Matteo Garrone torna con fervore e plauso pressoché unanime sulla scena cinematografica internazionale passando per la kermesse più importante del nostro paese, la Mostra Internazionale del Cinema di Venezia. In concorso per il Leone d’oro, il regista presenta per l’occasione la sua ultima opera, dal titolo Io capitano. Il film, della durata di 121 minuti, è un’epopea drammatica di un giovane in fuga dalla propria terra natia in cerca di un futuro più prospero. La pellicola, scritta dal regista assieme a Massimo Gaudioso, Massimo Ceccherini e Andrea Tagliaferri, è prodotta principalmente da Rai Cinema e Pathé (e, ovviamente, dalla Archimede dello stesso Garrone) e farà la propria comparsa in sala dal 7 dicembre ad opera di 01 Distribution.
La trama del film
In Io capitano, il sedicenne Seydou (Seydou Sarr) vive con la madre e le sorelle in una delle case spartane che compongono un piccolo e povero villaggio senegalese. Poco distante da lui vive il cugino Moussa (Moustapha Fall), coetaneo a cui lo lega un rapporto quasi fraterno. Nonostante il villaggio poggi su di una calorosa e fervente vita di comunità, i due giovani cugini fantasticano di partire alla volta della tanto agognata Europa per diventare musicisti dando forma concreta ai loro sogni di gloria. Di nascosto dalle famiglie, i due ragazzi iniziano a lavorare al fine di guadagnarsi i soldi necessari per il viaggio, ma anche quando la madre di Seydou scoperti i loro piani li dissuade con forza i due sedicenni scelgono di partire durante la notte senza che nessuno lo sappia.
Così, con un pugno di banconote alla mano che ai loro occhi pare un capitale inestimabile tale da garantirgli l’arrivo nella terra promessa ma che non tarderà ad estinguersi e sparire, i sedicenni lasciano il villaggio. Il percorso che li attende, tuttavia, sarà un brusco richiamo alla realtà, e sebbene non riuscirà a placare i loro sogni indubbiamente li mette a durissima prova. Fra cammini nel deserto, prigioni, incursioni della violenta polizia e spostamenti su mezzi tutt’altro che sicuri e dove il concetto di vita umana è tenuto ben poco di conto, i due cugini saranno costretti a separarsi. Senza la certezza di riuscire a ritrovare Moussa, e proprio quando gli ostacoli sembrano non finire mai, Seydou lo cerca disperatamente e lo attende con implacabile pazienza nel tentativo di raggiungere assieme a lui il sogno che è stato motore della loro odissea.
Io capitano – La recensione
Matteo Garrone fa il suo ritorno in grande stile con questo lungometraggio, il nono della sua carriera, a quattro anni dal suo ultimo lavoro Pinocchio che già aveva attirato su di sé attenzione a sufficienza da meritarsi due nomination ai premi Oscar (nelle categorie Miglior Trucco e Migliori Costumi). E se il ritorno in questione ha sede ad uno dei Festival cinematografici più importanti al mondo come film in gara – e di certo non fra gli sfavoriti – le aspettative non possono che alzarsi notevolmente. A visione terminata, tuttavia, queste ultime non restano di certo disattese, perché con Io capitano Garrone confeziona un prodotto che appare estremamente coerente con la sua idea di cinema e pare effettuare un ulteriore salto di qualità rispetto ad un livello di partenza già indubbiamente elevato.
Sin dai suoi esordi il regista in questione tende ad alternare una vena più fiabesco-favolistica (Il racconto dei racconti, oltre al già menzionato Pinocchio) ad un’altra linea, non solo più realistica ma tendenzialmente cruda, spigolosa, volutamente difficile da digerire e volenterosa di lasciare un segno – che in certi casi più si avvicina ad uno squarcio – in quella che è l’esperienza spettatoriale (in tal senso, si vedano i casi di L’imbalsamatore, Gomorra o Dogman). Con quest’ultima, di consueto, il regista e autore è capace di tangere un piano non solo crudo ma anche sociale, offrendo spaccati di reale complessi che diventano buchi della serratura da cui poter spiare intere “tranche de vie” di mondi difficili, faticosi, violenti. Certamente, dovendogli attribuire una linea, Io capitano appartiene più a questa seconda che alla prima, ma va ancora oltre arrivando a costituire un esperimento filmico senza precedenti nella carriera del regista.
Io capitano unisce i due mondi di Garrone: il crudo realismo contaminato dall’onirico
Con le premesse narrative che questo film mette in campo – la difficile emigrazione di un giovane senegalese dalla sua terra fino all’Europa, e più di preciso all’Italia – il rischio di un risultato facile, quasi retorico, era non solo presente ma anche elevato, data oltretutto l’estrema attualità della tematica. Miracolosamente, invece, con la sua regia e assieme con un più che discreto lavoro in sede di sceneggiatura, Matteo Garrone delinea un’opera non solo non banale né retorica, ma sorprendentemente intensa, seguendo il proprio protagonista con una modalità quasi documentaristica senza mai perderlo di vista nella sua odissea. Odissea che, in Io capitano, è fatta sì di tribolazioni e speranze ma anche di atroci rivelazioni, aspettative disattese, e in definitiva della scoperta di un’inaspettata brutalità insita nella natura umana, che obbliga l’inizialmente indifeso Seydou a crescere improvvisamente in una lotta alla sopravvivenza che non fa sconti per nessuno.
Nondimeno, e a differenza dei film precedenti del regista che seguono questa stessa linea di crudezza, Io capitano riesce comunque ad incorporare in sé un certo ascendente favolistico che è comunque inevitabilmente tanta parte del cinema di Garrone. In questo caso, il procedimento avviene affidandosi a due aspetti fra loro parzialmente connessi: quello sciamanico-spirituale del contesto di partenza dei protagonisti, a cui i due si affidano con forza e che tende a riproporsi nel corso del minutaggio, e quello di una sorta di onirismo che aiuta Seydou ad affrontare (o quantomeno a convivere con) la brutale violenza che gli si para davanti in modo perpetuo ed asfissiante.
In quest’ottica, non solo Io capitano segna il ritorno di un regista d’eccezione in una sede altrettanto eccelsa e la realizzazione di un’opera complessa, straziante, organica e mai retorica, ma marca anche un nuovo elevatissimo punto di partenza per la cinematografia di Matteo Garrone.