Il regista polacco Roman Polanski rievoca le tribolazioni del pianista Wladislaw Szpilman nel momento più buio del Novecento: quello della Shoah. La pellicola offre una straordinaria, sofferta e indimenticabile interpretazione di Adrien Brody. Il pianista si sofferma non sull’aspetto corale di uno dei drammi più grandi del secolo scorso, ma offre una chiave di lettura piuttosto intima.
Il pianista: il cast
Oltre ad Adrien Brody (Wladislaw Szpilman), il cast comprende anche Frank Finlay (il padre), Maureen Lipman (la madre), Ed Stoppard (Henryk), Julia Rayner (Regina), Emilia Fox (Dorota), John Bennet (Dottor Ehrlich), Thomas Kretschmann (Capitano Wilm Hosenfeld).
Il pianista: la trama
Wladislaw Szpilman è un giovane pianista di origine ebraica, che muove i primi passi di carriera all’interno di una radio di Varsavia. Lo scoppio della Seconda Guerra Mondiale, con conseguente invasione della Polonia da parte della Germania di Hitler, cambierà per sempre la sua vita. Szpilmann, viene rinchiuso insieme alla sua famiglia e al resto della popolazione ebraica, nel ghetto della capitale polacca.
La vita scorre con innumerevoli difficoltà all’interno del ghetto, ma ad un certo punto cambia tutto. Cominciano i rastrellamenti e le deportazioni di tutti gli ebrei da parte dei soldati tedeschi, verso i vari campi di concentramento, tra cui quello di Treblinka. Per un caso fortuito, Szpillman riesce a sfuggire a quel disumano destino, e comincia un’altra odissea, fatta di inesorabile dolore e inevitabile solitudine tra gli edifici e le strade di Varsavia occupata.
Il pianista: i premi vinti
Il Pianista è insieme a Schindler’s List di Steven Spielberg, uno dei film più premiati della storia del cinema per quel che riguarda la tematica della Shoah, ovvero l’Olocausto del popolo ebraico. La pellicola ha vinto la Palma d’Oro al Festival di Cannes 2002, con David Lynch presidente e giurati quali Sharon Stone, Michelle Yeoh e Bille August. Inoltre, ha vinto tre premi oscar su 7 nomination: miglior regia, miglior attore protagonista e miglior sceneggiatura non originale.
Adrien Brody ha battuto agli Academy Awards il Daniel Day Lewis di Gangs of New York, di Martin Scorsese. Altri premi collaterali sono stati raccolti anche ai Cesar francesi: miglior film, miglior regia, miglior attore protagonista, miglior fotografia, miglior scenografia.
Ai Bafta inglesi, solo Polanski si è visto riconoscere miglior film e miglior regia. Il regista purtroppo, essendo da molti anni esule per una storia di stupro con una tredicenne, non ha potuto ritirare alcuni dei premi in questione.
Nonostante tutto, il suo cinema ha potuto raccogliere una vastità di riconoscimenti importanti. Come anche il suo ultimo film, L’ Ufficiale e la Spia, che ha vinto il Leone D’Argento, Gran Premio di Giuria alla 76esima Mostra Internazionale del Cinema di Venezia, e tre premi Cesar.
Su quale momento della Shoah si concentra Il Pianista?
Ronald Harwood è autore del copione di questo monumentale dramma privato basato sulle memorie del pianista Szpilman. Il musicista ha perso tutta la sua famiglia durante le deportazioni dal ghetto di Varsavia. Il film non affronta direttamente la fase cruciale dei campi di sterminio, o meglio quello di Treblinka, dove viene deportata tutta la sua famiglia.
In realtà, Il pianista analizza con dovizia di particolari, le dolorose peripezie di Szpilman. L’uomo è costretto a fuggire e nascondersi costantemente dai tedeschi, che sono perennemente a caccia di ebrei da rastrellare, e sistematicamente massacrare. La musica viene vista come via di fuga, e allo stesso tempo come ancora di salvezza.
In un dialogo con suo fratello Henryk, aspirante scrittore, emerge una citazione di William Shakespeare: “Se ci pungete non sanguiniamo, se ci fate il solletico non ridiamo, se ci avvelenate non moriamo e se ci fate un torto non cercheremo di vendicarci”. Questo può essere visto anche come un tentativo di stoica resistenza da parte del popolo ebraico.
Negli abissi dei ricordi, l’uomo ha la sua mente attraversata dalle note che con una certa spensieratezza componeva alla radio. Roman Polanski ha scelto di confrontarsi con i fantasmi del suo passato, attraverso il racconto per interposta persona. Non è una narrazione autobiografica, ma quasi semiautobiografica, perché le sofferenze affrontate nella vita del regista durante la Shoah, sono state le medesime, seppur in momenti diversi.
La quasi totale assenza del sonoro nella pellicola
E’ un paradosso, Il pianista dovrebbe essere pervaso dalla musica in ogni suo singolo frammento, mentre Polanski sceglie la via del silenzio. Ogni inquadratura è filtrata dal gelo di quel tempo, non solo fisica, ma anche metaforica. E lo spettatore avverte quel silenzio dell’anima, e tutto il freddo che penetra fino alle ossa del suo cuore.
Non ci sono suoni che amplificano il travaglio personale dell’uomo, ma solo una staticità delle inquadrature che si fa cruda e allegorica realtà. I tedeschi sono ritratti come mostri crudeli assetati di sangue, e sadici nella loro mirata esecuzione di omicidi. Nessuno è risparmiato da questa tragica e spietata repressione: donne, disabili, anziani, bambini. Tutti coloro che hanno una fascia al braccio, che delimita la loro appartenenza alla religione ebraica, non hanno possibilità di scampo e di salvezza.
Lo stesso Szpilman si aggira incredulo fra le rovine di Varsavia distrutta dalla guerra. E lo fa con il volto scavato e gli occhi spiritati di coloro che hanno visto l’incredibile orrore nelle ceneri della Storia. I campi di concentramento e di sterminio sono solo evocati. Sono le macerie del ghetto ad intensificarsi ogni qualvolta che un bombardamento, o un attacco prende il sopravvento.
Mentre vi è morte e distruzione attorno a sè, Szpilman affina le sue doti di resilienza in un corpo che diventa sempre più scheletrico e martoriato. La sofferenza si palesa nei suoi occhi e nella sua anima. La fame e la sete mangiano i suoi organi, e la desolazione si fa irrituale perdizione. L’incontro con un ufficiale tedesco, Wilm Hosenfeld, capitano della Wehrmacht, dona una flebile speranza in un mondo che l’ha persa da tempo.
Un gesto di umanità dona di nuovo la speranza
Szpilman suona il piano fra i detriti di una casa, e la musica con la bellezza delle sue note, torna a rievocare un tempo lontano fatto di fiducia verso il futuro. Ma non esiste più niente, solo i ricordi che riemergono nella testa del pianista. Ma l’ufficiale lo scopre, e invece di denunciarlo ai suoi superiori, o ucciderlo direttamente sul posto, fa una scelta diversa.
Una scelta che nessuno si può aspettare o lontanamente immaginare. Sceglie di proteggerlo nascondendolo; e questo gesto dona umanità anche al più accanito dei nemici. Il Capitano porta viveri a Szpilman ogni volta che ne ha la possibilità, e nel momento di congedarsi da lui, gli regala il suo cappotto per ripararsi dal freddo.
“Ringrazi Dio, non me. Lui ci ha fatti sopravvivere, almeno è cio che dovremmo credere”. Ripete Hosenfeld al pianista. La melodia del pianoforte ha regalato la salvezza a Szpilman, ma al tempo stesso, anche uno spiraglio di luce in quella che è stata la più grande tragedia a memoria d’uomo nelle crepe della Storia.
Il trailer