Il primo lungometraggio di Justine Triet è stato La Bataille de Solferino nel 2013. Il film è noto anche col titolo inglese di Age of Panic, molto più evocativo. Triet ottenne con questo lavoro la candidatura al Premio César per la migliore opera prima. La protagonista del film è Lætitia Dosch (Laetitia), una giornalista che si occupa di politica. Figurano nel cast anche Vincent Macaigne nel ruolo di Vincent e Arthur Harari in quello dell’amico di Vincent, Arthur.
La Bataille de Solferino – la trama
La Bataille de Solferino si svolge in un’unica giornata, il 6 maggio del 2012. È il giorno del secondo turno delle elezioni presidenziali in Francia, tra Sarkozy e Hollande. Laetitia è una giornalista che si occupa di politica e si sta dirigendo in Rue Solferino, dove si trova la sede del Partito Socialista. Prima di uscire si accorge della presenza dell’ex compagno e padre dei figli Vincent sotto casa. Quando il babysitter che aveva assunto la contatta per segnalare l’insistenza dell’uomo nel cercare di entrare, Laetitia lo invita a recarsi da lei in Rue Solferino.
Vincent, venuto a conoscenza dello spostamento dei bambini, raggiunge a sua volta il posto. Qui si scontra varie volte con Laetitia, mentre la donna tenta di portare avanti il suo lavoro. Tutto avviene in mezzo alla folla festante per la vittoria di Hollande. Una volta finita la giornata, Laetitia rientra in casa, dove viene nuovamente raggiunta da Vincent, assieme ad un amico che presenta come suo avvocato. Tra i due la tensione oscilla e varia, mentre Arthur tenta di fare da mediatore.
La Bataille de Solferino – la recensione
La Bataille de Solferino contiene alcuni elementi che si ripresenteranno nella cinematografia di Justine Triet. La regista francese si dimostra particolarmente capace nella creazione e gestione di situazioni di conflitto, soprattutto tra un uomo e una donna. Il film si gioca su questo contrasto netto tra le personalità di Vincent e Laetitia. Una tensione che anche nei momenti più intensi sembra (volutamente) infantile. I due non riescono a comunicare in modo normale, tanto da avere necessità di un mediatore per potersi parlare in modo, più o meno, civile. Triet decide, inoltre, di girare alcune scene dall’alto in mezzo alla folla. Qui vediamo i protagonisti parlarsi, capiamo che i toni sono accesi dalla loro gestualità, senza sentire cosa si dicono.
Un altro elemento importante di La Bataille de Solferino è proprio quello del contesto in cui avviene. La parte centrale del film avviene in mezzo alla folla, nel momento topico delle elezioni del 2012. Triet alterna sostenitori dell’uno e dell’altro candidato che si insultano o insultano l’avversario. In questo contesto l’incomunicabilità di Vincent e Laetitia sembra essere effettivamente l’incomunicabilità della piazza, se non proprio dell’intero paese. Ma il film non avanza la pretesa di soluzioni o di lezioni moralistiche, riporta il momento, accentuandone alcuni aspetti, quelli più ridicoli, ma anche quelli più problematici, secondo una chiave tutta sua. La Bataille de Solferino non è forse un film memorabile. Ciononostante, resta il debutto di una delle registe che sta riscuotendo più successo ed alcuni elementi della sua filmografia, come già scritto, in questo film emergono con molta forza.
Nemo propheta in patria?
Justine Triet ha realizzato uno dei film più belli del 2023, Anatomia di una caduta. Il film ha vinto la Palma d’Oro al Festival di Cannes e le critiche sono unanimemente positive. Questo non è bastato perché la Francia decidesse di candidare l’opera come proprio rappresentante agli Oscar. Ogni paese, infatti, sceglie il proprio rappresentante per la categoria di Miglior Film Internazionale. Quella che sembrava una candidatura scontata si è trasformata in una grande sorpresa. La commissione francese ha infatti deciso di candidare La passion de Dodin Bouffant. Il film ha ottenuto il premio a Cannes per la miglior regia, ma è sembrata da subito una scelta difficile da spiegare. La Francia rimane, infatti, con il cerino in mano. Anatomia di una caduta ottiene 5 candidature per gli Oscar, senza quella di miglior film internazionale. La Passion de Dodin Bouffant non ha invece passato l’ultimo taglio per entrare in cinquina.
Al di là del discorso sui premi, che è di per sé un po’ speculativo, vi sono dei dati che sembrano intangibili. Justine Triet è al suo quarto lungometraggio e finora la sua carriera è un crescendo. I riconoscimenti sembrano una conseguenza naturale di un cinema che si fa sempre più bello. Triet riesce attraverso le storie delle sue protagoniste a lanciare uno sguardo sul mondo che la circonda. Riesce a dominare i temi di cui parla attraverso una scrittura forte, capace di smuovere vari livelli di riflessione. A questo si accompagna una regia sempre più esteticamente precisa e riconoscibile. Vale la pena recuperare, oltre a La Bataille de Solferino, gli altri film della regista francese. Sia Victoria che Sibyl hanno una grammatica precisa, che merita di essere approfondita.