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Il materiale emotivo – la recensione del film di Sergio Castellitto

Il materiale emotivo è l’ossimoro che unisce in un solo significato due sostanze che hanno stoffe diametralmente opposte, probabilmente incompatibili e le trasforma in un compromesso tra cielo ed aria, carburante fondamentale delle anime che lo accumulano.

Il materiale emotivo è il groviglio che si fa fatica ad esprimere, nutrito e maturato dalle sferzate della vita e poi, sistematicamente, introiettato, addomesticato, schernito, finto di dimenticare.

Per indolenza, viltà, abitudine, timidezza, banalissima inerzia, il materiale emotivo è la prima cosa sacrificabile o manipolabile, l’ultima cui restituire il giusto spazio, ignorando il danno provocato nelle more del suo silenzio.

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Può essere assimilato ad un passo avanti nella vita, spesso è un salto nel vuoto, altrettanto spesso l’insieme di cose che si sarebbe voluto dire o fare, ma che non si è mai trovato il coraggio sufficiente per affrontare.

Il materiale emotivo

Il materiale emotivo – trama

Sicuramente lo conosce, lo percepisce e lo riscopre, Vincenzo (Sergio Castellitto), libraio italiano in una Parigi di cartapesta, barricato tra i suoi antichi e preziosi volumi, classici letterari, filosofici e poetici, in un negozio d’altri tempi attorno al quale circolano avventori, passanti, camerieri ed infermieri come se fossero di casa. Al piano di sopra la figlia Albertine (Matilda De Angelis) guarda il mondo dalla sua finestra d’epoca, chiusa in un mutismo selettivo sorto in seguito ad un grave incidente, probabilmente voluto dalla ragazza, che l’ha costretta su una sedia a rotelle.

Nella loro routine pacata, sospesa, disperata, tra solitudini ostili, tentativi di contatto e bisogno di calore umano, irrompe ad accendere la miccia Yolande (Berenice Bejo), attrice in prova nel teatro di fronte alla libreria, anima in pena, pellegrina e viscerale, tornado di sentimenti, slanci e ripensamenti, che scuoterà il materiale emotivo compresso di quella famiglia fragile, attaccatissima e silenziosa.

Il materiale emotivo

Il materiale emotivo – recensione

Sergio Castellitto porta su grande schermo un soggetto di Ettore Scola intitolato Un drago a forma di nuvola, che divenne nel 2014 graphic novel e ne affida la sceneggiatura alla compagna Margaret Mazzantini, la cui penna si distacca dal tracciato originale, estremizzando alcune situazioni, con esiti non del tutto efficaci.

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Il materiale emotivo si presenta come una commedia sentimentale, dolce e molto malinconica, nata in Italia ma di confezione francese, con il suo realismo poetico ed un certo lirismo appuntato, a volte un po’ sbandierato, che promuove l’abbandono alle sensazioni più pressanti laddove il tempo, la collera, le delusioni hanno inibito radici emotive.

Il materiale emotivo scommette sull’umanità delle persone, sfidando la sorte, l’età, le logiche quotidiane dei numeri e proietta in uno spazio più onirico che verosimile una vicenda fin troppo archetipica di risveglio dell’amore: quello di un padre per la figlia, di un uomo per la donna, di un umanista per il proprio mestiere, così ineffabile, prezioso e fuori moda.

Il materiale emotivo

Si citano e si leggono Cervantes, Goethe, Proust, Schopenhauer, come fossero medicine per l’anima e per i tempi, si ribadisce che l’attualità uccide, folgora, brucia nell’istantaneità mentre la letteratura rende eterni, prolunga ed altera il tempo a disposizione ispessendone la qualità, rendendolo un fatto che lascia il segno, che matura con noi, che esiste e r-esiste alle disfatte.

L’umanesimo letterario, teatrale e cinematografico diventa grammatica dialogica, spaziale e tematica della vicenda, parametro di interpretazione dei rapporti, mezzo per procurare speranze quando è difficile vederne l’ombra, stile di vita che incornicia i volti in determinati ruoli, il cavaliere oppresso, la dama amata, la principessa triste.

Il materiale emotivo

Il teatro si intrufola nei linguaggi del cinema ed il cinema si appoggia all’illusione del teatro: così Yolande è una professionista del palco, inscena un monologo di rabbia e passione in strada, tra la folla che virtuosamente la schiva come se fosse un musical drammaturgico, per dare traccia del proprio materiale emotivo, offrirlo a Vincenzo come grimaldello per far risvegliare il suo.

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Vincenzo, a sua volta, legge alla figlia ogni sera pagine di Dostoevskij o di Calvino, o di altro celebre autore, per regalarle quel mondo che la ragazza rifiuta, allontana, con sdegno ironico, arrabbiato e sofferente, celando in sé il segreto che mette distanza tra lei, il padre, la madre che li ha abbandonati anni addietro, la felicità degli altri che non è mai la sua: emerge così un malessere cicatrizzato sulle reciproche spalle.

Il materiale emotivo
Un dragon en forme de nuage

Tutto il film si apre e si chiude con un sipario, oltre cui si scopre una Parigi targata Cinecittà come fosse limbo ameno ed interdetto, per nulla verosimile e molto fiabesco, in cui circola odore d’ingenuità e di artefazione. Nell’angolo di quartiere ricostruito si prova ad attraversare un viaggio introspettivo e catartico nelle schermaglie amorose ed un po’ forzate di Vincenzo e Yolande, nelle scene di immaginazione, di parole e di sguardi tra Albertine e il padre, nel via vai bonario, a tratti felliniano (il volto di Sandra Milo su tutti) con cui si affollano cronicamente il dentro ed il fuori del negozio e che si indovina profetico, taumaturgico e sempre ben disposto.

Il materiale emotivo – cast

Tra colori studiatissimi da cartolina che vuol piacere, il rispetto dell’ambientazione scelta da Scola ossia la capitale francese, toni di luce che non temono varietà cromatiche, il materiale emotivo gioca con i suoi personaggi muovendoli come pedine in una scacchiera sentimentale, dal disegno più grande: ciascuno rappresenta invece di vivere, indica verbalmente o fisicamente, agisce poco e dice, collega, introduce, trasportato non tanto dalle necessità della situazione quanto da un afflato poetico non proprio originale, che può stancare, ripetersi fiaccamente, innamorarsi di se stesso e immergersi in digressioni che nella volontà di abbracciare più temi, rimangono magre e non memorabili.

Si pensi ai sogni di Albertine, che lasciano intravedere il mare in tempesta dietro la calma provocante e ferita della giovane, momenti interessanti ma poco sfruttati, chiusi anch’essi nello stesso mutismo che offende la ragazza, nell’acquario che lei si è scelta come posizione privilegiata da cui guardare, giudicare e farsi mancare il mondo. Castellitto dal canto suo si muove meglio che può tra gli anfratti scomodi di una sceneggiatura poco organica, che non ama i passaggi e le trascolorazioni, che estremizza e tende poi a ricucire.

Se è poi la storia di un padre e di una figlia che devono ritrovarsi emotivamente, o di un uomo che ha bisogno di rintracciare viscere ed ispirazione fuori dalla pagina scritta, si avrebbe bisogno di altro respiro per far quadrare le cose: un’orbita espressamente favolistica non ce la fa a confortare tutto il dispiacere profondo che i protagonisti vogliono esorcizzare.

Il materiale emotivo

La presenza delle Bejio, è un sogno a-funzionale, disordinante e alla lunga inefficace: pur generosa e disponibile, è troppo ingombrante e non disciplinata; stanca e disaffeziona in assenza di testo necessitato e non cronicamente impulsivo da portare avanti; della De Angelis, più magnetica e fuori clichè, avremmo voluto invece sapere di più, di lei e del suo enigma di odio ed amore.

Il materiale emotivo mantiene nonostante i propri limiti una dolcezza d’antàn che si fa volere bene, ma si perde nel fuoco incrociato di “letterarismi” improvvisi, di qualche topos troppo insistito e di una sensazione finale di non-arrivo: la extra-ordinarietà deve essere rigorosa per funzionare, altrimenti la fiducia prestata, se non si ritira, quantomeno si accorcia.

Il materiale emotivo – trailer

PANORAMICA RECENSIONE

Regia
Soggetto e Sceneggiatura
Interpretazioni
Emozioni

SOMMARIO

Vincenzo libraio in una Parigi di cartapesta vive con la figlia Albertine muta per scelta dopo un misterioso incidente che l'ha costretta sulla sedia a rotelle. L'attrice Yolande entra nelle loro vite e ne rimescola il materiale emotivo. Dall'ultimo soggetto di Scola, una commedia sentimentale, teatralmente concepita, volutamente artefatta, a tratti enfatica, a tratti non approfondita, dove la rappresentazione cercata e la letterarietà annacquano un messaggio stanco e non proprio originale.
Pyndaro
Pyndaro
Cosa so fare: osservare, immaginare, collegare, girare l’angolo  Cosa non so fare: smettere di scrivere  Cosa mangio: interpunzioni e tutta l’arte in genere  Cosa amo: i quadri che non cerchiano, e viceversa.  Cosa penso: il cinema gioca con le immagini; io con le parole. Dovevamo incontrarci prima o poi.

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