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Parthenope – l’altro Sorrentino

Paolo Sorrentino con Parthenope è tornato al Festival di Cannes a nove anni dall’ultima partecipazione in gara. Il film è anche il primo lungometraggio co-prodotto dalla neonata casa di produzione dello stesso regista napoletano, Numero10 productions. Il film arriverà nelle sale cinematografiche italiane a partire dal 24 di ottobre e successivamente sarà disponibile su Netflix. Anche la distribuzione italiana segna un debutto assoluto, visto che a occuparsene è l’altra neonata Piper Films. La distribuzione internazionale è invece a cura della francese Pathé, mentre per il mercato nordamericano sarà a cura di A24.

Parthenope – la trama

Parthenope (Celeste Dalla Porta/Stefania Sandrelli) nasce in mare a Napoli e le viene dato il nome della sirena del mito fondativo della città. Nata nel 1950, osserviamo la ragazza nel suo percorso di crescita, dalla adolescenza fino all’età adulta. La giovane donna, ammirata da tutti per la bellezza, vive in simbiosi col fratello Raimondo (Daniele Rienzo)e l’amico Sandrino (Dario Aita). I tre si avventurano anche verso Capri, dove la protagonista incontrerà lo scrittore John Cheever (Gary Oldman).

Parthenope frequenta anche l’università, dove avrà modo di incontrare il suo insegnante-mentore Devoto Marotta (Silvio Orlando). È lunga la galleria di personaggi che si affacceranno nel mondo della giovane protagonista, tra personaggi realmente esistiti e trasfigurazioni sorrentiniane. Così la ragazza incontra Achille Lauro portato in scena da Alfonso Santagata e personalità che hanno una radice nel reale, seppur modificate. È il caso di Greta Cool (Luisa Ranieri) e di Flora Malva (Isabella Ferrari). Si tratta di due dive del cinema, che in modo diverso si relazionano alla protagonista. Un altro incontro significativo sarà col personaggio, tra sacro e profano, portato in scena da Peppe Lanzetta.

Parthenope – tutto su Sorrentino

Non è una novità che a partire da È stata la mano di Dio Paolo Sorrentino abbia intrapreso una poetica differente dalle sue versioni precedenti. Il regista premio Oscar, in qualche modo, con Parthenope chiude un dittico che proprio il suo film precedente aveva aperto. È un paragone che si legge in molte delle analisi riguardo a quest’opera ed è un punto focale inevitabile. Da una parte il personaggio di Fabio Schisa, il protagonista di È stata la mano di Dio era una versione cinematografica di sé stesso. In questo caso, come lo stesso regista ha ammesso, si tratta di ciò che avrebbe potuto essere, di una gioventù sognata. In questo viaggio Sorrentino decide di osare ancora più del solito negli elementi che hanno caratterizzato il suo cinema, ma anche di esplorare nuove forme.

Parthenope è un film magnetico, perché magnetica è la sua protagonista, perché magnetica è la costruzione della scena. Il mondo che circonda il personaggio della ragazza è spesso un insieme di tutto e del suo contrario, in cui lei agisce come centro gravitazionale. Con Celeste Dalla Porta, Sorrentino porta in scena la sua prima vera protagonista femminile, non rinuncia alla dimensione erotica, ne esalta la bellezza. Questa bellezza che alla sua protagonista risulta inevitabile, l’opposizione alle brutture della vita e al decadimento. Nessuno le resta insensibile, tranne un solo personaggio. Quel solo personaggio sarà anche la dimensione più autentica della protagonista in cui il “chiacchiericcio e il rumore” scompaiono.

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Parthenope

Prima, però, c’è stata la vita

La citazione al chiacchiericcio e il rumore è di una delle frasi più iconiche di Jep Gambardella ne La Grande Bellezza. Se è vero che Sorrentino ha intrapreso una strada nei suoi ultimi film più intimista, giovanile, quel titolo continua a rappresentare la sua dichiarazione di intenti. Sembra che da un certo momento in poi il regista napoletano abbia intrapreso un percorso a ritroso che lo ha portato a guardare la vita da un’altra prospettiva. Tutti i protagonisti del cinema di Sorrentino fino a È stata la mano di Dio sono protagonisti con la vita alle spalle. Tutti personaggi per cui “prima, però c’è stata la vita” per proseguire nella citazione da La Grande Bellezza. È qui che quel prima si realizza.

I due poli di questa vita, di questo prima sono allora i protagonisti degli ultimi due lavori di Sorrentino. Ci si chiede che direzione prenderà la cinematografia del regista, se questo lavoro rappresenta l’inizio di un percorso o la chiusura ideale di un cerchio. Parthenope è un film fatto di scelte coraggiose, anche estreme, che forse stranieranno una parte del pubblico. Ma ancora una volta è una dichiarazione di intenti di un cinema che sfugge ai dettami della trama, che esplode sul piano estetico. Sorrentino non ha mai negato un debito formativo verso Fellini, che in film come questo prende forme diverse da quelle abituali.

Parthenope: sull’assenza e la decadenza

In ultima analisi si può forse affermare che il tema centrale di Parthenope da un certo punto in poi sia quello dell’assenza. La domanda è dove questa assenza conduca, quali siano gli effetti di questa assenza. Questa mancanza, che innerva la cinematografia di Sorrentino e viene continuamente risemantizzata. Cosa sarà l’assenza nella vita della protagonista? Se si vuole trovare un tema portante al di là di quelli immediatamente visibili di questo film, potrebbe essere questo. C’è poi un tema che è invece molto visibile anche sul piano estetico: la decadenza. Tutti i personaggi di contorno a questo film sono forme diverse di una decadenza che appare irreversibile.

Sarà questo un Sorrentino che farà discutere, che non convincerà probabilmente i meno entusiasti del suo cinema della sua bravura. Forse anche qualche suo estimatore si troverà interdetto, ma si tratta di un film che mette alla prova lo spettatore. In questo senso, il regista partenopeo si conferma ancora una volta nella sua dimensione di autore contemporaneo di un cinema irripetibile.

PANORAMICA RECENSIONE

Regia
Soggetto e Sceneggiatura
Interpretazioni
Emozioni

SOMMARIO

Paolo Sorrentino ci conduce in una Napoli tra realtà e mito attraverso gli occhi di una protagonista che si fa metafora della gioventù. Film destinato a far discutere che conferma però ulteriormente la dimensione autoriale del regista.
Stefano Minisgallo
Stefano Minisgallo
Si vive solo due volte come in 007. Si fanno i 400 colpi come Truffaut, Fino all’ultimo respiro come Godard. Il cinema va preso sul serio, ma non troppo. Ci sono troppi film da vedere e poco tempo, allora guardiamo quelli belli. Il cinema è una bella spiaggia, come nei film di Agnes Varda.

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