino terreno: Pollo alle prugne è un film che rapisce nella sua carica surreale, sempre pronto a stupire e a giocare con la concezione di cinema stesso nel suo alternarsi di toni e influenze. Sussulti magicamente romantici e un’ironia nera che sfocia spesso in un gradevole grottesco, al servizio di una leggerezza amara e nostalgica che caratterizza l’intera ora e mezza di visione: la Satrapi e Paronnaud ci accompagnano in un’odissea privata dove nulla è quello che sembra e lo fanno con uno stile personalissimo che si rifà e non poco a tratti già comparenti nel citato Persepolis. Da passaggi animati che seguono il design del debutto a più o meno velate critiche contro il governo iraniano (il fratello del protagonista ha militato nelle fila dell’opposizione, rischiando di perdere tutto), la pellicola ha sempre qualcosa da dire e non ha paura di urlarlo, rischiando proprio nella sua istintiva spudoratezza di strabordare fuori dal seminato.
Pur nel suo trascinante fascino, Pollo alle prugne pare a tratti poggiare su un forzato autocompiacimento, tra ellissi e digressioni che affastellano la pressoché totalità del minutaggio: se nella maggior parte delle occasioni le frecce scoccate vanno a segno, l’impressione è che con una maggior accortezza si sarebbe potuta ottenere un’opera ancora più matura e consapevole. Queste considerazioni passano ad ogni modo in secondo piano di fronte allo slancio emozionale di cui si ammanta la vicenda nel sempre più tortuoso e schizofrenico scorrere degli eventi, tra momenti di sincera commozione nella dinamicità della love-story e irriverenti scenette che vanno a parodiare concezioni e modus operandi, con tanto di sequenza cult che prende bonariamente in giro le sit-com americane e lo stesso apparato pubblicitario d’Oltreoceano. Tra citazioni a classici del cinema, con tanto di sala che trasmette La donna del fiume (1955) di Mario Soldati con protagonista Sophia Loren (e del quale una fittizia versione “invade” il sogno di Nasser-Ali in un una gag esilarante), e un’originalità figlia di un’indole del tutto peculiare, l’insieme avvince e convince anche nelle sue esposte, sbilenche, iperboli.
Voto Autore: [usr 3,5]