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Il mistero Henri Pick

Può Henri Pick, un pizzaiolo bretone, ex-marinaio, che non ha mai scritto una riga in vita sua al di fuori di un’ elementare letterina di saluti alla propria figlia in gita sulle montagne, essere l’autore dell’ultimo caso editoriale parigino? Può un signor nessuno, morto già da due anni, aver scritto di suo pugno un romanzo intenso ed appassionato, osannato dalla critica nazionale ed internazionale? Può una nullità aver messo in parallelo la fine di una storia d’amore con le vicende della vita del grande poeta russo Puskin traendone fuori un’opera d’arte magistrale e perfetta tanto colta quanto universale, capace di stordire dalla commozione e di raccontare così tanto dell’animo umano? Può l’essere più apparentemente lontano dal mondo letterario materializzarne un capolavoro, doppiamente ambito in quanto postumo, scovato per magico caso da una giovane editor nella sperduta “biblioteca dei libri rifiutati” in quel della Bretagna?

Il mistero Henri Pick

Il critico Jean Michel-Rouche (Fabrice Luchini) di grande fama e difficili gusti non ne è affatto convinto, tanto che nelle consuete domande poste durante la sua quotatissima trasmissione televisiva di critica letteraria, chiede brutalmente numi alla modesta consorte del compianto ed ipoteticamente eccellente Pick, suggerendo un’eventuale interpolazione altrui ed insinuando il dubbio dell’impostura. La dolce moglie non gradisce, neppure l’audience affiatata, nemmeno il frenetico regista, men che meno l’ambiente di categoria, per cui Jean Michel si ritrova senza lavoro, senza reputazione e senza una moglie, la quale con la intempestività delle brutte notizie, che cadono sempre a grappolo, lo lascia la sera stessa della nefasta diretta.

Mentre le sue vite private e lavorative si disintegrano e la stampa nazionale altro non fa che chiedersi se la firma di cotanta bellezza editoriale sia o non sia autentica, montando un caso più importante e disquisito dello stesso contenuto dell’opera, Jean Michel non si scompone, non crolla, non cede alle escandescenze, alla vendetta, alla nevrastenia, no. Al contrario si risveglia, riprende in mano le sorti stanche ed impolverate della sua stessa vocazione e si riassegna una nuova missione: smascherare chi ci sia dietro il casuale, riuscitissimo e misterioso best-seller e consegnare al mondo la verità. Nella sua investigazione lo affianca più controvoglia che convinta Josephine (Camille Cottin), figlia di Pick, ferma nella sua decisione di conoscere la vera storia di suo padre.

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Il mistero Henri Pick

Tratta dal romanzo omonimo di David Foenkinos, firmata da Remi Bezancon, questa piccola commedia tinta di giallo vanta uno spunto insolito ed intelligente, che incuriosisce piacevolmente, aprendo una finestra sull’originale spazio dei casi editoriali, i numeri uno delle classifiche in libreria e sull’imponente, spesso spietato e non meritocratico business che c’è dietro. In Francia (e non solo) ci sono più scrittori che lettori, si dice nel film, come se la professione dello scrivere fosse appannaggio un po’ di tutti, perché in fondo tutti hanno un romanzo dentro al cuore, non foss’altro che la propria autobiografia, e leggere diventa attività secondaria e naturalmente consequenziale; mentre invece è il lettore a fare la differenza, esiste prima chi legge di chi scrive, e comunque leggendo si esercita una pratica tanto professionale quanto quella di un autore.

La lettura, soprattutto quella critica, condiziona e modifica la realtà, in senso positivo, ma anche negativo; dunque è dannoso sottovalutarla. Ne Il mistero di Henri Pick si offre il fianco ad una riflessione obliqua sulla complessa, strana, discussa arte del criticare, che riguarda lo scrivere, ma richiede preliminarmente il leggere e che di fatto instaura un dialogo confidente con l’autore, dedicandogli attenzioni o distrazioni, illuminazioni o abbagli, per giungere a comprenderne e restituirne una verità relativa.

IL mistero Henri Pick

Argomento romantico dunque, mai privo di fascino, poco esperito, che apre mondi diversi, dietro i quali a volte si cela arte, a volte giornalismo, a volte chiacchiericcio. Fatto sta che il caso di un autore non proprio fantasma, ma abbastanza inverosimile da alimentare la curiosità del pubblico, innesta dietro sè una doppia se non tripla storia: c’è la trama del dibattuto e meraviglioso romanzo dal titolo evocativo Le ultime ore di una storia d’amore che sembra dare luce e senso a tante figure con cui il manoscritto entra in contatto, dalla bibliotecaria emozionata, alla custode ispiratrice, dalla giovane editor in cerca di fortuna, al suo ragazzo scrittore, un talento innamorato e disposto a tutto, dalla moglie di Pick che lo ha visto morire di Alzheimer incapace di parlare e ricordare i suoi cari ed ora se lo ritrova eroe, alla figlia Josephine, che conserva ragionevoli dubbi sulla paternità del libro, ma è restia ad ammetterli, specchio femminile dello stesso Jean Michel da cui è anche, segretamente, attratta.

Accanto a questo filone c’è l’iter investigativo che riguarda Henri Pick, personaggio che durante le ricerche appare banale ed inafferrabile al contempo: ha scritto, non ha scritto, ha plagiato qualcun altro, ha demandato l’opera, ha inconsapevolmente fuorviato o dolosamente ingannato, è un nome fantoccio o è frutto di una manovra editoriale, è qualcosa di simbolico e nobile cui appigliarsi, come il classico dei miracoli popolari o è una sfrontata trovata pubblicitaria. In aggiunta, poi, ci sono le avventure di Jean Michel, critico ritrovato, segugio dal fiuto fino in cerca della penna autentica, improvvisamente re-innamorato del mondo e delle persone che lo abitano, meno cinico, più disinteressato, nuovo dispensatore di sapere su ciò che gli fa battere il cuore ossia la parola letteraria.

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Il mistero Henri Pick

Fabrice Luchini è interprete perfetto, scontroso e perbene insieme, custode di questa sapienza innata e burbera, fintamente snob e preziosa, paladino del sorriso borghese nella recente cinematografia francese (si pensi a Parlami di te o ad Alice e il sindaco), qui inedito neo-ispettore che ci guida con una fin troppo naturale destrezza alla scoperta della verità, come se non aspettasse altra occasione dalla vita; mentre la Cottin, ottima presenza scenica, efficace contraltare del divo-critico, alterna fierezza e dolcezza con piglio affascinante. Chicca non a pieno esaltata, la luminosa Hanna Schygulla, attrice di poderosa formazione, musa di ben 23 film di Fassbinder, qui nei panni di una donna russa-polacca intrecciata nel dilemma identitario di Mister Pick.

Regia particolarmente ligia, meno attenta alla costruzione di tensione di quanto dovrebbe, con qualche passaggio ellittico, eccessivamente semplice, che arriva perché deve arrivare, non per deduzione, induzione o colpo di scena; e questo pesa e toglie carisma allo sviluppo di un giallo che sarebbe fondamentale non rendere mai innocuo, specialmente nelle sue transizioni. Dunque Bezancon è più buono che bravo in questa occasione, non sfruttandone a fondo l’inconsueto potenziale. Fotografia ingrigita, dal carattere metropolitano, ma che respira assieme al suo protagonista quando si disperde nell’aria bretone fuori dal tempo o tra gli scaffali di libri che spuntano incessantemente in ogni ambiente, salotto, biblioteca, archivio,magione o appartamento che sia.

Il mistero Henri Pick

Lo sguardo complessivo distaccato e divertito, consapevole della non consuetudine del soggetto, contribuisce a far riflettere più spontaneamente sulla figura di un autore che, pur non avendo un classico curriculum da vantare, riesce ad assommare in sè gli aspetti più contrastanti della letteratura ossia essere intimo ed universale. Questo perché come più voci ripetono nel film, in ogni buon libro si trova sempre parte di sé e si resta persuasi che quelle righe parlino a noi, di noi. E spesso, più della verità, è la convinzione a fare la differenza.

PANORAMICA RECENSIONE

regia
soggetto e sceneggiatura
interpretazioni
emozioni

SOMMARIO

Henri Pick, un pizzaiolo bretone defunto che non ha scritto quasi nulla in vita sua, è o non è l'autore del caso editoriale dell'anno? Verità, finzione, miracolo e legge di mercato in una docile commedia gialla sul senso dello scrivere, del leggere, del fare critica ed autocritica.
Pyndaro
Pyndaro
Cosa so fare: osservare, immaginare, collegare, girare l’angolo  Cosa non so fare: smettere di scrivere  Cosa mangio: interpunzioni e tutta l’arte in genere  Cosa amo: i quadri che non cerchiano, e viceversa.  Cosa penso: il cinema gioca con le immagini; io con le parole. Dovevamo incontrarci prima o poi.

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