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L’Apparenza Delle Cose – Recensione del film con Amanda Seyfried

L’Apparenza Delle Cose – Things head and seen la recensione del film Netflix con Amanda Seyfried

Distribuito da Netflix, L’apparenza delle cose, in originale Things heard and seen, è un horror anomalo che trasforma la classica premessa sovrannaturale (una casa infestata) in un’allegoria sociale sulla violenza domestica e sull’oppressione femminile. Siamo negli anni ’80 e Catherine (Amanda Seyfried) è una restauratrice d’arte che si trasferisce da Manhattan a una cittadina di campagna assieme alla figlia Franny per seguire il lavoro del marito, George (James Norton), che ha ricevuto l’offerta di un posto da insegnante di storia dell’arte in un college. Nell’enorme casa di campagna in cui si trasferiscono, Catherine sente fin da subito delle presenze e a poco poco scopre alcune verità sul conto di quella casa e anche alcune spiazzanti verità sul conto di suo marito.

Tratto dal romanzo All things cease to appear di Elizabeth Brundage

L’apparenza delle cose è tratto dal romanzo omonimo (in italiano, mentre in originale il titolo è All things cease to appear) di Elizabeth Brundage, ed è stato adattato dallo schermo dalla coppia di registi Shari Springer Berman e Robert Pulcini, nominata all’Oscar nel 2003 per il film American Splendor. Significativo che il film sia diretto da una coppia sia nella vita privata che nella vita lavorativa, un uomo e una donna, dal momento che il film può essere visto come una allegoria della battaglia tra sessi, in forma tragica e horror. Fin dall’inizio infatti cogliamo quello che ci suggerisce il titolo: la perfezione data dal classico quadretto della famiglia felice mamma, papà e figlioletta è solo apparente. I problemi, pur presenti, all’inizio vengono fuori per cose piccole, facilmente trascurabili o fraintendibili: Catherine è magra, e le altre mamme la invidiano, ma la verità è che o non mangia o vomita quel che mangia; non solo, ma la sua inappetenza è vista da tutti come il motivo di tutte le sue ansie e paranoie, mentre invece il suo corpo è l’unica area della sua vita su cui, all’inizio del film, ha veramente controllo; George vuole intimità con la moglie, ma quando la figlia è spaventata per la nuova casa e dorme nel letto con loro, George si irrita oltremisura.

Il dualismo del film tra apparenza e realtà

Il dualismo è il filo rosso che percorre tutto il film. Il dualismo tra apparenza e realtà, tra uomo e donna, tra emancipazione e oppressione, tra città e campagna, tra bene e male e tra mondo sensibile e mondo altro. La premessa sovrannaturale si basa sull’idea che in realtà il mondo dei vivi e quello dei morti non sono così binari, ma anzi sono connessi e si influenzano a vicenda. Questo concetto vuole essere la speranza che il film offre a tutti questi dualismi datati, ovvero che una terza opzione è possibile e che giustizia sarà fatta. Il bene è associato alle donne, e il male agli uomini: se gli uomini possono fare male alle donne in questo mondo, nel mondo altro le donne possono prendersi la loro giustizia.

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Infatti il tema centrale è quello dell’oppressione delle donne, come contraccolpo della loro sempre più normalizzata emancipazione. Il film è ambientato nei primi anni ’80, epoca in cui, anche al cinema, spopolano le storie di donne che diventano protagoniste di storie con afflato epico: Alien, Terminator, Una donna in carriera. L’apparenza delle cose vede anche i timori maschili attorno a questa emancipazione, soprattutto riguardo un’emancipazione sessuale: George si irrita quando gli viene negato il sesso dalla moglie, disapprova l’amicizia della moglie con un’altra insegnante, Justine, rifacendosi alle voci che Justine sia lesbica. Il sesso e la sessualità sono un argomento prevalente all’interno della narrazione e sono usati come baluardi esterni di tutti quei sentimenti dualistici di oppressione da parte di George e di voglia di indipendenza da parte di Catherine. Un filo rosso che accompagna tutto il film e che accentua l’atmosfera di disagio.

L’apparenza delle cose la recensione e l’analisi del film Netflix

Tuttavia, L’apparenza delle cose mette veramente tanta, troppa carne al fuoco. Troppi temi, troppe possibili allegorie, anche interessanti, ma che per forza di cose vengono lasciati a metà e non trovano il compimento che si meriterebbero. Il finale è abbastanza chiaro seguendo la teoria della giustizia karmica, ma è infuso di talmente tanti elementi (i quadri, il mondo ultraterreno) e qualche punto interrogativo (perché George sale in barca?) che può essere aperto a tantissime interpretazioni. Il che non è inerentemente una brutta cosa, rischia solo di appesantire la visione con troppo didatticismo.

In ogni, è narrativamente azzeccato il colpo di scena centrale, che sovverte alcuni clichè del genere horror, in cui si rivela la qualità della presenza che Catherine sente nella casa. Le note thriller verso il finale inoltre lo rendono un film piuttosto sfaccettato e difficilmente classificabile. La prova della Seyfried è notevole, e Norton è genuinamente spaventoso.

PANORAMICA RECENSIONE

regia
soggetto e sceneggiatura
interpretazioni
emozioni
Marianna Cortese
Marianna Cortese
Attualmente laureanda in Lettere Moderne, ho sempre avuto un appetito eclettico nei confronti del cinema, fin da quando da bambina divoravo il Dizionario del Mereghetti. Da allora ho voluto combinare cinema e scrittura nei modi più diversi e ho trangugiato di tutto: da Kim Ki-Duk a Noah Baumbach, da Pedro Almodovar a Alberto Lattuada. E non sono ancora sazia.

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