Oggi vogliamo raccontarvi una storia. Una di quelle che sembrano coperte dal velo sbiadito dei secoli, e che invece, dal nostro mondo ricco e colorato distano soltanto poche ore di volo. È la storia di una guerra, infinita, e tremenda. Di giorni passati a digerire la fame, pregare per la pioggia, studiare di notte, sotto la luce delle stelle. Di un conflitto senza aerei e senza proiettili, in cui le vittime non vengono aggredite da nessuno, ma muoiono lo stesso. Già, oggi vogliamo raccontarvi una storia. La storia del ragazzo che catturò il vento.
Settembre 2001. Le Torri Gemelle sono appena cadute. Il mondo è in subbuglio. Nulla sembra più come prima. Eppure, sui volti scavati degli abitanti del villaggio di Wimbe, in Malawi, la notizia non suscita nemmeno un sussulto. I problemi, per loro, sono altri. La terra è secca, arida. Le radici, troppo deboli per resistere, si accasciano al suolo morendo per sempre. Servirebbero attrezzi, tecniche agricole avanzate, e acqua. A Wimbe, però, non c’è nulla di tutto questo.
L’acqua viene dalle piogge. Ma le piogge non arrivano. E quando arrivano, sono temporali. William Kamkwamba, rispetto ai suoi coetanei, è un figlio fortunato. I suoi genitori, infatti, non fanno altro che risparmiare, pur di dargli un’istruzione. Nei campi si spaccano la schiena. Non sono affatto sicuri di farcela, ma lavorano, giorno dopo giorno, convinti che questo prima o poi basterà. Invece non basta.
Il ragazzo ha solo quindici anni. Ma in Malawi, a quindici anni, o sei un uomo, o sei un cadavere. William che di cadaveri ne ha visti fin troppi, non si dà per vinto. Cerca come può di aiutare in famiglia, inganna e mente pur di seguire le lezioni scolastiche, e studia in silenzio un progetto per risparmiare agli abitanti la piaga della fame. Bisogna sfruttare l’acqua dei pozzi, ma manca l’energia. William questo lo sa, ma sa ancora meglio quello che a Wimbe non manca di certo: il vento.
Vento uguale energia. Energia uguale acqua. Acqua uguale raccolto. Raccolto uguale cibo. Il seme di tutto sta nella scienza. Nella capacità di utilizzare la meccanica. L’obiettivo è la costruzione del primo mulino a vento di Wimbe.
Il ragazzo che catturò il vento, per struttura, contesto e temi trattati, aveva un solo ed unico nemico: la retorica. Quel melenso e grassoso miscuglio di banalità sempre pronto a contaminare storie potenzialmente eccezionali. Bene, siamo lieti di annunciare che nell’opera di Chiwetel Ejiofor (presente anche tra i protagonisti), tutto questo è stato evitato. La narrazione, pur nei suoi momenti drammatici e crudi, non cede mai all’applauso, e men che meno si presta ai gusti distorti dell’ormai inevitabile “politically correct”.
L’evoluzione dei personaggi, seppur leggermente rapida e prevedibile, saprà regalare momenti di grande soddisfazione. La pellicola, mostrando diversi contesti come quello socioeconomico, quello familiare, quello scolastico e persino quello politico, presenta un quadro completo del Malawi dei primi anni ‘2000, così lontani, eppure così vicini.
Buono, anche se non ottimo, il ritmo, caratterizzato da scene estremamente drammatiche, soprattutto sul versante familiare. Fame, privazione e frustrazione saranno come ombre destinate a seguire i protagonisti in ogni singolo e asciutto fotogramma. Abbastanza incolori, invece, i personaggi secondari. Le loro battaglie, o le loro sofferenze, giungeranno in forma molto filtrata rispetto a quelle di William. In un certo senso, a livello narrativo, l’opera di Ejiofor preferisce concentrarsi sull’eroica storia di una sola famiglia.
L’unico appunto, in virtù di questa scelta, va ricercato proprio nell’arrivo mal calibrato del finale. Avremmo preferito infatti una storia meglio legata. Tenuta assieme, magari, dalle storie incrociate dei protagonisti, piuttosto che dalla pura e semplice costruzione del mulino. All’interno dei quasi centoventi minuti, infatti ci sarà spazio solo per gli elementi strettamente funzionali alla creatura di William. E per alcuni, questo potrebbe non bastare.
Perfetta invece la resa scenografica. Il paesaggio secco ed asciutto che langue sotto il sole cocente. Gli alberi deboli e smilzi minacciati dalle grandi compagnie di produzione del tabacco. E persino i terreni fangosi e viscidi affogati dall’acqua infida delle tempeste. Nonostante una varietà limitata dall’ambientazione, i panorami offerti saranno davvero eccezionali. A completare il quadro, faranno capolino le abitazioni squallide ed improvvisate del villaggio. Un campionario stagnante di tetti di paglia, vestiti sporchi e polvere ovunque.
Sullo stesso livello anche le musiche, ora etniche, ora convenzionali, capaci da un lato di intrattenere senza straniare lo spettatore, dall’altro di restituire un’atmosfera del tutto credibile e realistica.
Il ragazzo che catturò il vento è un film che nonostante la storia limpida e lineare, riesce ad essere sia intenso sia sincero. Non cerca di commuovere in maniera forzata, giocando sulla sofferenza dei protagonisti, né cerca di restituire un’immagine utopistica ed ipocrita delle campagne. Nell’umanità desolante e disturbata dei campi africani non troverete soltanto degli angeli. Ma anche dei diavoli. Poveri, piccoli e disperati, ma sempre diavoli.
Il nostro consiglio è di accompagnare William nella sua folle e magnifica impresa. Costruire il primo mulino a vento del villaggio di Wimbe. E utilizzarlo per irrigare i campi, coltivare, e magari per arrampicarsi fino alla cima, così da contemplare, per una volta, quella terra secca, arida e sabbiosa finalmente colorata.
Voto Autore: [usr 3,5]