“Piraña” è un film del 1978 diretto da Joe Dante. L’opera permette all’autore di farsi conoscere presso il grande pubblico, riuscendo a fare un grosso incasso, a seguito di un basso budget iniziale. Negli anni 80, il regista diverrà imprescindibile nel panorama cinematografico mondiale.
Il film tenta di seguire il filone dell’horror, che proviene dagli abissi del mare, come già aveva fatto il collega Steven Spielberg, autore per certi versi simile a Dante. In questo caso, il cerchio si restringe al fiume ma la paura è un ingrediente che non manca e il film tenta di spaventare, riuscendoci per buona parte. Con il tempo, sono stati realizzati dei remake, di dubbia qualità e facilmente dimenticabili. Questo lavoro risulta il migliore realizzato, se parliamo in termini di pesci assassini.
Piraña, trama del film
Una giovane coppia, decide una sera di infiltrarsi in un’area di accesso limitato, presso una zona perduta tra i boschi. Là trovano una piscina, nella quale si immergono per passatempo. Il problema è la presenza di piraña sul suo fondale, che uccide i due amanti nel buio della notte. Il giorno seguente un’investigatrice privata si mette sulle loro tracce, scoprendo la temibile verità. Per un errore, i pesci finiscono nel fiume adiacente, scatenando morti ad ogni passaggio. Si tenta in ogni modo di arginare il pericolo, avvisando l’intera comunità e trovando un modo per ammazzarli.
Piraña, recensione del film
Il film tenta di seguire il filone di un genere cinematografico, che negli anni ha visto diverse trasposizioni su grande schermo e che Spielberg ha portato in auge nel 1975. Il confronto è quindi d’obbligo. Sicuramente non riesce ad arrivare all’altezza del grande successo di pubblico e critica di “Lo Squalo“. Non per questo però può essere considerato minore in termine di qualità visiva.
La regia si rivela infatti all’altezza dell’opera narrata, e chiaramente si comprende l’influenza che il collega americano ha esercitato sul regista, grazie alla realizzazione di uno dei suoi più grandi capisaldi. L’intero modo di narrare ricorda per l’appunto quello di Spielberg, per lo svolgimento della storia e per la struttura dei suoi personaggi.
La costruzione della tensione, è perfetta sotto ogni punto di vista. Dante costruisce una suspense che si inserisce nei giusti momenti del film, ponendosi addirittura come il vero motore che muove e fa girare l’intera pellicola.
La particolarità del lavoro è appunto quella di incentrare interamente il prodotto sulla sequenza di omicidi, perpetrati da parte dei pesci carnivori. La grandezza consiste nel suo giocare fra quello che si vede e quello che non si vede, alimentando una tensione continua. I piraña infatti, per quanto i principali protagonisti della vicenda, non vengono mostrati se non in rare occasioni, preferendo concentrarsi sullo stato di tensione che si viene a creare.
Joe Dante ha tanto da insegnare ai giovani autori che si vogliono cimentare sull’horror. La prima regola che verrebbe da dire e che il regista sembra aver imparato correttamente, sia quella si indirizzare il focus più che sull’oggetto che spaventa, su quelle che sono le conseguenze e le reazioni delle persone, in relazione alla loro paura.
La scelta che ha fatto è frutto di una consapevolezza ben evidente. Questa contrapposizione fra ciò che è ben visibile sulla terraferma e ciò che invece si nasconde sul fondale oscuro è ben marcata. Si nota come tutto quello che vediamo sia stato costruito sulla base di questo espediente narrativo e che raggiunge il suo apice con la visione, in camera da presa, dei pesci predatori.
L’aspetto che invece lo contraddistingue maggiormente è la sua vena critica riguardo alcuni temi politici. Lo spettatore non si ritrova davanti solo un prodotto di spavento, che lo accompagna con un buon ritmo fino alla fine, ma dietro si manifesta l’intento di veicolare un certo pensiero.
Joe Dante riesce a far convivere contemporaneamente due aspetti per certi versi opposti. Ed è proprio questo fatto che sarà una delle particolarità più evidenti del suo talento. Egli fa convivere un lavoro mainstream, indirizzato chiaramente verso un ampio pubblico, per cercare di coinvolgere più gente possibile, e un certo lato più critico e pungente.
Questa sovrapposizione si amalgama diligentemente e anzi inserita in un genere apparentemente distante, suscita tutto l’interesse possibile agli occhi di chi guarda. Il regista furbescamente, tra una scena e un’altra, ci tiene a sottolineare la sua visione di un mondo marcio e corrotto.
Il suo punto di vista sulla politica interna ed estera americana, si infiltra nel linguaggio filmico, in maniera piacevole e leggera. La lezione di Dante insegna che non per forza un film che è destinato a un pubblico esteso non possa contenere un messaggio di fondo che inviti alla riflessione. Il regista proverà ogni volta a mascherare attraverso prodotti apparentemente leggeri la sua visione sugli aspetti del mondo.
Autori come John Landis, tenteranno di fare la stessa cosa, unendo l’utile al dilettevole, e cercando di lanciare un preciso punto di vista che è interconnesso con la storia stessa. Il fine non è tanto quello di infastidire, veicolando messaggi in modo forzato, ma al contrario l’intento pare essere quello di stimolare un proprio pensiero rispetto a ciò che si è guardato e che non solamente ha intrattenuto.
L’interesse di questi artisti rimane quello di raccontare una grande storia che affascini lo spettatore, ma allo stesso tempo di non piegarsi alle logiche di mercato troppo ingombranti, e che spesso mettono un freno alla loro creatività. Ecco spiegato il motivo del perché le loro opere sono la sintesi perfetta tra intrattenimento e impegno politico e sociale.