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L’ospite – L’opera seconda di Duccio Chiarini

L’ ospite è una commedia dolceamara del 2018 con cui Duccio Chiarini, regista fiorentino alla sua seconda opera (dopo l’esordio Short Skin del 2014) ricama il quadro di una generazione di fronte alla svolta affettiva della vita, emotivamente non sicura né rassicurabile, incerta di sé, che resta imbrigliata nei propri limiti, contagiosi, comuni, di scarsa efficienza, di crisi da etichette mancate, un tempo magari aborrite, ora oggetto di pesante lacuna.

L’ospite – Trama

Guido (Daniele Parisi) alle soglie dei quaranta e Chiara (Silvia D’Amico) più giovane di lui di pochi anni, potrebbero essere incappati nell’imprevisto di aspettare un bambino: ciò destabilizza la coppia in modo repentino e folgorante. Lei ha bisogno di una pausa perché diventare madre non è tra le sue priorità, vorrebbe poter sfruttare i suoi doppi master post laurea e magari, chissà, trasferirsi oltreoceano dove non mancano occasioni più soddisfacenti di una sottopagata guida turistica a Roma.

L'ospite 1

Lui è un laureato in lettere, con tutta la precarietà che questo comporta, cura da troppo tempo un saggio su Calvino la cui pubblicazione è costantemente posticipata, ogni tanto fa supplenze di italiano in scuole che non ama. Entrambi non hanno una vita realizzata, ma nel momento in cui se lo dicono si rompe qualcosa e l’allontanamento è progressivo. Inizia Chiara, che chiede una pausa di riflessione, confusa dalle priorità non dai sentimenti; arranca Guido che non capisce e vorrebbe mantenere le cose come sono.

Ma nelle more delle decisioni lui lascia casa e si ritrova ospite su divani di altri amici (compresi i suoi genitori), tutte coppie più o meno ufficiali, riguardo alle quali scopre di non conoscere e nemmeno immaginare molti dettagli relazionali. Amore, convivenza e passione restano affari difficili per tutti.

L’ospite – Recensione

Con vividissima spontaneità L’ospite fa entrare lo spettatore nel mondo di ragazzi-uomini e ragazze-donne, che combattono con un’età adulta che sembra sfuggire loro di mano, che comunque non rende giustizia né felicità, una meta temporale ed emozionale lontana dai sogni di gloria. Complice di ciò è un mondo in cui meritocraticamente non esiste garanzia, e l’accontentarsi regna sovrano, in cui si nega ogni conformità tra desiderio di partenza e traguardo ottenuto, e che nutre una scontentezza e un’inidoneità di fondo con colpi bassi e false speranze.

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L'ospite 2

Questo porta a maturazione esseri umani traballanti, con gittate di pensiero ed aspirazioni necessariamente a corto raggio, cui basta poco per entrare in crisi, quando già non vivano in crisi permanente. Chi voleva fare una facoltà, ne ha seguita un’altra, chi ha scelto ciò che voleva ora non ha da mangiare. E non solo. Il discorso si allarga, si stratifica e si complica se entriamo nella dinamica di un rapporto.

La generazione dei trenta-quaranta impreparata alla svolta affettiva della vita

Due persone sono una combo faticosa da reggere, giustificare, comprendere, alimentare; tensioni, malesseri e malumori sono gocce più o meno invisibili che avvelenano la quotidianità, una normalità costruita a furia di sacrifici, su un bilico costante. Perciò tutti gli amici di Guido non vivono idilli: c’è chi è incinta ed è innamorata di un altro, c’è chi si districa maldestramente tra due donne, una più voluta, l’altra più amata, c’è chi non si sopporta ma finge di sopportarsi. Persino i genitori di Guido, dall’alto della loro esperienza, si tollerano, sono solidali nei momenti topici, ma oltre non vanno più ormai.

L'ospite 3

L’amore appare un’utopia, qualcosa di non aggiustabile, di non ragionevolmente sistemabile. L’amore è un caso, quasi un’opinione, necessita forse di altri occhi, altre occupazioni e altre preoccupazioni. Non si merita o non è abbastanza degna la generazione de L’ospite per vivere l’amore.

Punto di forza del film è il ritmo ampiamente andante con cui scivolano via tutti i dialoghi, battute scritte come se ciascun personaggio conoscesse la frase giusta da esprimere al momento giusto, e lo facesse senza darvi peso. Questo incrementa la naturalezza egemonica dell’operazione, anche se a lungo andare, può risultare in qualche modo limitante o straniante e l’intero film perdere in spessore.

L'ospite 4

Ritmo sostenuto dei dialoghi, spontaneità recitativa, battute scritte su misura

A fronte di un tempo-ritmo sostenuto tra dialoghi quasi esemplari, c’è un nerbo con cui si sta in scena che amalgama ogni ingrediente in un trionfo di organicità che fa bene alle orecchie anche se rischia di lasciare tutto poco impresso. Sentimenti un po’ trattenuti, appena accennati, problematicità mai scoppiate, criticità raccontate, alcuni momenti di paradossale ironia e di spiazzo emotivo, complessivamente ben gestiti, ma lo sforzo interpretativo richiederebbe una gestione degli accenti migliore e, probabilmente, una sceneggiatura che arrischi un colpo d’ala.

La volontà è quella di non melodrammare, non radicalizzare, nè fanatizzare una materia, evidentemente, arcifrequentata. Così L’ospite riesce a tenersi lontano dalla mediocrità assolutoria di prodotti comparabili ma molto superficiali, ma nel suo sguardo quasi a-conflittuale, dettagliato, ma essenziale e controllatissimo, si scava una nicchia che potrebbe scolorire nella memoria.

L’ospite – Cast

Sicuramente elogio oggettivo va riservato agli interpreti. A partire dai comprimari, finalmente volti non noti, ma capacissimi, fieramente normali, attraversati con perfetta credibilità da tutti i diagrammi emotivi pur celeri e schematici che la trama comporta. La coppia protagonista si ritrova qui dopo l’esperienza comune del film Orecchie, e risulta già intrisa di una chimica più amicale che passionale, nonostante la languiditá che a tratti investe il protagonista, un Daniele Parisi, con soffio di voce, onestà fisica spiccata e malinconia a disposizione immediata.

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L'ospite 5

Il risultato pone L’ospite come una commedia sentimentale e generazionale, scevra dai classici difetti di autoreferenzialità e semplificazione di “colleghe” simili, che con misura evidente e spigliatezza prova a raccontare diversamente dal solito quell’antica storia conosciuta da molti di amore adulto non andato in porto, perchè adulto, forse, ancora, non era.

Plauso agli ottimi comprimari, volti non noti, con grande disinvoltura interpretativa

Nel farlo ci mette impegno, vola leggera su percorsi a volte pesanti, altre volte tragici, a volte sciocchi, restando però parzialmente ipnotizzata da sé stessa, da alcuni momenti classici, temi musicali (bella la canzone di Brunori che dentro un pub parla proprio di certa tipologia di amore), bivi già visti, immettendo in essi sempre la stessa pressione, un conflitto a tiratura costante, che è tanto verosimile da immergersi nell’innocuo, fuggendo il dramma, anche solo per un piccolo momento.

L'ospite 6

Così nel ricordo che L’ospite può lasciare di sé si arriva a riassumere la storia come quella di un quasi quarantenne, lasciato dalla convivente in cerca di nuove soddisfazioni lavorative personali e forse non solo, che tra un disamore ed un flirt inedito, si guarda attorno e scopre che l’incredulità del proprio sentire è normalità relazionale di tutti. Questo ha un impatto. E un tempo di elaborazione. Un “Benvenuti nel mondo dei grandi” in cui il dolore, la ferita, è suggerita, poco strillata, poco spessa.

Nulla di nuovo sotto il sole, ma questo “nulla” è detto con lieve, malinconica, tangibile, probabilmente non sufficiente maestria. Il tentativo ed il carattere restano.

L’ospite – Trailer

PANORAMICA RECENSIONE

Regia
Soggetto e Sceneggiatura
Interpretazioni
Emozioni

SOMMARIO

Lui e lei più vicini ai quaranta che ai trenta entrano in crisi quando "corrono il rischio" di diventare genitori: lei chiede tempo, lui lascia casa e si ritrova a dormire nei divani di amici e genitori, scoprendo che l'amore in tutte le coppe è faccenda complessa, altalenante e metamorfica. Commedia dolce-amara sull'amore adulto che non possiede la forma sperata: ritmo sostenuto, dialoghi lucidi, interpreti secondari di grande merito, una malinconia di fondo che rende soffuso tutto il conflitto e rischia di autoipnotizzare la storia: non grida, non fa sensazione, soffia.
Pyndaro
Pyndaro
Cosa so fare: osservare, immaginare, collegare, girare l’angolo  Cosa non so fare: smettere di scrivere  Cosa mangio: interpunzioni e tutta l’arte in genere  Cosa amo: i quadri che non cerchiano, e viceversa.  Cosa penso: il cinema gioca con le immagini; io con le parole. Dovevamo incontrarci prima o poi.

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