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It’s what’s inside – La recensione del film Netflix

Questa annata cinematografica 2024 si è aperta, come di consueto, con le proiezioni del più che noto Sundance Film Festival. Proprio in questa sede il pubblico selezionato e gli addetti ai lavori assistono, lo scorso gennaio, alla premiere di It’s what’s inside. Il film, scritto e diretto da Greg Jardin, già attivo nell’ambito del cortometraggio e del videoclip. Distribuito ufficialmente da Netflix, il lungometraggio è entrato a far parte del catalogo questo ottobre. La pellicola, della durata di circa 100 minuti, è un progetto a basso budget e quasi totalmente “one location”, dunque girato in una singola ambientazione. Il genere d’appartenenza è quello del thriller psicologico, declinato in una giocosa chiave pop. 

It's what's inside

It’s what’s inside – Trama

Quando It’s what’s inside si apre, facciamo la conoscenza di Shelby (Brittany O’Grady) e Cyrus (James Morosini), una giovane coppia che sembra soffrire da tempo problemi d’intimità. A seguito dell’ennesimo scontro, i due si recano ad un incontro organizzato dall’amico Reuben (Devon Terrell), prossimo al matrimonio. Proprio quest’ultimo, infatti, ha indetto una serata all’insegna del divertimento a cui ha invitato il vecchio affiatato gruppo degli amici di scuola. Oltre a Shelby e Cyrus, dunque, si presentano anche l’influencer Nikki (Alycia Debnam-Carey), il benestante Danny (Gavin Leatherwood), l’artistoide Brooke (Reina Hardesty) e la più spirituale Maya (Nina Bloomgarden). Sembra mancare solo Forbes (David W. Thompson), vecchio amico distanziatosi dal gruppo a seguito di uno screzio – e in effetti, invitato più per cortesia che per reale convinzione di una sua partecipazione. Fra chiacchiere sul presente e sul passato, la festa comincia. 

Gli amici si confidano e scherzano divertiti. Inaspettatamente, proprio quando i ragazzi propongono un gioco per tenere alto l’umore della serata, compare Forbes tenendo per mano una valigia. Proprio questa si rivela essere la soluzione al loro proposito, poiché contiene un macchinario capace, tramite neurotrasmettitori, di scambiare le personalità. Forbes propone allora di farne un gioco, facendo entrare gli amici gli uni nei corpi degli altri: l’obiettivo sarà capire di volta in volta chi abita il corpo di chi. Tra entusiasmi e incertezze la partita si avvia, ma gli equilibri pregressi tra i membri del gruppo non tardano ad emergere, e ad assumere nuove disastrose derive con lo scambio dei corpi. Proprio quando le dinamiche fra gli amici si fanno incerte, il gruppo si convince a giocare un secondo decisivo round, in cui l’inimmaginabile accadrà portandoli ad uno stato di crisi e a  dover prendere decisioni urgenti. 

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It's what's inside

It’s what’s inside – Recensione

Il meccanismo alla base di It’s what’s inside è lineare e immediato: una festa dalle premesse spinose si trasforma in un incubo. Sul filone dei film di gruppo – particolarmente fortunato in tempi recenti – imposta un ensemble di comprimari giovani. Otto figure tra loro quasi parimenti insopportabili, che ci appaiono appositamente studiati per risultare poco gradevoli al loro pubblico. Otto individualità superficiali e subdole, intrinsecamente deboli e spesso biasimabili. Non un caso dunque che il focus tematico che si irradia tra di loro, lungo tutta la narrazione, sia quello sostanzialmente negativo dell’invidia. Un concept, quello di partenza, non lontano da quello del recente Bodies bodies bodies – titolo che peraltro sarebbe risultato altrettanto calzante per il film in questione. Ma si unisce, nelle scelte di Greg Jardin, all’idea di scambio delle personalità – spunto che storicamente riscontra molta fortuna ed esiti variegati nell’ambito delle trame cinematografiche. 

Da un punto di vista narrativo, le premesse su cui si appoggia il lungometraggio sono in effetti minimali. Risultano funzionali in quanto deliberata scusante per scivolare con più trasporto nella vicenda e per ispessirla successivamente a dovere laddove necessario. Il messaggio del film, la sua tara di profondità, risulta volutamente fantasmatica. Tutto serve e volge a far leva sul meccanismo di gioco e sulle sue conseguenze nello scontrarsi di un gruppo variegato di tipi umani. L’approccio dell’autore, una volta giunto in sede di regia, rimane propriamente ludico, divertente e divertito. Giunge in seguito un montaggio qualitativamente sorprendente, molto rapido e studiato. A forte stampo pop, sia in tempi che in qualità dell’immagine, asseconda l’ascendente dei protagonisti e rivela i pregressi nella carriera registica di Greg Jardin. La post-produzione conferisce così al prodotto uno stampo decisamente fresco, rendendolo curiosamente più vicino all’estetica di un prodotto seriale young adult. 

It's what's inside

It’s what’s inside e la necessità di fruizione attiva

Lo spunto dello scambio di corpi è stato ampiamente utilizzato al cinema – talvolta anche con gag corporali legate al gender che rasentano il banale – motivo per cui la sua rilettura si fa complessa. Scegliere di rinnovare l’idea inserendo non due ma ben otto carte in tavola si dimostra dunque inevitabilmente interessante. Con otto personaggi, le possibilità di scambio e i loro esiti si moltiplicano, così come accade alle soluzioni del loro relazionarsi gli uni con gli altri, tra chi interagisce con il corpo visibile e chi con la persona sottostante. Purtroppo però, dato l’accavallarsi delle dinamiche, l’andamento del film si rivela lievemente caotico (tranello quasi inevitabile con così tanti soggetti in gioco). 

Conclusioni

Il core concept della pellicola avrebbe beneficiato, nella speranza di rendere ben chiari gli scambi di turno in turno, di un ritratto più definito dei personaggi. In questo modo, la riconoscibilità dei passaggi sarebbe parsa più immediata e lo sviluppo di trama più semplice da seguire. Avendo invece poco tempo per mettere a fuoco un folto gruppo di comprimari – alcuni peraltro simili tra loro – solo superficialmente delineati, seguire gli scambi diventa un procedimento più complesso, che richiede un certo grado di attenzione attiva nella fruizione (non quello che ci si aspetterebbe da un prodotto così leggero e scherzoso). Alla luce di questa fragilità, e di alcune scelte narrative forse discutibili, It’s what’s inside si mantiene comunque un popcorn movie fresco e gradevole, forse più adatto ad una distratta ed ironica visione di gruppo che non ad uno studio filmografico approfondito. 

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PANORAMICA RECENSIONE

Regia
Soggetto e sceneggiatura
Interpretazioni
Emozioni

SOMMARIO

Con It's what's inside Greg Jardin imposta uno stile personale, in linea con quello della distribuzione Netflix: giocoso, fresco e marcatamente pop.
Eleonora Noto
Eleonora Noto
Laureata in DAMS, sono appassionata di tutte le arti ma del cinema in particolare. Mi piace giocare con le parole e studiare le sceneggiature, ogni tanto provo a scriverle. Impazzisco per le produzioni hollywoodiane di qualsiasi decennio, ma amo anche un buon thriller o il cinema d’autore.

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