Qualche giorno fa è uscito nelle sale Nostalgia, nuovo film di Mario Martone, in corrispondenza con la sua presentazione in concorso al Festival di Cannes. Lo scorso settembre Martone era stato in concorso a Venezia con Qui rido io, film dedicato a Eduardo Scarpetta, che aveva raccolto ottime reazioni da pubblico e critica.
Nostalgia: trama
Tratto dall’omonimo romanzo di Ermanno Rea, Nostalgia ha per protagonista Felice (Pierfrancesco Favino), che dopo quarant’anni trascorsi tra Medio Oriente e Egitto torna a Napoli, sua città natale. Si ritrova difronte ad una città dove non sembra essere trascorso il tempo. Presto si rende conto di non riuscire ad andarsene, perché il passato lo trattiene a Napoli: tanti anni prima è successo qualcosa tra lui e un suo caro amico di nome Oreste (Tommaso Ragno), qualcosa che deve essere risolto.
Nostalgia: recensione
Nostalgia è un film che già nel titolo contiene il significato profondo che lo anima. La nostalgia è un concetto che verrà rievocato moltissime volte nel corso della pellicola, non solo dalle azioni dei personaggi, ma anche dalle loro parole. La nostalgia in questo film ha un che di magico, di mistico, si impadronisce del protagonista Felice nel momento in cui mette piede a Napoli. Protagonista di tanti film di Mario Martone, qui Napoli è un luogo archetipico, un’Itaca con cui il protagonista si ricongiunge dopo quarant’anni di lontananza.
E la nostalgia è a tutti gli effetti anche un pericolo, perché rappresenta la condanna di Felice nel momento in cui gli impedirà di lasciare quel luogo.
L’altro filone che risuona lungo le due ore di Nostalgia è il legame di Felice con Oreste, la personificazione di quel sentimento nostalgico che impedisce al protagonista di tornare al Cairo. E nonostante grazie all’ottima interpretazione di Favino si possa scorgere la vera profondità di quella relazione solo apparentemente amicale, il film non approfondisce mai realmente cosa ci fosse tra Felice e Oreste. I flashback che avrebbero il compito di raccontarlo sono ridotti al minimo e manca un vero momento sullo schermo che possa dare il senso del sentimento (più o meno amoroso) che c’era tra i due personaggi.
Senz’altro interessante l’idea che col passare degli anni Oreste sia diventato uno dei boss più temuti del rione Sanità, così come è vincente la scelta di lasciarlo nell’ombra per la maggior parte del film. Quando però i due finalmente si incontrano, in una scena preparata per tutto il film, il loro confronto manca del pathos che sarebbe servito. Tommaso Ragno, che in altre occasioni ha già dimostrato di essere un ottimo attore, non ha la carica emotiva che ci si aspetterebbe da quella scena, nonostante nei momenti in cui occupa lo schermo senza parlare dia prova di essersi calato nel personaggio. Questa scena, che dovrebbe essere la scena madre del film, risulta alquanto fredda ed è il problema principale di un film che, per il resto, regala molte piacevoli sorprese.
Come al solito la regia di Martone è attenta, curata, supportata dalla fotografia di Paolo Carnera. Tutta la parte tecnica contribuisce a dare forma ad una Napoli che, come si è detto, si fa universale. Molto evocativa la sequenza iniziale, in cui Favino cammina per le strade affollate e vivaci, dove anche il comparto sonoro, importantissimo in questo film, fa la sua parte per creare fisicamente e simbolicamente l’ambientazione del film.
Il sonoro diventa protagonista anche nella scena finale, preannunciata nel corso di tutta la narrazione, ma che quando prende vita sullo schermo rivela tutta la sua iniquità e irreversibilità che lasciano senza fiato.
Rispetto agli ultimi film di Martone, Nostalgia è un film con una carica drammatica ben maggiore, perché porta alle estreme conseguenze le sue riflessioni, riflessioni non legate alla singola Napoli o all’Italia, ma in qualche modo globali, relative all’umanità nella propria totalità. Martone, i cui film si sono sempre distinti per un forte terreno politico e ideologico legato prevalentemente all’Italia, racconta qui una storia che invece riflette temi universali.
Come viene detto spesso da molti personaggi, in particolare da Don Luigi, interpretato da Francesco Di Leva, è necessario spiccare il volo, liberarsi del passato e guardare al futuro. È ciò che Felice non riuscirà a fare e il passato lo inghiottirà.
L’aforisma di Pasolini che apre il film, che accostava la nostalgia ad una fonte di conoscenza, risuona quindi come un ribaltamento nel momento in cui la nostalgia diventerà qualcosa da rifuggire.
La percezione di Felice su Napoli cambia notevolmente nel corso del film, così come cambia Felice stesso. Complimenti a Pierfrancesco Favino per essere riuscito a raccontare il cambiamento attraversato dal suo personaggio durante il procedere della narrazione. Allo stesso modo cambia il tono del film, con un inizio posato e intimo, coerente con l’idea di ritorno al luogo natio. Ci sarà poi la prima svolta di trama, che introdurrà il tema portante, ovvero il legame tra Felice e Oreste. Si respirano qui atmosfere ricorrenti nel cinema italiano degli ultimi anni, derivanti da Gomorra – La serie. Qui il film diventa una corsa che lo spettatore fa insieme a Felice per raggiungere il proprio agognato obbiettivo. Si scalerà simbolicamente una montagna per raggiungere il luogo in cui si nasconde Oreste e affrontarlo.
E poi ci sarà il terzo atto, che alzerà delle aspettative, per poi sovvertirle negli ultimissimi minuti, con quello che, in fin dei conti, era l’unico finale possibile.