Dopo aver raccontato la storia di Casper, e del suo adattamento sul grande schermo, siamo qui riuniti per parlare di un’altra perla del cinema per ragazzi degli anni ’90: Jumanji. Reinventato di recente grazie ad un reboot che, come ampiamente prevedibile, ha diviso un po’ tutti, il lungometraggio diretto da Joe Johnston fece il suo esordio nel 1995, divenendo in breve un titolo di culto.
In quegli anni, ancora parzialmente sprovvisti di una vera propria connessione ad Internet, il concetto di mondo virtuale legato alla realtà faceva capolino in moltissime rappresentazioni. E i giochi di società, punto cardine di numerose giornate passate con gli amici, sembravano lo strumento perfetto per veicolare un nuovo tipo di avventura. Fate la vostra mossa, signori. Il gioco sta per cominciare.
1869. 1969. 1995. No, questi non sono semplici numeri. Sono date. Anzi, per la precisione, sono le date che scandiscono la struttura di Jumanji. Nel 1869 dei ragazzi, terrorizzati come non mai, sotterrano assieme uno strano baule. Hanno fretta e, nonostante gli sforzi, non riescono a situarlo abbastanza in profondità. Prima o poi, come capiscono loro stessi, qualcun altro lo troverà.
Quel qualcuno arriva esattamente un secolo dopo, nel 1969. Si chiama Alan Parrish. Suo padre è il proprietario di una ricca fabbrica di scarpe. Il rapporto tra i due stenta a decollare, e proprio quel giorno deraglia in un alterco. Eppure, non è a questo che Alan pensa. I suoi pensieri, da quella mattina, sono concentrati tutti sul contenuto di quello strano baule.
Ad accompagnarlo c’è Sarah, una dolce ragazza che accetta di provare con lui quel gioco sotterrato cent’anni prima. Si chiama Jumanji, e sembra intrigante, anche se un po’ curioso. Subito dopo aver cominciato, però, i due ignari ragazzi iniziano a provare anche qualcos’altro: La paura.
Le pedine si muovono da sole, strane scritte appaiono sullo schermo, mentre attorno cominciano a udirsi dei suoi molto strani. Sarà un tiro sbagliato di Alan a dare il definitivo slancio alla storia. Una storia che, in brevissimo tempo, distruggerà la famiglia Parrish, getterà in clinica la povera Sarah e proietterà lo schermo in avanti nel tempo, fino al 1995.
L’opera di Jonhston è un film d’avventura, simile a tanti prodotti ambientati nella giungla delle foreste amazzoniche. Eppure, stavolta nessuno s’inoltrerà deciso verso quegli impervi luoghi. Saranno loro a venire da noi. Jumanji, infatti, è un gioco di società che scaglia le forze devastanti contenute al suo interno direttamente nella realtà.
Questo rende il tutto estremamente movimentato, sottolineando con molta enfasi ogni calamità che i protagonisti, loro malgrado, saranno costretti ad affrontare. Tale piccola ma fondamentale particolarità, conferisce alla pellicola un’aura di stuzzicante mistero e curiosità.
Alan Parrish, nella sua versione adulta, consente ad un ispirato Robin Williams di mettere in mostra tutto il suo talento. L’ormai defunto attore americano ruba letteralmente la scena a tutti i suoi colleghi che nulla possono contro il suo carisma. È il caso, per esempio, di Bonnie Hunt, molto meno coinvolgente nonostante gli sforzi profusi.
Nel caso dei due piccoli co-protagonisti, nonostante un personaggio scritto in modo un po’ superficiale, bisogna menzionare con affetto la giovanissima Kirsten Dunst, che tenta di donare spessore alla sua sfumata Judy Sheperd.
Jumanji sorprende, più di ogni altro fattore, sul fronte degli effetti speciali. Trasformare progressivamente una moderna città americana in uno scorcio inquietante di foresta amazzonica non era per nulla semplice. Eppure, nonostante le difficoltà, e qualche piccola leggerezza, il senso di credibilità degli ambienti risulta pienamente azzeccato.
Alcune scene sono ormai entrate di diritto nei ricordi di tutti noi, oltre al costante senso di minaccia e pericolo che anche gli elementi in apparenza più miti riescono sempre a suscitare. Anche la storia, per lunghi tratti mal sfruttata dagli sceneggiatori, raggiunge un picco, seppur breve, sul finale, restituendo allo spettatore una sensazione di sincero e sospirato sollievo.
Jumanji, come moltissime opere divenute di culto, non può venir racchiuso all’interno di un giudizio meramente tecnico. Il risultato di una tale percorso sminuirebbe l’anima del lavoro di Johnston.
La realtà è che Jumanji, per tutti coloro che ne hanno attraversato i fotogrammi, diverte e intrattiene per tutta la sua durata, grazie a trovate che, seppur invecchiate, risultano ancora capaci di strappare più di un sorriso.