Correva l’anno 1973 e il mondo si apprestava a fare i conti con un film epocale. L’Esorcista di William Friedkin è molto più di un semplice film horror; che si tratti della prima visione in assoluto o di un appassionato rewatch è infatti questa la prima grande sensazione che rimane.
Tratta dall’omonimo (e altrettanto inquietante) romanzo di William Peter Blatty, l’opera si pone come antesignana di un genere che, negli anni avvenire, avrebbe assunto diverse forme, si sarebbe diramato in molteplici direzioni, finendo anche per forgiare il termine splatter (un appellativo al limite del dispregiativo che cataloga pellicole con fregi artistici macabri).
È una delle prime volte in assoluto che un’artista del cinema attua un così persistente tentativo di sorprendere lo spettatore, di inquietarlo e di mettere in dubbio le sue credenze più solide. La cifra stilistica, tuttavia, costituisce un espediente per porre dei quesiti più elevati che (lungo tutto l’arco del film) accompagnano lo spettatore in un viaggio ben più complesso di cui la trama è corollario.
L’Esorcista: trama
La storia si apre con un incontro misterioso, quello tra padre Merrin (Max von Sydow)e il demone Pazuzu. Il sacerdote incorre nell’effige di quest’ultimo durante gli scavi in un sito archeologico iracheno e, sebbene il ritrovamento possa far pensare a un semplice rimando mitologico, la preoccupazione nel volto di Max Von Sydow introduce alla battaglia spirituale che, di lì a poco, avrebbe investito tutti i personaggi.
Al contempo, in una Georgetown fredda e nebbiosa, l’attrice Chris McNeil (Ellen Burstyn) e sua figlia Regan (Linda Blair) conducono la loro vita borghese con afferrabile inconsapevolezza; all’oscuro delle forze che stanno per mettersi in moto, madre e figlia condiscono il tempo a loro a disposizione con lavoro, scherzi, confessioni tenere e richieste adolescenziali (di quelle che ogni figlia farebbe a una madre).
A indicare questa libertà di spirito è una tavola ouija, innocentemente utilizzata da Regan per gioco e per conoscere informazioni legate alla vita privata (non di certo riguardanti una qualche dimensione mistica). Le domande alle quali si dovrà rispondere a breve saranno ben altre.
L’Esorcista: l’evocazione del male
Regan evoca involontariamente il demone Pazuzu che, a partire da questo momento, fa ingresso nella vita delle due donne. Comincia una fase di incertezza scenica dove si comincia a fare i conti con eventi disturbanti: una statua della madonna viene profanata nella chiesa di quartiere e a casa McNeil si manifestano i primi squilibri psichici della giovane Regan.
All’inizio dolce e pacata, quest’ultima mostra segni di sconcertante aggressività (fino ad arrivare a vere e proprie minacce di morte perpetrate nei confronti di un collega della madre). Come un fulmine a ciel sereno (ma al contempo con elevate capacità di mimetizzazione) il demone manifesta il suo volto più oscuro e, dopo un’inziale processione per tutti i medici specialisti del caso, la madre della giovane posseduta cede alla disperazione interpellando padre Karras (sacerdote con un passato da pugile).
Pazuzu
Vane e inutili anche le congetture del detective indiziato a risolvere un caso di omicidio avvenuto proprio all’esterno dell’abitazione delle McNeil (morte che sarà imputata proprio a Regan, la quale agiva su direzione di Pazuzu). Da questo momento in poi il corso degli eventi obbliga i protagonisti in gioco a riconsiderare le loro stesse credenze e a misurarsi con qualcosa di superiore alla concezione umana; per salvare Regan non sono bastate infatti le cure mediche, così come padre Karras non è in grado da solo di risolvere il problema.
Si fa strada l’opzione dell’esorcismo (una pratica quasi ignorata che per essere intrapresa necessita del benestare della Santa sede). Viene quindi investito dell’incarico di condurre il rito l’anziano padre Merrin (già venuto a conoscenza del nemico e, per questo, più consapevole del problema); il percorso, tuttavia, si dimostra tortuoso e non privo di difficoltà.
L’Esorcista: la recensione
La regia dimostra, con puntualità tecnica e in ogni singola scena del film, di dare risalto alla sfera dell’ignoto (grande protagonista nascosto della pellicola stessa). Secondo quanto anticipato, la storia de L’Esorcista rappresenta infatti una costante lotta per la verità e, se si dovesse individuare un frammento riassuntivo dell’intera tematica, si potrebbe certamente scegliere l’arrivo di padre Merrin a casa McNeil.
Sceso dalla macchina, il sacerdote si avvicina al cancello; l’oscurità è padrona di tutto, il buio del viale è interrotto soltanto da un fascio di luce che parte proprio da una delle finestre della casa e lo illumina debolmente. Un segno di speranza, indubbiamente, ma anche un’indicazione sulla flebilità di ciò che si conosce: l’ignoto investe tutti i personaggi, nessuno escluso, e obbliga ognuno di essi a fare i conti con i propri tormenti interiori.
La madre di Regan (atea dichiarata) si misura con eventi ai quali prima non avrebbe mai creduto, padre Karras deve invece contrastare i continui sensi di colpa per non essere stato abbastanza vicino alla madre anziana scomparsa di recente e, infine, padre Merrin è chiamato a combattere le forze oscure della spiritualità.
Questo incupimento emotivo della trama è segnato anche, registicamente parlando, da ambientazioni scure, buie e in contrasto con l’atmosfera autunnale respirata fino a questo momento; la nebbia che aleggiava a inizio film si è tramutata in tenebre.
L’Esorcista: Pazuzu si rivela
La parte finale dell’opera, quella corrispondente al rito esorcistico, si svolge interamente all’interno della casa dove dominano freddo e buio. I protagonisti interagiscono con Pazuzu ma anche tra di loro e se con il diavolo si dimostrano combattivi, nelle scene di raccoglimento emerge la loro insicurezza, la paura di non riuscire a vincere (contornata anche da un senso di riservatezza che lascia intendere la volontà di non farsi ascoltare dal demone stesso, quasi fosse un’entità sempre vicina a loro).
L’Esorcista termina con una vittoria; il diavolo viene infine sradicato dall’anima della giovane ospite ma il tutto a caro prezzo. Se Regan può tornare alla vita di prima e riabbracciare la sua innocenza, per gli altri protagonisti si può parlare solo di un successo a metà.
Chris ha dovuto sopportare l’idea di perdere la figlia per sempre (sebbene fisicamente presente, era totalmente persa nell’anima) e le sue urla disperate non sono che un evidente segno della progressiva perdita di equilibrio interiore che stava per farla precipitare in un vero e proprio abisso.
A subire il destino più infausto sono invece padre Merrin e padre Karras. Il primo, sfiancato dalla potenza del demone che ha ulteriormente indebolito il suo cuore (affetto da una malattia già da tempo) si è spento nel tentativo di allontanare questo spirito malvagio.
Il secondo invece ha compiuto un atto eroico di sacrificio lasciando che il diavolo si impossessasse di lui per poi buttarsi dalla finestra, sconfiggendo il nemico a costo della sua stessa vita.
Riflessioni finali
Diverse tematiche convergono quindi nel fare de L’Esorcista un vero esempio del genere. Al di là dell’inquietudine e del turbamento tipici di un film horror, la storia prende forma includendo: rapporto con la fede religiosa, irrazionalità della mente umana, sacrificio e slancio conoscitivo umano.
In poche altre pellicole si può apprezzare questa completezza, la sostanza contenutistica che è propria di un film di questa caratura. Un’altra pietra miliare di pari livello è Rosemary’s baby che rientra di diritto in questo discorso; proponendo tematiche simili, dà l’impressione infatti di costituire un film di rottura.
Sia quest’ultimo che l’opera di William Friedkin hanno suscitato polemiche e si sono portati dietro uno strascico culturale enorme sfociato, talvolta, in serie problematiche sociali; basti pensare alle minacce rivolte a Linda Blair (la giovane Regan nel film). In conclusione è bene dire che il lascito è gigante e l’eredità raccolta nel corso degli anni è un dono da trattare con cura.