Non succede ma se succede, in inglese Long Shot, che suona tipo l’azzardo, è l’ultima creatura per il grande schermo del regista e sceneggiatore Jonathan Levine, e testimonia che anche se si possiede un comico sul pezzo tra le fila, seppur si frequenta la commedia e si ha voglia di sposarla al politically uncorrect figlio della stand-up, non sempre il risultato può essere efficace.
Al contrario Non succede ma se succede mette in evidenza una certa quale foga di allinearsi con i trend topic del momento, i più scomodi e controversi, tralasciando le varie componenti prescelte, che rimangono senza guida, procedono un po’ per inerzia, un po’ per sentito dire, un po’ per simpatia, ma non coinvolgono in una direzione sentimentale né stravolgono facendoci implodere nella satira feroce.
Non succede ma se succede – trama
La ricetta parte dall’assemblaggio di una coppia improbabile, che fa tanto favola e in potenza tanto divertimento, nido fertile di sogno romantico e battuta spiazzante, costituita dal Segretario di Stato Americano Charlotte Field, interpretata da una magnifica Charlize Theron e da un giornalista “di trincea” che ha il volto di Seth Rogen.
La prima ha in progetto di diventare il nuovo presidente degli Stati Uniti, ma ha un difetto è donna e deve acquisire popolarità nei sondaggi; il secondo scrive come un dio, ma la sua vena veritiera e polemica lo porta a licenziarsi dalla sua redazione subito dopo che questa è stata comprata da Parker Wembley, miliardario lobbista propugnatore della comunicazione di quantità non di qualità, venduto alla pessima informazione.
Cosa li accomuna? Lei cerca chi scriva discorsi agili e viscerali capaci di coinvolgere le folle, lui ha bisogno di un lavoro; ma soprattutto sono stati lei la babysitter di lui nei tempi imbarazzanti, coraggiosissimi e spensierati del liceo, in cui si sognava un bacio e si lottava per grandi ideali dal palchetto di una palestra nel consiglio studentesco.
Si incontrano, si riconoscono, si ingaggiano, si innamorano. Il resto accade perché deve accadere, si resta a guardare semmai come accade, tra situazioni che iperbolizzano l’imbarazzo, smascheramenti comici e strigliate ai target sensibili della nostra contemporaneità.
Non succede ma se succede – Recensione
Visibile su Amazon Prime, Non succede ma se succede è una commedia lunga, che in quasi due ore di girato, intreccia in modo schematico e paratattico due personaggi ben incapsulati sì, forse clichè del genere, ma entusiasticamente vitali, e li imbriglia in situazioni limite da manuale scolastico, per portare acqua al suo mulino pop di battute e urgenze cerebralmente schierate e scorrette.
Nonostante ci sia una bella e ci sia una bestia, la chimica tra i due resta scrittura a tavolino, non buca lo schermo, né si apprezza l’epicità di una principessa con il suo ranocchio, poiché l’umorismo sporco e cattivo atterra la premessa, si prende alcuni spazi chiave del film sincopando l’arco narrativo, deviandone l’accento su ciò che fa discutere non su ciò che accade.
Così il pubblico bascula tra plot ed inserti folkloristici di un umorismo sagace, impegnato, più che disinvolto, a tratti demenziale, bello in sé, ma dalla fragile durata, colpevole di non giovare né all’immedesimazione, né al ritmo, neppure in definitiva alla risata intelligente ed un po’ compiaciuta che si auto-aspettano.
Il mondo di riferimento è quello americano degli open-mic, di chi “ci ha costruito una carriera su” con le domande scomode, con la auto-prese in giro, e si mescola a temi d’attualità conflittuale: il potere femminile più tortuoso di quello maschile, il bistrattamento dell’ecologia, il compromesso tra ideologia e mercato, tra sentimento e, potremmo definirla, barra dritta. Un universo di buone intenzioni che a volte vorrebbe assomigliare al famoso lastricato diretto al diavolo di cui al proverbio tradizionale, ma in realtà colpisce il bersaglio molto, molto più lontano dal suo centro.
Si ha la sensazione che Non succede ma se succede sia un discorso americano, fatto da americani, per gli americani, un dialogo in famiglia dove si citano in modo obliquo scene cult di film (ad esempio l’audace pettinatura di Tutti pazzi per Mary ricorda la fine del video imbarazzante del protagonista, registrato a sua insaputa), tormentoni mediatici, personaggi simbolo di una decadenza sociale che non è solo a stelle e strisce ma appartiene all’Occidente tutto, che annaspa tra le contraddizioni da lui stesso create.
La politica è un affare sporco, spesso senza senso, senza pudore, come una sveltina che non ci si confessa: non rammenda cuori, non purifica stati, non salva popoli; è un azzardo su un tappeto verde sul quale, più o meno, vale tutto. Eppure i sentimenti vincono, il ricordo di una dimensione felice, antica, in cui si era liberi e veri, anche se apparentemente spaventapasseri o con l’apparecchio adolescenziale, detta la scelta finale, scelta alla quale si arriva in modo teoricamente rocambolesco, ma di fatto liscio e preventivabile.
Questo poiché durante lo sviluppo mai si è veramente temuto che i due personaggi principali potessero non mettersi insieme o la loro felicità corresse effettivo pericolo. E’ dunque un distacco rappresentativo e intellettuale che accascia la commedia: si vorrebbe saltare dalla comicità sguaiata a quella vetrata, passando per un lago di riflessioni intelighenti, ma la manovra non appassiona granchè e sfugge ad una spina dorsale compatta.
Probabilmente influisce la durata, probabilmente la necessità, avendo determinati autori ed interpreti alle spalle, di essere scorretti, eppure, il graffio reale parte sempre da un’esperienza personale che quel graffio ha subito, e qui in qualche modo manca proprio personalità, un immaginario che non sia patinato, un po’ fumetto, un po’ scampolo di mondo adolescenziale.
Si compensata con una serie di scene-sketch costruite ad hoc per enfatizzare il gap di partenza tra lui e lei e i paradossi che l’arte politica del nostro affannato secolo bugiardo mette in campo. Latita una profondità di intenti, aspetto che alla nostra epoca fa male: sarà che dal 2019 anno in cui è uscito il film, sono accaduti una pandemia, una guerra, una crisi alimentare ed una energetica, ma lo scherzo sul serio resiste se nasce arrabbiato e sa di cosa parla, non se segue una sensazione facile, perché di facile e scontato oggi non esiste più niente.
Non succede ma se succede – Cast
Su ogni cosa che entra in scena campeggia senza se e senza ma la bellezza fuori dalla comune mortalità della Theron, una statua di luce ed impassibilità che da una parte rende ogni fotogramma impossibile da non guardare, dall’altra mostra il fianco alla debolezza del film. Charlotte Field di fatto non cambia, come parte così arriva, non è mai in pericolo, non rischia mai veramente nulla, non ci dice come sta durante lo svolgersi delle sue vicende: le attraversa campale, radiosa, disciplinata, al massimo spettinata.
Esclusa la sequenza al telefono in cui sotto droghe e con una sigaretta in mano, contratta sul rilascio di un pilota americano catturato in uno stato arabo nemico, con tanto di occhialoni a coprirle il volto, tutto il resto che le compete è detto e non le capita.
Rogen è un outsider fin troppo outsider, finto antipatico, di una spigliatezza devastante, che sconta a tratti un eccessivo controllo della situazione, a tratti un sopralerighe che avrebbe grandi intenzioni eppure si rivela di corta gittata.
Non succede ma se succede, paradossalmente impegnato in quello che dovrebbe essere il progressismo sano e scaltro del domani, pecca di un provincialismo che ce ne lascia accusare la durata eccessiva, la qualità sostanziale sia effimera che non radicata, testimoniando la difficoltà della leggerezza, che per essere tale dovrebbe volare universale e non campare di ombre riflesse, fatte e consumate in casa.