L’universalità di un banale litigio
La storia è quella di un battibecco tra due uomini nato da una parola di troppo. Il fatto avviene in Libano tra il cristiano libanese Toni Hannah e il palestinese Yasser Salameh, ma in realtà il regista Ziad Doueiri ha vissuto dinamiche simili da cui poi ha tratto ispirazione. L’insulto ha un’ottima sceneggiatura e due performance eccellenti, ma è la sua universalità l’elemento chiave e la semplicità con il quale ricorda l’importanza delle parole, chi le pronuncia e le conseguenze spesso sottovalutate. L’insulto nel 2018 ha rappresentato il Libano ai Premi Oscar, arrivando nella cinquina finale. Kamel El Basha, interprete di Yasser, vinse la Coppa Volpi a Venezia per la sua interpretazione.
L’insulto: la trama
Toni Hannah è proprietario di un’officina in cui lavora tutti i giorni, sposato e con una bambina in arrivo. Yasser Salameh è un capo cantiere che sta svolgendo con la sua squadra dei lavori di bonifica nel quartiere. Per un tubo non a norma nel balcone di Toni, nasce una discussione tra i due e Yasser lo insulta. Toni, furioso per l’ingiuria ricevuta, chiede d’essere risarcito dalla legge. Yasser prova a scusarsi, senonché la rabbia porta Toni ad insultare pesantemente l’uomo. E’ l’inizio di un contrasto che porterà i due in tribunale, ognuno convinto d’avere la ragione dalla propria parte. Quello che inizialmente si preannunciava come un banale litigio tra due uomini, si trasforma in un caso nazionale che vede contrapposti libanesi e palestinesi. Ad aggravare la vicenda i due avvocati degli imputati che conducono il processo non in modo ortodosso.
L’insulto: la recensione
E’ curioso il fatto che, a distanza di poco tempo, il cinema si sia fatto carico di ricordarci quanto il linguaggio e la comunicazione siano il fondamento della nostra società. Prima Denis Villeneuve con Arrival nel 2016, solo un anno dopo Ziad Doueiri con L’insulto, opere diverse ma efficaci a modo loro. Il film libanese ha dalla sua una linearità di scrittura esemplare pur poggiandosi su anni e anni di storia e conflitti geopolitici. Su questo background è costruito il passato di Toni, ma anche quello di Yasser. Il primo è un sopravvissuto al massacro di Damur, avvenuto negli anni ’70 durante la guerra civile libanese, mentre il secondo porta su di sé il peso dell’irrisolta questione palestinese. Yasser, per Toni, rappresenta l’intero popolo palestinese e quindi, per proprietà transitiva, è responsabile della sue sofferenze e causa del suo fuggire da Damur a Beirut. Il passato è ancora vivo dentro di lui e le ferite mai rimarginate lo portano ad agire con fare sconsiderato e impulsivo. Yasser, dal canto suo, è un palestinese consapevole d’essere ospite in terra straniera, ma non per questo è un servo e quando Toni insulta l’identità del suo popolo, reagisce in modo aggressivo. Il film mantiene in perfetto e costante equilibrio la sfera pubblica e quella privata dei protagonisti, compresa quella dei due avvocati difensori il cui ruolo ha un peso non indifferente sulle sorti del processo. Una panoramica delle reazioni del paese mostra quanto ancora quelle terre siano lacerate da risentimenti personali e ideali nazionalistici estremi. Toni e Yasser, involontariamente, diventano i portabandiera di una causa ben più grande del loro litigio.
Un finale umano e ottimista
Il contrasto tra Toni e Yasser degenera in fretta. Le fazioni sono ormai schierate e il paese attende trepidante l’esito del processo, comprese le forze governative impaurite dalla violenza dilagante in strada. I due uomini capiscono che la faccenda è andata ben oltre il loro controllo e la loro consapevolezza diventa anche la nostra. L’insulto è un film illuminante, disarma nel trasmettere un messaggio con profonda semplicità e maturità di linguaggio. Non importa alla fine chi sia la vittima e chi il colpevole, il film va a monte della questione. Al regista preme ricordare quanto sia importante comunicare e andare a fondo nelle cose, perché nessuno ha il diritto di detenere il monopolio della sofferenza. La comprensione umana e l’empatia che i due uomini raggiungono sul finale è sintomo di una ritrovata serenità con l’Altro, ma soprattutto con il proprio io interiore.