La fiera delle illusioni (Nightmare Alley in originale) è il nuovo film di Guillermo Del Toro. Tratto dall’omonimo romanzo del 1946 di William Lindsay Gresham, segna il ritorno di Del Toro al cinema quattro anni dopo l’Oscar al Miglior Film per La forma dell’acqua.
La fiera delle illusioni: trama
Nel 1939, il giovane Stanton Carlisle, interpretato da Bradley Cooper, viene assunto in una piccola fiera itinerante. Qui fa la conoscenza del medium Pete, nonché di Molly (Rooney Mara), due incontri che segneranno per sempre il suo destino.
La fiera delle illusioni: recensione
Il romanzo di Gresham era già stato adattato per il grande schermo nel 1947, in un lungometraggio diretto da Edmund Goulding e interpretato da Tyrone Power: una pellicola che si allontana dal film del 2021 già solo per il finale che proponeva, decisamente più consolatorio di quello che ci propone Guillermo Del Toro con questo nuovo adattamento.
In generale si può dire che il film Del Toro non abbia nulla di consolatorio. Manca quella leggerezza che, pur nella tragedia, rendeva i finali di film come Il labirinto del fauno o La forma dell’acqua quantomeno rassicuranti. La fiera delle illusioni è un film molto più cupo e privo di speranza nel suo finale, così come lo è nel resto della narrazione. Al centro di questo film c’è il personaggio di Stanton, interpretato con convinzione da Bradley Cooper, personaggio con cui lo spettatore entra in empatia, ma che si rivelerà presto portatore di tutto ciò che di peggio c’è nell’essere umano.
La fiera delle illusioni di Del Toro è un film che si apre raccontandoci un mondo sporco, misero, dove l’unico modo per sopravvivere è spogliandosi di qualsiasi etica e morale. Siamo all’alba della seconda guerra mondiale e il clima di timorosa ed epica attesa che si respira di solito nei film ambientati in questo periodo storico, qui lascia spazio a una disperata rassegnazione.
La prima parte del film richiama Freaks di Tod Browning e altre opere che raccontano il circo, come The Elephant Man di Lynch e un po’ anche Big Fish di Burton (ma con molto meno meraviglia e molto più orrore). È in questa prima parte che Del Toro gioca con la figura del mostro maledetto, ricorrente nel suo cinema (è probabile che troveremo questo topos anche in Pinocchio, il prossimo film del regista messicano, atteso su Netflix per la fine dell’anno). Si tratta in realtà di un gigantesco prologo che ci introduce il protagonista e ci prepara a quello che sarà il vero cuore del film. E da qui in poi il film cambia totalmente e le atmosfere deformi del circo lasciano il posto ad altrettanto inquietanti atmosfere urbane.
Se quella del circo è la parte visivamente più accattivante, quella ambientata in città è senza dubbio la più rilevante sul piano narrativo, la più inquietante e quella in cui Del Toro gioca di più con lo spettatore. La regia di Del Toro si rivela molto ragionata e forse in certi momenti si avverte l’eccessivo quadramento stilistico, ma non è un difetto, perché è senz’altro una regia efficace nel veicolarci la storia.
Questa seconda parte estremizza i temi introdotti nell’incipit del film. Ricordando in molti passaggi La donna che visse due volte di Hitchcock, Del Toro ci propone una riflessione che anche oggi appare più attuale che mai, nonostante siano passati quasi ottant’anni dalla stesura del romanzo. Del Toro ci racconta come l’essere umano sia disposto a tutto pur di credere in qualcosa. La fiera delle illusioni racconta proprio il bisogno di tutti noi di essere, per l’appunto, illusi.
Allo stesso tempo è anche un film sul cinema. Così come anche Hitchcock aveva fatto un film sul cinema senza però mai nominare il cinema (La finestra sul cortile), Del Toro fa lo stesso, con quello che è il suo film più cupo, privo di elemento magico, privo di speranza.
Quella che emerge è forse una visione pessimistica sulla settima arte? No, è piuttosto un ritratto impietoso dell’archetipo dell’autore, colui che crea mondi e narrazioni. È questo ciò che fa il personaggio di Bradley Cooper, crea delle storie, ma come ogni autore finisce per peccare di hybris e questo lo porterà al fallimento.
Si arriva così al finale, che per quanto affascinante è senza dubbio prevedibile. È anche vero che, arrivati a quel punto, poteva essere l’unico finale possibile, coerente con quanto visto prima e in grado di chiudere il cerchio. Il film di Del Toro ci lascia nel modo più amaro possibile, dicendoci che non esiste nulla di più pericoloso delle illusioni.