Il secondo capitolo dell’orso londinese è una rinfrescante commedia che alza il livello del primo film (che trovate recensito qui). Sempre diretto da Paul King, Paddington 2 vede come aggiunte al cast Hugh Grant nei panni del vanitoso villain e Brendan Gleeson nei panni del cuoco Nocche (in originale Knuckles).
Il sequel riprende qualche mese dopo la fine del primo film. Paddington fa ora parte a tutti gli effetti della famiglia Brown e della comunità del vicinato. Con la sua spontaneità e gentilezza aiuta tutto il quartiere a essere più felice e in sintonia, ma la Zia Lucy continua a mancargli. Decide quindi di farle in regalo, per il suo centesimo compleanno, un libro pop-up su Londra, così che può vederla restando nella casa di riposo per orsi in Perù. Ma Paddington scopre di non avere abbastanza soldi per comprarlo e quindi decide di trovarsi un lavoretto. Il libro però è preso di mira anche dall’attore fallito Phoenix Buchanan (Hugh Grant) che sa qual è il vero valore del cimelio. Buchanan quindi organizza la rapina e incastra Paddington, il quale viene arrestato per furto aggravato.
Questo secondo Paddington alza l’asticella del primo film, riconfermando la storia del piccolo orso peruviano come una piccola perla dei film per bambini. A differenza del primo film però, Paddington 2 affina anche la trama e de-infantilizza molte situazioni, virando verso un divertimento più intelligente e quasi sofisticato. Come emerge soprattutto dalle scene in prigione, con un Brendan Gleeson adorabile burbero nei panni del cuoco Nocche e i detenuti vestiti a strisce rosa. Infatti, Paddington con il suo candore trasforma il temibile cuoco in un pasticcere e gli astiosi compagni di carcere in alleati fedeli. Il motto di Zia Lucy che ricorre nel film «if we’re kind and polite the world will be right», è in effetti il tema dell’intera trama, e porta ad alcune scene di carineria pura, come il montaggio della trasformazione del carcere da ambiente austero a una sorta di casa delle bambole rosa in cui si sfornano dolci. Inoltre è impossibile non vedere una somiglianza nelle scene della prigione con il film del 2014 Grand Budapest Hotel di Wes Anderson.
A dire il vero, tutto il film segue uno stile che omaggia Anderson, nell’uso dei colori pastello, nelle geometrie simmetriche delle inquadrature e nelle lunghe carrellate mobili. L’apporto personale del regista è tuttavia riconoscibile, in quanto abbondano le idee visive che caratterizzavano anche il primo film, alcune anche poetiche e suggestive, come per esempio i germogli di erbetta che nascono dal freddo pavimento della cella quando Paddington ha nostalgia del Perù. Idee che non sono scontate in un film per bambini e che per questo lo distaccano dalla massa e lo fanno apprezzare anche a un pubblico adulto.
Un altro indubbio punto di forza del film sono sicuramente gli attori, su tutti Hugh Grant, che con il personaggio di Buchanan si prende in giro ma allo stesso tempo questo ruolo ha in effetti rilanciato la sua carriera. Infatti, Hugh Grant è uno di quegli attori che per alcune scelte di carriera particolarmente fortunate sono stati però condannati ad avere il volto legato a un solo tipo di genere cinematografico. In particolare, il talentuoso e sfaccettato attore è sempre stato relegato a controparte maschile di film romantici, nel ruolo o del boy next door nervosetto (Quattro matrimoni e un funerale, Notting Hill), oppure dello snob stronzetto (Two Weeks Notice, Bridget Jones). E per questo motivo ha passato immeritatamente in sordina gran parte degli ultimi quindici anni, con qualche rara eccezione con ruoli in Cloud Atlas e Florence. E quindi il personaggio di Buchanan, un vanitoso attore decaduto che per sopravvivere è costretto a vestirsi da cane per delle pubblicità, è l’ironica rivincita della sua carriera, che è stata rilanciata proprio da questo ruolo. Infatti, Grant ruba la scena con la sua interpretazione ghignante e sorniona, in particolare nel finale musicale in prigione. Divertente poi l’idea che nessuno riesca a riconoscere il volto di Buchanan nei vari identikit dei ladri, che sono sempre lui stesso travestito in modo diverso di volta in volta, con uno dei personaggi che esclama pure che non ha mai visto in vita sua quella faccia.
Il protagonista resta però Paddington e chi è venuto per un po’ di tenerezza non resterà deluso. Infatti, l’amico peloso è adorabile nel completo a righe rosa del carcere, o per esempio quando si mimetizza sotto a un cassonetto dell’immondizia per passare inosservato alla stazione dei treni e ringrazia chi lo usa. Ma anche la trama e le situazioni narrative sono più congegnate del precedente film, con alcune godibili scene di azione, come l’inseguimento finale sui treni che è anche un momento di inaspettata tensione, ovviamente confutata dall’immancabile risvolto positivo. Per non parlare della riconciliazione finale tra Zia Lucy e Paddington che chiude con dolcezza un film che ha tutti gli ingredienti giusti di divertimento e tenerezza.
Tra i carcerati riconosciamo anche Noah Taylor (il padre di Charlie ne La fabbrica di cioccolato). E’ stato annunciato che il terzo film della saga uscirà nei primi mesi del 2020.
Voto Autore: [usr 3,0]