Il ritorno di Cagliostro è il terzo lungometraggio del duo palermitano Ciprì e Maresco, celebre soprattutto per l’esperienza di Cinico TV, trasmessa a partire dagli anni ’90 nelle notti cinefile di Rai3, grazie al programma Fuori Orario, ideato da Enrico Ghezzi.
Presentato al Festival del cinema di Venezia nel 2003, il film compirà tra qualche mese 20 anni. Il duo si è sciolto ormai da qualche anno e non è facile trovare le opere dei due autori, inoltre alcune di esse sono state anche censurate. Il ritorno di Cagliostro è invece visibile su MUBI, purtroppo in una versione che non rende piena giustizia alla pellicola per via della scarsa qualità dell’immagine.
Trama
Sequel immaginario del film del 1949 Cagliostro, con protagonista Orson Welles, diretto da Gregory Ratoff.
Il ritorno di Cagliostro si basa su un espediente extradiegetico, ossia la proiezione di un documentario che raccoglie i pareri discordanti e talvolta quasi antitetici di vari critici cinematografici presenti intervistati, basato sul recente ritrovamento delle pellicole perdute de Il ritorno di Cagliostro. Comincia qui la storia immaginaria, surreale ma perfettamente costruita della casa cinematografica Trinacria, e della “Hollywood della Conca d’oro”.
Nella Sicilia nord-occidentale del secondo dopoguerra, i fratelli Carmelo e Salvatore La Marca, proprietari e gestori di una piccola azienda di arte sacra, mettono in piedi, col benestare dell’Arcivescovo di Palermo la Casa di Produzione Cinematografica Trinacria. La casa di produzione nasce con l’intento di sviluppare l’industria cinematografica in Sicilia, visto l’amore dei due fratelli per il cinematografo. Elementi privi di professionalità e attori non professionisti presi dalla strada realizzano i primi film, che si rivelano dei fiaschi. Un barone decaduto ed occultista viene scelto come finanziatore per risollevare le sorti della casa di produzione: decide di girare un film sulla vita di Cagliostro, ingaggiando come regista il fallito Pino Grisanti, e come protagonista Errol Douglas, una vecchia gloria di Hollywood, lontano dalle scene da tempo ed alcolizzato.
Le riprese avverranno senza alcuna fortuna, e la cattiva sorte arriverà all’apice quando Douglas, lanciandosi ubriaco da una finestra del terzo piano, schiantandosi al suolo, diverrà pazzo per la caduta: sarà rinchiuso in un manicomio a vita. I La Marca falliranno a breve, ed un nano, che appare nell’ultima mezz’ora del film, infrangendo la quarta parete, spiega a tutti la vera storia dietro la Trinacria: a dispetto di come sono stati ritratti nel documentario, i La Marca sarebbero stati in realtà criminali, più precisamente mafiosi, dipendenti da Lucky Luciano.
Il ritorno di Cagliostro: recensione
Il film inizia con un’inquadratura molto simile all’ultima di Shining, conforme al capolavoro horror è anche la musica, elemento di importanza primaria.
Ciò è preludio di come tutta l’opera sia concepita, e quindi di come Ciprì e Maresco intendono il cinema: una grottesca e soprattutto fasulla messa in scena.
Sono infatti queste due le parole che meglio rappresentano e riassumono Il ritorno di Cagliostro.
Grottesco e surreale è tutto il film, costellato da personaggi freak, strani, storpi, uomini travestiti da donne, il tutto accompagnato da atteggiamenti esasperati, così come i dialoghi.
La costruzione è ricca di citazioni, spesso esplicite, a Neoralismo e cinema d’autore anni ’60, pur essendo il film ambientato negli anni ’40 e ’50.
Ma non importa che quello che viene detto sia realistico o credibile, serve solo che la messinscena sia perfetta ed organica, funzionale alla fruizione e nella prima parte del film al divertimento.
La prima mezz’ora è infatti esilarante, per struttura, battute e gag; inoltre è sorprendente l’immagine, che oltre ad essere un perfetto omaggio al cinema autoriale è essa stessa esempio lampante della portata geniale dei due autori Ciprì e Maresco.
Le citazioni ai grandi maestri del cinema
Oltre al bianco e nero della pellicola, che è senza dubbio bello pur essendo applicato a personaggi “bruttissimi”, spesso le inquadrature sono costruite prospetticamente, con rimando sempre a Kubrick, soprattutto per quanto concerne gli spazi interni dove vi sono scale, colonne, saloni, tutto sempre simmetricamente sviluppato.
La parodia meglio riuscita all’interno del film riguarda però una sequenza che è ovviamente un rifacimento di una celebre scena di Barry Lyndon: due attori con abiti settecenteschi, ripresi all’interno di una carrozza, dialogano tra loro, non si vede nulla di ciò che vi è fuori ma comprendiamo il movimento del mezzo per via di, piccoli (nel film di Kubrick), ampi in quello di Ciprì e Maresco, movimenti sussultori.
Il ritorno di Cagliostro è un film metacinematografico esasperato: si parla di cinema, si vede cinema (nelle locandine fin dai primi istanti), e anche la recitazione degli attori, in particolare di Luigi Maria Burruano, sembra essere un’imitazione esagerata del lavoro attoriale nei film muti.
Perfetto è poi un personaggio secondario, forse più degli altri, che sembra proveniente direttamente da Frankenstein Junior, il barone finanziatore infatti somiglia molto in una parte piuttosto breve del film ad Igor (Marty Feldman), complice lo sguardo (e lo strabismo) ma soprattutto le argomentazioni ed il modo di esprimersi attraverso frasi brevi ma efficaci.
Il cinema come parodia
La parodia nel film di Ciprì e Maresco è continua ed impietosa. Dal cinema ai cinegiornali, dai documentati alle interviste, passando (ovviamente, vista la storia filmografica del duo) alla chiesa e più in generale alla religiosità.
Purtroppo il film nella seconda parte perde il carattere spassoso della prima metà e appare quasi ridondante, la tensione infatti diminuisce e si vorrebbe quasi riassumere la storia.
Nonostante ciò il film a distanza di 20 anni dall’uscita è ancora un esempio di cinema irriverente e bello nella sua oscenità, nella sua iperbolica costruzione, simbolo di una ricerca profonda nei meandri non del cinema ma della mente umana. Ai confini della pietà si intitola un altro più recente lavoro per la tv dei due cineasti palermitani: è un po’ il riassunto della loro (non) poetica, che molto probabilmente fa ribrezzo ai molti ma attira una fetta di pubblico curiosa e forse un po’ timida. Forse è un cinema da amare, guardare e riguardare, ma in sordina per non fare scalpore.
È pur sempre cinema, nulla di più vero, nulla di più falso.