È di qualche giorno fa l’intervento di Nanni Moretti al festival Visioni Italiane, rimbalzato su varie testate nazionali, riguardo alla bassa affluenza degli spettatori nelle sale nell’ultimo periodo. È risaputo che gli anni della pandemia hanno danneggiato non poco i consumi cinematografici e recenti iniziative, come quella del Cinema in Festa, sono state pensate proprio per favorire un cambio di tendenza.
Tuttavia bisogna riconoscere il ruolo che ha avuto il cinema italiano in questa perdita di interesse da parte del pubblico: in molte occasioni il cinema italiano degli ultimi anni si è dimostrato incapace di costruire eventi che potessero essere occasione di aggregazione sociale. Questo è dovuto da un lato alla perdita di fiducia che gran parte del pubblico, soprattutto più giovane, ha nel nostro cinema, visto come cinematografia povera in termini di sperimentazione. Dall’altra parte si ha spesso difficoltà nel proporre una buona campagna marketing: anche i film che si pongono come prodotti innovativi o che dovrebbero rappresentare una colonna portante di una stagione cinematografica (si veda l’imminente Diabolik – Ginko all’attacco!) non vengono pubblicizzati in modo opportuno.
Tutto ciò ha portato ad una condizione per cui negli ultimi anni il cinema italiano non è riuscito a costruire un immaginario che potesse coinvolgere il pubblico di massa. Persiste la situazione per cui i modelli cinematografici della maggior parte degli spettatori sono stranieri.
La situazione della serialità televisiva
Una tendenza opposta è quella che riguarda la serialità. Negli ultimi anni la serialità televisiva italiana ha conosciuto un salto di qualità non indifferente, a partire dai casi celebri di Romanzo Criminale e Gomorra – La serie.
Se pensiamo che quella che stiamo vivendo è l’età dell’oro della serialità televisiva e delle narrazioni estese, non stupisce che siano proprio le serie italiane, al contrario del cinema, ad aver contribuito a formare un immaginario audiovisivo condiviso.
A partire dalle serie sopracitate, i prodotti seriali italiani hanno assunto caratteristiche della cosiddetta quality tv. Alla base c’è sempre l’idea di creare prodotti glocali, ovvero che si fondano su stilemi narrativi internazionali e riconoscibili in tutto il mondo, ma con un forte ancoraggio al contesto e alla società in cui la serie viene prodotta.
È un concetto su cui si basano ad esempio molte delle produzioni locali di Netflix e che garantiscono un ottimo successo del prodotto sia nel paese di origine sia all’estero. Se analizziamo i successi seriali italiani degli ultimi dieci anni ci rendiamo conto di come questa caratteristica ricorra spesso.
Un altro elemento ricorrente è la volontà di creare franchise, così che la serie sia un tassello di una narrazione più grande. Sia Gomorra, sia altri prodotti quali Suburra – La serie o Romulus, sono prodotti appartenenti a un sistema narrativo più grande, che coinvolge non solo la televisione, ma anche il cinema e la letteratura.
Gomorra, con il suo dialogo continuo tra televisione e cinema, rappresenta il maggior franchise italiano di attrattiva internazionale degli ultimi anni, insieme forse solo al brand Winx. E infatti Gomorra è un’opera che ha lasciato un fortissimo impatto sul pubblico, dovuto sicuramente anche alle implicazioni socioculturali della narrazione, che si è riflesso anche in un’eredità raccolta da molti altri prodotti che sono venuti dopo.
Tra le serie di ispirazione letteraria ha avuto molto successo anche L’amica geniale, rafforzata dall’avere tra i co-produttori la HBO. Anche qui ritroviamo quel glocalismo di cui si parlava sopra, una narrazione di stampo internazionale intessuta sopra un contesto fortemente locale. La fortuna della serie ha portato anche ad una crescita dell’interesse nei confronti di Elena Ferrante, che si è poi riflesso nuovamente nella serialità con la produzione di La vita bugiarda degli adulti, in uscita il prossimo anno su Netflix.
Ma si pensi anche al successo di una produzione come Boris, che ha visto il formarsi di un vivace fandom sul web e che ha portato alla circolazione di una gran quantità di citazioni e meme sul prodotto.
Sul piano dei teen drama abbiamo avuto Skam Italia, che trattando temi sentiti vicini soprattutto dalle generazioni più giovani, ha a sua volta visto il formarsi di una community di appassionati. A dimostrazione di ciò, si pensi che la quinta stagione è del tutto originale rispetto all’originale norvegese, frutto proprio di quel successo che ha reso Skam Italia una delle serie più dibattute dagli spettatori più giovani.
Questo ci consente di riflettere su un altro aspetto. La serialità televisiva, molto più del cinema, si sta dimostrando in grado di rappresentare tematiche sociali di attualità, presenti nella produzione cinematografica internazionale ma molto meno in quella italiana. Le serie televisive colmano questa mancanza, trasformandosi in questo modo in portavoce di determinati valori. La recente Prisma è una dimostrazione di questa tendenza. Figlia dell’esperienza di Skam, Prisma affronta in primo luogo il tema dell’identità di genere – e non solo – con una naturalezza che è difficile trovare in altre narrazioni.
Tutto questo può forse spiegare perché il successo della serialità televisiva di produzione italiana stia crescendo in maniera inversamente proporzionale rispetto al successo del cinema. Per loro natura, le narrazioni seriali tendono a fidelizzare il pubblico molto più del cinema e questo può spiegare perché, in un contesto in cui il cinema italiano viene visto con scetticismo da parte del pubblico, la serialità non subisca la medesima sorte.
È innegabile, però, che in molti casi le serie abbiano dimostrato una sperimentazione narrativa e tecnica maggiore rispetto al cinema, riconosciuta in molti casi anche dalla critica e dagli studi di settore.
Solo il tempo potrà dirci se questa tendenza cambierà, l’unica certezza per il momento è che la serialità televisiva italiana non è mai stata vivace come oggi.