Nel 1989 il regista finlandese Aki Kaurismӓki ci conduce alla scoperta dei Leningrad Cowboys. Si tratta di un vero gruppo rock del paese scandinavo, noto soprattutto per le sue apparizioni nelle opere del cineasta. Al film del 1989 seguirà un secondo progetto dedicato alla rock band, dal titolo Leningrad Cowboys meet Moses, che sarà anche l’ultimo film del sodalizio tra il regista e il compianto Matti Pellonpää. Kaurismӓki ha anche girato tre video musicali del gruppo sempre negli anni ’90. Il titolo è volutamente in un inglese maccheronico, che richiama il modo di parlare della band.
Leningrad Cowboys go America – trama e cast
I Leningrad Cowboys, scalcinato gruppo rock, sono stanchi della scarsa fortuna dei loro concerti nella tundra russa. Così, guidati dal dispotico e truffaldino manager Vladimir (Matti Pellonpää) decidono di tentare la fortuna negli Stati Uniti d’America. Come se non bastasse, durante una notte particolarmente fredda, il bassista del gruppo resta congelato. La band si mette dunque in viaggio portandosi appresso la bara del bassista, che il manager utilizza per tenere le birre al fresco. Al loro seguito si trova anche Igor messo alla porta a causa della calvizie che gli impedisce di avere il tipico ciuffo che hanno tutti gli altri membri.
Una volta arrivati a New York, tentano la fortuna nello storico CBGB, dal quale vengono però presto mandati via in malo modo. Inizia, allora, per il gruppo un’ulteriore odissea, a bordo di un mezzo comprato da uno strano venditore d’auto (Jim Jarmusch). La band si mette in strada per il Messico, dove sono stati contattati per suonare a un matrimonio. Nel corso del viaggio non mancheranno i momenti di ribellione all’atteggiamento dispotico del manager, che verranno però prontamente repressi. Una volta arrivati in Messico, la vita dei Leningrad Cowboys cambierà, anche quella del povero bassista congelato.
Leningrad Cowboys go America – un’ironia tutta nordica
Con Leningrad Cowboys Aki Kaurismӓki procede nel suo percorso cinematografico, sempre molto legato al mondo musicale, soprattutto nei primi anni della sua carriera. Siamo sicuramente in presenza di uno dei film più marcatamente comici del regista finlandese (di cui potete leggere qui un ritratto). Attraverso questa band, surreale già nell’estetica e nelle canzoni che realizza, è il surrealismo ironico del regista a risaltare con maggiore impatto. Non è vero che questi film si posizionano però al di fuori della cinematografia abituale del cineasta scandinavo. La sua luce è sempre puntata in direzione dei perdenti, degli emarginati, talvolta visti attraverso una chiave più seria. Talvolta, come in questo caso, più ironica. Il sodalizio con la band si è rivelato un successo importante per ambo le parti. Il concerto del gruppo nel 1992 con il Coro dell’Armata Rossa fu infatti un vero e proprio successo anche commerciale.
Anche in questo film, seppur tenendo la chiave paradossale che lo contraddistingue sempre a mente, si intravedono le dinamiche della cinematografia del regista. Il manager è una figura dispotica mette in pratica quelle forme di sfruttamento che vediamo spesso nei padroni verso i lavoratori nel cinema di Kaurismӓki. I personaggi del suo cinema, sempre in bilico tra ironia e disperazione, in questo caso propendono verso la prima, guidati da una forma di incoscienza. Il seguito di Leningrad Cowboys go America racconta il loro ritorno in patria, con una chiave ancora più ironica, ma forse meno paradossale.
La cifra del paradosso
Leningrad Cowboys go America e Leningrad Cowboys meet Moses sono segnati dal surrealism dirompente. Nel secondo film, sulla strada del ritorno verso casa, la band decide di rubare il naso alla Statua della Libertà. Nel primo si assiste al lento e, in questo caso davvero, letterale scongelamento del bassista, solo una volta arrivati in Messico. È la traduzione in forma artistica di una certa idiosincrasia del regista nei confronti degli Stati Uniti. Kaurismӓki è un cineasta politico e animato da una ideologia che mette sempre a sistema all’interno del suo cinema, anche in questo caso. La sua capacità di tenere assieme il dramma e l’ironia rendono i suoi film irripetibili, capaci di attirare l’attenzione del pubblico. Basti pensare a Ho affittato un killer.
Si tratta, infatti, di un film che a leggere la sinossi avrebbe poco di ironico, eppure la forza del film si regge sull’equilibrio tra l’ironia e il dramma. C’è un certo umorismo nordico a tenere in piedi la parte leggera dei suoi film, una peculiarità a cui non ha mai rinunciato nel corso della sua ormai lunga carriera. Come testimoniato anche da Leningrad Cowboys go America, Kaurismӓki è anche un cinefilo a tutti gli effetti. Se nel corso della sua carriera non ha mai nascosto una formazione che risale soprattutto alla Nouvelle Vague, qui si muove su un campo differente. I lunghi silenzi, il surrealismo, talvolta le citazioni esplicite, risalgono alla cinematografia classica dei Chaplin o dei Buster Keaton. Forse non è questo il film più indimenticabile di una filmografia lunga e ricca di capolavori, ma è una traduzione in nota paradossale di un modo di fare cinema assolutamente inimitabile.