È ormai trascorso davvero molto tempo da quando, ben consapevole della propria opera, Stephen King diede alle stampe quel capolavoro chiamato It.
Ancora oggi, nonostante la sensibilità sempre più infreddolita degli spettatori, il celebre romanzo dello scrittore statunitense riesce a suscitare emozioni contrastanti, come se trentacinque anni non fossero mai passati. Eppure, paradossalmente, una vera e propria trasposizione cinematografica non è mai stata prodotta, se si esclude la miniserie televisiva andata in onda nel 1990.
Difficile spiegare questa anomalia, soprattutto in virtù del fatto che King, nella classifica degli scrittori più adattati di sempre, occupa il secondo posto. Il primo, a titolo informativo, è William Shakespeare. L’anno fatidico, nonostante tutto, è stato il 2017. Un po’ tardi, forse, per l’ingresso nel ventunesimo secolo del pagliaccio più famoso del ‘900. Nascondete i bambini, signori. È tempo di galleggiare.
Siamo nel 1988 e a Derry piove. Bill Denbrough, un ragazzino coraggioso e intelligente, sta discutendo da svariati minuti col fratellino Georgie. Il bambino, esuberante come al solito, vuole a tutti i costi uscire a giocare nonostante la pioggia. Bill, però, è malato. Non può seguirlo, ma decide ugualmente di regalargli una barchetta di carta da far navigare lungo le strade gonfie del quartiere.
Georgie non aspettava altro e, senza farselo ripetere due volte, lancia la barchetta e comincia a seguirla saltellando. Il viaggio, però, si conclude all’interno di uno scarico fognario. Il regalo di Bill sembra scomparso. Georgie si abbassa verso lo scarico, cerca nel buio tracce dell’oggetto. Quello che trova, però, non è una barchetta, né qualche giocattolo, ma uno strano clown: Pennywise. Purtroppo, sarà quello l’ultimo incontro della sua vita.
Ancora una volta, quindi, un macabro omicidio dà inizio al terrore. Bill, traumatizzato dalla morte del fratello, stringe amicizia con una serie di ragazzi, dando vita al celebre club dei Perdenti. Ognuno porta con sé qualcosa di spaventoso e disturbante. Qualcosa che proprio non va.
Sarà questo strano gruppo ad affrontare Pennywise, cercando di resistere ai suoi numerosi assalti fatti di visioni, paura e orrore. Oltre al perfido clown, poi, i Perdenti dovranno anche contrastare un ragazzo di poco più grande, ma che sembra inspiegabilmente molto più malvagio di tutti gli altri, ovvero Henry Bowers.
A livello narrativo, questa prima pellicola copre soltanto l’adolescenza dei Perdenti, rinunciando al costante ping-pong temporale che caratterizzava il romanzo di Stephen King. Il secondo capitolo, con i protagonisti ormai adulti, uscirà poi nel 2019.
Prima di analizzare l’opera di Andy Muschietti, bisogna subito occuparsi del proverbiale elefante nella stanza. It non è il remake della miniserie televisiva. Quel lavoro, divenuto iconico soprattutto grazie alla recitazione di Tim Curry, venne realizzato con un budget non all’altezza e, per di più, con una libera interpretazione di moltissimi elementi della storia.
Il capitolo del 2017, invece, si propone come una vera e propria trasposizione del romanzo di King, ovviamente adattata a quelli che sono oggi i canoni dell’horror. La pellicola, infatti, vira più in favore dei cosiddetti jump scare, ovvero gli spaventi improvvisi favoriti dall’audio e dagli effetti ambientali. Lo fa, però, in modo elegante, con un occhio sempre rivolto all’atmosfera, rendendo ogni situazione difficilmente prevedibile.
Gli amanti del romanzo, che ben conoscono il suo clima tetro e l’avanzamento talvolta lento ma inesorabile della paura, potrebbero storcere il naso davanti a certe forzature tipicamente moderne. Eppure, mai come questa volta, il lavoro del regista è stato attento e, nei limiti del possibile, persino rispettoso. It, infatti, è un lungometraggio fedele, non solo in molti aspetti della trama, ma soprattutto riguardo la rappresentazione dei personaggi.
Sorprende, per certi versi, lo spostamento temporale della storia. La vicenda, infatti, non comincia più nel 1957, ma direttamente nel 1988, come se la creatura chiamata It, che esce dal letargo ogni ventisette anni, avesse saltato un ciclo. Questo bazo cronologico, seppur ben realizzato, lascia sul campo alcune lacune, come la personalità contestuale di Henry Bowers, che nel romanzo assumeva i tratti tipici del bullo impomatato degli anni ’50 e che invece qui, proiettato in un’epoca distante secoli, appare un po’ fuori luogo.
Eccellente, d’altra parte, la scelta degli interpreti. Il tanto discusso Bill Skarsgård, per esempio, ha dato vita ad un Pennywise inquietante, silenzioso e crudele, molto più simile alla sua controparte letteraria. Quello stravagante e giocherellone di Tim Curry, pur facendo breccia nell’immaginario collettivo, si fondava su basi molto più legate alla fantasia del suo attore, piuttosto che sulla figura tratteggiata da Stephen King. I Perdenti, poi, centrano appieno il senso disagiante e solitario della prima adolescenza, portando sui visi quelle espressioni che, in un modo o nell’altro, tutti conosciamo bene.
La vera star è Finn Wolfhard che, reduce dall’ormai celeberrimo Stranger Things, interpreta uno dei personaggi più complessi e sfaccettati della storia, ovvero Richie Tozier. Da lodare, in ultima analisi, la sorprendente prova di Sophia Lillis, che dona alla sua Beverly un’aura a metà tra l’insicurezza e la maturità.
It è un capitolo riuscito soprattutto grazie alla splendida regia. Quello che Muschietti ha scelto di riproporre non è un elenco di singole scene, bensì un alone denso di macabra tensione. Alcune trovate, che qui di certo non riveleremo, sono davvero geniali e, soprattutto, perfettamente in linea con il clima torbido dell’opera, come se a partorirle fosse stato King stesso.
Alcuni tagli, come prevedibile, non potevano essere evitati. Uno, in particolare, se rappresentato visivamente, avrebbe frantumato l’opinione pubblica e scatenato un putiferio. Se siete arrivati alla fine del romanzo, sapete benissimo di cosa si stia parlando. Purtroppo, a livello di mera ambientazione, il lavoro svolto sulla spettrale cittadina di Derry si è rivelato al di sotto delle aspettative. Le sensazioni regalate dalle descrizioni di King, almeno stavolta, sono state impossibili da replicare.
It è un esperimento coraggioso e minuzioso. Scontrarsi con una fan base che non solo adora l’opera madre, ma porta dentro anche un ambiguo ricordo della miniserie televisiva, non era certo semplice. Riproporre pedissequamente ogni riga del romanzo non era possibile, né, purtroppo, lo era ispirarsi liberamente alla stregua di grandi maestri come Stanley Kubrick. Davanti al bivio, Muschietti ha preferito costruire una strada nuova, più centrale, attenta e morigerata.
It pur essendo un film godibilissimo da vedere al cinema in compagnia di amici, è un’opera che dà il meglio se guardata in casa, possibilmente da soli, con l’audio posto poco al di sotto della soglia da infarto. In questo modo, senza tralasciare il divertimento spicciolo che certe scene possono garantire, emergerà con forza un’anima più oscura ed immersiva, che saprà accontentare anche i lettori puntigliosi.