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Manas – L’Eden abusato della Brennand

A vincere la sezione delle Giornate degli autori a Venezia 81 è Manas, una storia di violenza e formazione, consapevolezza e tradimento dell’infanzia, dentro un mondo ai confini del mondo, inquinato di mali antichi e contemporanei.

Manas – Trama

Sulle palafitte della foresta amazzonica, nell’isola di Marajò, vive Tielle (Jamili Correa): è sveglia, bellissima, ha tredici anni ed una vita spensierata davanti. I giorni trascorrono tra bagni in acqua, scuola, chiesa, vendita di frutti di bosco e altre primizie che la natura selvaggia offre con guadagni abbastanza scarsi, puntate allo spaccio di zona dove passa un po’ di mondo e di altra verità, qualche fantasia sulle chiatte, le imbarcazioni del posto che trasportano turisti e locali nel cuore dell’Amazzonia.

Manas

Accanto a Tielle c’è la sua numerosa famiglia; un fratello maggiore vivace, una sorellina che la adora, una madre incinta stanca ma infaticabile e un po’ troppo silenziosa, un padre Marcelo (Romulo Braga) rumoroso, ingombrante e un po’ troppo premuroso. C’era anche una sorella più grande, che però è andata via di casa, forse nella grande città, per cercare il suo successo, per emanciparsi: Tielle l’ha idealizzata e spesso pensa a lei.

A casa si dorme tutti in una sola stanza, chi per terra, chi su un materasso, chi appeso ad un’amaca. Ma da quando Marcelo è andato a caccia con Tielle e le è rimasto attaccato addosso molto oltre il tempo necessario a prendere la mira con il fucile, qualcosa è cambiato. L’amaca della tredicenne si è rotta e lei dorme nel letto del padre, al posto della madre. Marcelo ha voluto così.

La violenza silente, non esibita, ipodermica

Succede in questo modo, silente, implicita, oscura, la violenza che il genitore commette sulla figlia, mentre l’innocenza scompare dagli occhi della giovane e con essa i giorni sorridenti delle recite scolastiche, dei tuffi nell’acqua limpida: il futuro non sembra più così felice.

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Forse sono cose che si devono accettare come lascia intendere rassegnata la madre, forse il suo destino è fare la ragazza “carina” sulle chiatte in attesa di qualche mancia non disinteressata di turisti e locali, forse quei fiori al totem segreto del bosco eretto per la sorella partita chissà dove, non sono per un’eroina, ma per una martire. Forse la prossima a subire quell’incubo sarà la sorella più piccola. Tielle decide di alzare la testa e sottrarsi a questo amaro pasto, interrompendo la catena di abusi.

Manas

Manas – Recensione

Opera prima brasiliana-portoghese, della regista Marianna Brennand Fortes, Manas colpisce per la schiettezza e al contempo per il tatto con cui si narra il delicato e spesso abusato tema della violenza su minori da parte dei familiari. Il quadro è pulito ed attento, non si insiste su particolari che non siano strettamente necessari, occupandosi maggiormente della costruzione di un mondo fragile, sospeso, affaticato, tra povertà e voglia di nuovo, facili abbandoni e altrettanto facili dipendenze. Non c’è dettaglio scabroso, totalmente assente il melodramma ed anche il compiacimento furbo.

C’è invece grande amore e cura nel tratteggiare il panorama interessato dalla storia: luoghi di confine per persone di confine, culture radicali e patriarcati radicali; donne sottomesse, prede indifferenti al problema, neanche più la parola utilizzano tanto è più cogente la questione della sopravvivenza.

Manas

Una preistoria non tanto fisica, quanto emotiva, d’accatto, ridotta ai minimi termini, che abdica all’evoluzione e con essa alla possibilità di costruire un futuro differente. E al baratto del proprio corpo, che sia per soldi, o per fare figli magari non richiesti, o per pressare chilate di mirtilli selvatici da vendere a chissà chi, o per sesso travestito da amore o da salvezza, non corrisponde più neanche lo sdegno, neppure la paura.

Siamo oltre, siamo alla contemplazione di un sistema più grande, più antico, più radicato di noi, che non cambia mai postura, che non sente, non vuole sentire, ma sta, resta, contagia, insegna, proietta, e viola, producendo figli e contaminandoli, crescendo figlie per poi rovinarle.

Le donne infinitesimo oggetto di un mondo di consumi dove tutto è di consumo ed oggettificato rimangono a capo chino sotto questa tempesta, che sempre è passata e sempre passerà, in attesa che finisca, per poi tornare a gettare fiato ed anima nei soliti modi.

Tielle inverte la violenza seriale subita dalle donne della famiglia

Tielle, dall’alto della sua fulminante bellezza, con la caparbietà pura dei suoi tredici anni spezza il circolo vizioso, alza la voce, senza alzarla, dice no, chiede aiuto. Ferma quindi un pilota automatico sociale, desta la dignità e l’amor proprio sopito dalle ferite incondizionate e dalle barbare abitudini progressive, inverte la marcia, per sé e per le altre dopo di sé. Lo fa per se stessa e per i propri sogni, che anche quando non siano affatto veritieri, sono sicuramente più puri di quello che la realtà vede ed intende in essi.

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Manas è un eden sprecato, un mondo ombroso, opaco, ammalato, come le foreste disboscate dal despota Bolsonaro, un taglio nascosto che si dissangua nella noncuranza di chi sa, ma non reagisce. Le acque scure, il cielo mai cristallino, l’atmosfera umbratile, l’ambiente è dell’umor nero di chi ha subito questa storia, mentre negli occhi di Tielle c’è un’invincibile luce che merita la vittoria.

Manas – Cast

Il cast è un polmone che esplode di sincerità: la giovane Jamila Correo ha una bellezza abbagliante: fiammeggia e calamita gli sguardi con grazia di adolescente, che sa, non sa, senza smettere di guardare oltre. Diventa lei stessa madre delle donne della sua famiglia, bambina definitivamente ed enigmaticamente cresciuta al’improvviso, la più grande in mezzo a tutte quelle femmine, madre, sorelle presenti, sorelle assenti, amiche, coetanee, tutte boe in mezzo all’oceano freddo che ingurgita e non aiuta.

Espressivi ed energici gli altri interpreti, creature di una latitudine che ha le proprie frequenze e le restituisce in tutta la loro dinamica terrigna.

Manas ci immerge in un’isola incontaminata ed infelice, infelice perché lusingata dall’opposto da sè, infelice perché schiava di antiche perversioni patriarcali. E’ un film che denuncia senza mettersi sul piedistallo, evoca e rimanda, non punta il dito direttamente, si spiega con eleganza e senso acuito di crudeltà per lo spettatore,come un coltello nella ferita, un’ombra inquietante, su cui farsi delle domande.

C’è del marcio in Amazzonia, l’indigeno fedele e il buon selvaggio sono miti che non esistono, chissà mai se sono esistiti. Meglio non dire, meglio non sapere, meglio fare finta. Ma Tielle apre una strada, ed un altro mondo diventa possibile, probabilmente altrove, probabilmente da capo. Ed ha solo tredici anni.

Manas – Trailer

PANORAMICA RECENSIONE

Regia
Soggetto e Sceneggiatura
Interpretazioni
Emozioni

SOMMARIO

Tielle vive in una palafitta su un'isola nella foresta amazzonica; una sorella più grande andata via chissà dove, una più piccola, un fratello maggiore, una madre stanca e silenziosa, un padre ingombrante e troppo premuroso che abusa di lei. Tielle rompe il silenzio, prima tra le donne della sua casa. Racconto onesto, amaro e nitido di un mondo alla fine del mondo, di un'infanzia sporcata, di una violenza che è sempre stata e non vuole essere più, di un rifiuto coraggioso che rivendica identità, dignità ed autonomia in capo ad una donna ancora adolescente.
Pyndaro
Pyndaro
Cosa so fare: osservare, immaginare, collegare, girare l’angolo  Cosa non so fare: smettere di scrivere  Cosa mangio: interpunzioni e tutta l’arte in genere  Cosa amo: i quadri che non cerchiano, e viceversa.  Cosa penso: il cinema gioca con le immagini; io con le parole. Dovevamo incontrarci prima o poi.

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