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La 25ᵃ ora, come l’11 settembre ha plasmato il film di Spike Lee

La 25ᵃ ora è uno dei film più identificativi di Spike Lee. Il regista afroamericano è un protagonista indiscusso della nuova Hollywood; il padre di una wave molto caratteristica e avente come perno le vicissitudini socioeconomiche dell’America di colore.

Il film, che potrebbe essere tranquillamente catalogato tra i suoi maggiori successi, costituisce una sorta di unicum. La motivazione è di carattere prettamente storico e affonda le radici nel terreno fertile che l’11 settembre (evento intercorso a cavallo con le riprese) ha preparato per il regista.

Spiderman 2, come si sa, è il primo film che è uscito nelle sale a seguito della tragedia ma la La 25ᵃ ora detiene un primato ben più importante se si considera che la New York di quei giorni ha fatto da sfondo alle scene vere e proprie dell’opera. Il dato sensibile da riportare è che l’opera è la prima in assoluto a mostrare Ground Zero, in uno dei passaggi più importanti.

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 Spike Lee ha saggiamente “sfruttato” questo stato di cose per insaporire il tutto e dare una codifica scenografica allo svolgimento degli eventi interni ad uno dei titoli eminenti nel genere crime drama. La sensazione generale è che anche la vicenda reale si presta bene alla narrazione filmica che altro non ha a che vedere che con un processo di sconfitta e rinascita (anche se alcuni segni rimangono, tuttavia, indelebili).

La 25 ora

La 25ᵃ ora, il racconto di come si reagisce alla rassegnazione

La 25ᵃ ora è associabile al concetto di rassegnazione in quanto Monty Brogan si trova a dover fare i conti con la legge. Deve rinunciare a tutto quello che ha costruito da spacciatore sottotraccia e come criminale insolitamente assorto nella sua vita privata si trova a fare i conti con un senso di colpevolezza che, almeno in un primo momento, non lo investe del tutto.

Monty è infatti condannato a sette anni di carcere, a seguito di una retata che ha permesso alla polizia di scoprire contanti e ampie dosi di eroina. Lo stravolgimento che questo comporta condurrà lo stesso verso una sensazione di abbandono e tradimento: non capendo qual è il perché di questa disfatta, inizia a ragionare su eventuali spifferate.

Gli indiziati sono: Naturelle (la sua compagna portoricana) e i suoi amici di una vita che, a ben vedere, sono molto diversi da Monty. Le persone più vicine a lui sono ora coloro che passano al setaccio per un crimine che in realtà riguarda solo e soltanto il protagonista.

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In questa fase de La 25ᵃ ora cresce esponenzialmente la rabbia, il conflitto interiore e il senso di amarezza per una vita facile che all’improvviso è diventata oscura. Spike Lee coglie tutto ciò in maniera sublime e dona agli spettatori una scena magistrale, al termine della quale il punto di vista cambia totalmente.

Si tratta del monologo di Monty allo specchio dove stava semplicemente lavandosi il viso. La vista di una scritta “Fuck You” libera la sua furia spirituale e parte una digressione personale sullo stato della città di New York che, a detta sua, versa in condizioni di degrado assoluto.

Se la prende con gli ebrei (attaccati ai soldi), con i pakistani (poco avvezzi all’igiene personale) e anche con gli italiani (dichiaratamente credenti ma sempre pronti allo scontro fisico). La ricerca di un nemico, il tentativo di dargli un volto, altro non rappresenta che i sentimenti che l’America provava all’indomani dell’11 settembre 2001.

Lo sconforto che si sentiva per le strade, il senso di disillusione legato al futuro può rappresentare un parallelo storico con il caso del protagonista del film di Lee: gli Stati Uniti dovevano di fatto interfacciarsi con un avversario invisibile e la mancanza d’indicazione del vero colpevole causava un senso di vertigine e spaesamento. Al contempo, Monty non trova un capro espiatorio e non riesce a indirizzare la sua rabbia verso nessuno.

La 25ᵃ ora

Crollo e risalita

Qui arriva, tuttavia, l’illuminazione: La 25ᵃ ora prende la piega della rassegnazione proprio dal momento in cui Monty realizza di potersela prendere sono con sé stesso: sono state le sue scelte a portarlo in prigione e tutto quello che ha reclamare, lo deve reclamare alla sua coscienza.

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Il culmine di questo senso di sconforto è raggiunto nella scena in cui, i suoi due amici più stretti, intrattengono una conversazione davanti a una finestra che affaccia esattamente su Ground Zero. Il tono è piatto, il ritmo lentissimo: tutto corroborato da un senso di sconfitta mai superato. La perfetta trasposizione sociale degli effetti dell’attentato più famoso al mondo. L’11 settembre ha cambiato il mondo, proprio come la galera di Monty ha modificato le vite dei suoi cari.

Il cast di livello poi fa il resto, in un clima generale di grande autorialità (ma non di autoreferenzialità). Spike Lee è riuscito a evadere dai suoi canoni per misurarsi con qualcosa di più impegnativo. Il risultato è un’opera che sotto alcuni aspetti è perfetta e che centra l’obiettivo nel voler mettere sconforto allo spettatore. Le scene finali informano che una speranza c’è ma nessuno può fuggire davvero al suo destino, i sacrifici da affrontare sarebbero comunque enormi.

Se Monty vuole fuggire al carcere deve andarsene, vivere da fuggitivo; tanto vale prendersi le proprie responsabilità per poter vivere meglio con se stessi (quella potrebbe essere la vera rinascita). Questo altro non significa che, se vuole, può non entrare mai in cella ma ugualmente non sarà un uomo libero.

Federico Favale
Federico Favale
Anche da piccolo non andavo mai a letto presto. Troppi film a tenermi sveglio. Più guardavo più dicevo a me stesso: "ok, la vita non è un film ma se non guardassi film non capirei nulla della vita".

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