C’è stato un momento in cui tutto sembrava perduto. L’ora più buia per l’Europa scatta quando, dopo aver frantumato Polonia e Scandinavia, Hitler scaglia il suo esercito contro la Francia. In quel momento di crisi gravissima l’Inghilterra diventa, ancora una volta, l’unico argine europeo contro un grande conquistatore.
Joe Wright, reduce dal disastro commerciale di Pan, sceglie proprio questo periodo per raccontare a tutto tondo la figura del celebre politico Winston Churchill. Dietro la maschera del primo ministro inglese siede nientemeno che Gary Oldman, proiettato verso un successo sempre più altisonante. Vediamo com’è andata.
Maggio 1940. Hitler sembra inarrestabile. Qualunque cosa invada, la fa sua. La Guerra Totale, simbolo della forza e disciplina tedesche, terrorizza il mondo. Fanteria, carri armati e aerei. Un triangolo di morte che si abbatte contemporaneamente sui nemici senza possibilità di scampo. Il “riscaldamento”, ovverosia la Polonia, è andato bene. Quando comincia la partita vera, attraverso le frontiere del Belgio, dei Paesi Bassi e della Francia, i risultati diventano persino migliori delle aspettative.
In Inghilterra c’è fermento. Il premier Neville Chamberlain negli ultimi cinque anni non ha fatto altro che trattare con Hitler, concedendogli in buona fede sempre più territorio. L’operato del suo gabinetto, denominato poi appeasement, concepisce solo e soltanto la pace. Inutile dire che questa illusione non si realizzerà. Anzi.
C’è soltanto un uomo che non smette mai di rimproverare Chamberlain e i suoi ministri. Si chiama Winston Churchill ed è bravissimo in due cose: prevedere il futuro e farsi ignorare. Nonostante le sue acute argomentazioni, nessuno lo ascolta. Finché non arriva il maggio del 1940. A quel punto, volenti o nolenti, gli inglesi dovranno ascoltarlo per forza.
L’ora più buia non è soltanto la fotografia di uno dei mesi più catastrofici dell’Impero britannico, ma è anche e soprattutto un viaggio nella mente turbata di Winston Churchill. La sua apparizione, dopo circa dieci minuti, catalizza l’attenzione fino alla fine. Ogni istante, per quasi due ore, è insindacabilmente suo.
Questo fattore mette in luce il primo grande difetto dell’opera di Joe Wright, ovvero la mancanza di spessore dei personaggi secondari, elemento gravissimo in un film storico. Manca quasi del tutto, infatti, un mondo autosufficiente attorno a Churchill. Chamberlain ed Halifax, i suoi rivali politici, vengono ad esempio completamente svuotati, limitandosi ad incarnare una sterile opposizione tanto artificiosa quanto contraddittoria.
La produzione, inoltre, sceglie di ambientare L’ora più buia in una serie infinita di ambienti chiusi, tralasciando quasi del tutto i frequenti viaggi che Churchill compiva sui vari campi di battaglia. Questo elemento, seppur verosimile ed accettabile, finisce inesorabilmente per stritolare il ritmo, per nulla alimentato né coltivato. La pellicola, infatti, un po’ come il protagonista, balbetta, incespica, si ferma a lungo e forse troppo, concedendosi qualche slancio soltanto nel tardivo segmento finale.
Sembra impossibile da credere eppure, dopo un inizio interessante, il tutto viene invaso dalla noia. Fumose e interminabili discussioni nelle stanze del potere, momenti introspettivi prolungati all’infinito, persino commenti ironici posti completamente a caso. Un cocktail che spezza colpo su colpo ogni tipo di coinvolgimento, rendendo uno dei momenti più drammatici della Seconda Guerra Mondiale un trionfo di sbuffi, sospiri e sbadigli. Ci siamo ritrovati, in alcuni istanti surreali, ad incitare letteralmente i personaggi affinché facessero qualcosa. Qualunque cosa. E non stiamo scherzando.
Eccellente, seppur esasperata, è invece l’interpretazione di Gary Oldman. Churchill, sessantasei anni al momento della pellicola, viene infatti rappresentato come se portasse sulle spalle almeno dieci o venti anni di più. La drammatizzazione dei suoi acciacchi e dei suoi vizi permette di scavare più a fondo nella sua personalità, ma rimuove quasi del tutto l’aspetto più energico e incrollabile del personaggio storico. In buona sostanza, il Winston Churchill qui rappresentato è fin troppo romantico, distante secoli dall’uomo spigoloso che tutti abbiamo studiato.
Nonostante questa discrepanza, il lavoro svolto da Oldman è eccezionale. L’attore conosciuto in pellicole come Il prigioniero di Azkaban o Il cavaliere oscuro è qui irriconoscibile. Grasso, gonfio, sempre sul punto di sbottare, il suo Churchill nasconde sotto ogni lembo di pelle il peso mastodontico delle responsabilità.
L’ora più buia racconta per larghi tratti la vicenda di Dunkirk. Nonostante questo, si pone agli antipodi del film omonimo confezionato da Christopher Nolan nello stesso anno. A differenza di quest’ultimo, infatti, il lavoro di Wright si astrae completamente dal campo di battaglia, raccontando l’altro punto di vista, ovvero gli effetti che ogni evento produce nelle stanze del potere. I nazisti, anche in questo caso, sono esseri evanescenti. Appaiono di rado, ma sono ovunque.
La differenza principale sta proprio nel punto focale. Dunkirk rimuove il volto dai personaggi, concentrandosi su una massa indistinta, caotica e collettiva. L’ora più buia, invece, si fonda completamente sul protagonista, delegando al suo ruolo il controllo completo della pellicola. Tutti gli altri sono al suo servizio, esistono solo in sua funzione. Sia metaforicamente, sia nel concreto.
Le ambientazioni, come detto, sono interessanti ma sfruttate male. Gli uffici bui e polverosi, inaccessibili al grande pubblico, affascinano soprattutto nella prima parte. Una volta fatta l’abitudine, diventeranno ridondanti e quasi insopportabili.
Le musiche, invece, si dividono tra una generale anonimia ed improvvisi scatti non sempre contestualizzati. In un paio di occasioni, abbiamo avuto la spiacevole sensazione che la pellicola tentasse di enfatizzare artificiosamente momenti tutt’altro che interessanti.