“Il paradiso probabilmente” (It Must Be Heaven), diretto dal regista palestinese Elia Suleiman, è un film del 2019 presentato a Cannes 72. E’ una prospettiva unica sulla questione dell’identità e dell’appartenenza, attraverso una lente di umorismo e assurdità. Ma anche un esempio eccellente di come il surreale, il comico e la riflessione politica possano essere intrecciati per creare un’opera cinematografica unica.
L’intersezione di surreale, comico e riflessione politica crea un effetto unico nel film. Il surreale amplifica l’assurdità della situazione politica, il comico rende la riflessione politica più digeribile, mentre la riflessione politica dà profondità e significato al surreale e al comico. Questa combinazione permette a Suleiman di affrontare temi complessi e dolorosi in un modo che è allo stesso tempo leggero e profondamente risonante.
Il paradiso probabilmente: cast, trama e recensione
Elia Suleiman interpreta il ruolo principale, una versione fittizia di sé stesso. Come nel suo stile caratteristico, Suleiman assume il ruolo di un osservatore silenzioso, il cui volto impassibile e le espressioni minimali sono cruciali per trasmettere l’umorismo sottile e la riflessione profonda del film. La sua presenza è centrale, fungendo da filo conduttore attraverso le varie vignette che compongono la pellicola. Tarik Kopty è un attore palestinese di lungo corso che ha lavorato con Suleiman in precedenza. In “Il paradiso probabilmente”, interpreta il vicino di casa del protagonista in Palestina. La sua interazione con Suleiman aggiunge un tocco di realismo e calore alla parte del film ambientata in patria. Gael García Bernal, noto attore messicano, fa un cameo nel film. La sua breve apparizione aggiunge un tocco internazionale e riconoscibilità al cast, ampliando il respiro globale della narrazione.
Un viaggio tra Nazareth, Parigi e New York
La trama segue Elia Suleiman, che interpreta se stesso, mentre viaggia da Nazareth a Parigi e New York, cercando un posto che possa considerare casa. Durante il suo viaggio, osserva situazioni surreali e spesso comiche che riflettono le assurdità della vita moderna e i temi della sorveglianza, della militarizzazione e dell’alienazione.
Suleiman adotta uno stile minimalista e contemplativo, con lunghi piani sequenza e un uso ridotto dei dialoghi. Questo stile ricorda i lavori di Buster Keaton e Jacques Tati, dove il protagonista è un osservatore silenzioso delle stranezze del mondo che lo circonda. La regia è precisa e ogni inquadratura è studiata per massimizzare l’impatto visivo e comico.
La sua interpretazione è caratterizzata dalla sua espressione impassibile e dalle sue reazioni minimali. Questo approccio conferisce al film un tono di ironia e distacco, permettendo allo spettatore di riflettere sulle situazioni rappresentate senza essere sopraffatto dall’emozione.
La ricerca di identità al centro di “Il paradiso probabilmente”
“Il paradiso probabilmente” esplora la ricerca di identità attraverso le esperienze di Suleiman in vari contesti culturali. Nonostante la diversità delle ambientazioni, l’assurdità e le difficoltà che incontra rimandino sempre alla sua esperienza palestinese, è evidente come i temi di oppressione e sorveglianza siano universali.
L’umorismo del film è sottile e basato sull’assurdità delle situazioni. Ciò serve a criticare le società moderne, mostrando come il ridicolo e il surreale siano parte integrante della nostra realtà quotidiana. Le scene sono spesso costruite come piccoli sketch, ognuno con la sua logica interna che sfida le aspettative dello spettatore. Il film è ricco di simbolismi e metafore. Per esempio, la sorveglianza costante e la presenza di forze dell’ordine in ogni luogo rappresentano la perdita della libertà personale e la pervasività del controllo.
Allo stesso tempo, la ricerca di un luogo che possa chiamare casa riflette il desiderio universale di appartenenza e sicurezza. Attraverso le sue osservazioni silenziose, Suleiman offre una critica pungente delle società occidentali e delle loro contraddizioni. E’ chiaro che, nonostante le differenze superficiali, le problematiche di base come la violenza, l’oppressione e la disumanizzazione sono comuni ovunque.
Rispetto ai suoi lavori precedenti come “Intervento divino” (2002) e “Il tempo che ci rimane” (2009), Suleiman continua a esplorare il tema dell’identità palestinese e della vita sotto occupazione, ma lo fa con un approccio più universale. Mentre i suoi film precedenti erano più esplicitamente ancorati al contesto palestinese, “Il paradiso probabilmente” amplia il suo orizzonte per includere osservazioni sulla condizione umana a livello globale.
Il silenzio e il minimalismo estetico
C’è un uso significativo del silenzio e una composizione visiva meticolosa. La cinematografia di Sofian El Fani gioca un ruolo cruciale nel creare un mondo che è al contempo realistico e surreale. Le inquadrature sono spesso statiche e simmetriche, conferendo al film un senso di ordine e contemplazione che contrasta con il caos delle situazioni rappresentate.
Il minimalismo estetico del film mette in risalto i dettagli visivi e le piccole azioni, invitando lo spettatore a concentrarsi su elementi che altrimenti potrebbero passare inosservati. Questo stile permette a Suleiman di trasmettere significati profondi attraverso semplici gesti e immagini. Anche se il film è ambientato in diversi paesi, la Palestina rimane un punto di riferimento costante.
La rappresentazione della Palestina come un luogo di continua sorveglianza e restrizione si estende ai luoghi occidentali, suggerendo che le dinamiche di potere e controllo non sono un fenomeno esclusivamente locale ma globale. “Il paradiso probabilmente” è un film che riesce a combinare umorismo, critica sociale e riflessione personale in un’opera unica e affascinante.
Conclusioni
La regia attenta di Suleiman e il suo stile distintivo lo rendono un film che invita alla riflessione sulla natura dell’identità e della condizione umana, mantenendo al contempo un tono leggero e accessibile. Anche se il film è ambientato in diversi paesi, la Palestina rimane un punto di riferimento costante. La rappresentazione della Palestina come un luogo di continua sorveglianza e restrizione si estende ai luoghi occidentali, suggerendo che le dinamiche di potere e controllo non sono un fenomeno esclusivamente locale ma globale.
Il film utilizza la satira per affrontare temi politici complessi. Le scene in cui Suleiman osserva le forze dell’ordine che si comportano in modo assurdo o eccessivo, servono a criticare l’autoritarismo e la militarizzazione delle società contemporanee. “Il paradiso probabilmente” è stato accolto positivamente dalla critica e ha ricevuto diversi riconoscimenti, tra cui una Menzione Speciale e il Premio Fipresci al Festival di Cannes 2019.
La capacità del regista di mescolare umorismo e serietà in modo efficace contraddistingue il racconto per la sua originalità e profondità. In sintesi, “Il paradiso probabilmente” è un viaggio poetico e surreale attraverso le assurdità della vita moderna, che invita lo spettatore a guardare il mondo con occhi nuovi e a riflettere sulle questioni fondamentali dell’esistenza.