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Il collezionista di carte – la recensione del film di Paul Schrader

Il collezionista di carte – in lingua originale, The card counter – è l’ultimo lungometraggio scritto e diretto da Paul Schrader, storicamente considerato una delle più grandi menti registiche e autoriali della Nuova Hollywood, il movimento di rinnovamento cinematografico che ha segnato gli anni Settanta e Ottanta del secolo scorso. Il film, di natura prettamente drammatica ma con qualche venatura pertinente alla sfera del thriller, dura 112 minuti. Come per molti altri progetti venutisi a creare in epoca di pandemia, per questa pellicola si può parlare a ragion veduta di una vera e propria odissea produttiva, amplificata dalle risentite – e in seguito ampiamente discusse e criticate – dichiarazioni effettuate dal regista a proposito dei produttori. Tale nube mediatica, tuttavia, ha contribuito ad aumentare l’attesa nei confronti del film, che è stato presentato in anteprima alla 78a Mostra internazionale d’arte cinematografica di Venezia, lo scorso settembre.

Il collezionista di carte

La trama del film

William Tell (Oscar Isaac) è un ex carceriere (e ex carcerato) cupo e misterioso. Non ama parlare di sé, è riservato e rifugge sempre le domande sul proprio passato. Dopo otto anni di prigionia, nel corso di cui si è dilettato nel conteggio delle carte, ha deciso di rivendersi come giocatore di poker. Il suo presente, dunque, segue il corso dei suoi spostamenti, di casinò in casinò e di sala da gioco in sala da gioco. Durante il suo vagare William fa la conoscenza dell’ammaliante La Linda (una Tiffany Haddish piacevolmente against the type), il cui impegno professionale è volto a mettere in contatto giocatori e finanziatori. L’uomo rifiuta le offerte della donna, intenzionato a muoversi nell’ombra e per il solo piacere di giocare, ma resta comunque affascinato da lei.

Un giorno, mentre presenzia al convegno di tale John Gordo (Willem Dafoe), un infervorato ex maggiore dell’esercito che insegna tecniche d’interrogatorio, William conosce un giovane chiamato Cirk (Tye Sheridan). Il ragazzo, figlio di un carceriere che in passato il protagonista aveva conosciuto, gli spiega come le loro vite siano intrinsecamente intrecciate e lo mette a parte di un suo oscuro piano. William sceglierà allora di accogliere Cirk sotto la sua protezione, monitorandolo e dissuadendolo dal commettere gesti efferati di cui potrebbe pentirsi. Al contempo, però, William dovrà fare i conti con il tavolo da gioco, con il proprio nebbioso passato e con la sua rinnovata emotività, rinvigorita dalla frequentazione con La Linda.

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Il collezionista di carte tra atmosfera e sceneggiatura

Grazie alle indiscutibili doti autoriali di Schrader, la pellicola nella sua interezza è permeata da un senso di stasi sospetta, di tensione. Questo del disastro in potenza è un fil rouge che unisce in modo compatto le opere del regista, tanto quanto lo è il dispiegarsi sullo schermo di personalità gravosamente solitarie. Nel caso di Il collezionista di carte, la solitudine del protagonista rasenta in più occasioni l’alienazione: sintomatico di questa condizione è l’uso dello stratagemma narrativo del voice-over, che punteggia il lungometraggio.

Non è la prima volta, nelle sceneggiature di Schrader, che tale espediente tecnico rivela la natura pericolosamente borderline del protagonista. Altrettanto accadeva, infatti, nell’iconico Taxi driver, da lui scritto ma diretto dal leggendario Martin Scorsese. Altro indice della dubbia natura emotiva del protagonista è lo stratagemma narrativo del diario, in cui William annota i suoi pensieri e le sue ricerche. Anche questa non è una new entry nel modus operandi dell’autore, che aveva impiegato lo stesso artificio per testimoniare la profonda crisi interiore di Toller, protagonista del suo First reformed (qui la recensione del film).

Il collezionista di carte

L’analisi dei personaggi in Il collezionista di carte

Il protagonista di Il collezionista di carte, William, è inequivocabilmente schiacciato dal peso della propria dubbia morale. Come spesso accade nei film del regista, infatti, il protagonista è costretto a fare i conti con il proprio senso etico (o con la sua assenza), che ha segnato il suo passato ricadendo sul presente. Tale è il dilemma morale di William, che quest’ultimo ne riporta i segni sulla propria pelle – si veda, ad esempio, il tatuaggio sulla schiena che recita “I trust my life to providence, I trust my soul to grace” (“affido la mia vita alla provvidenza, affido la mia anima alla grazia”). Gli ideali di William lo spingono verso il divino, la provvidenza, la fede; le sue azioni passate, tuttavia, infangano le sue intenzioni trascinandolo verso la tenebra.

Altrettanto evidente risulta l’imperturbabilità del protagonista, tanto dilagante da sfociare nell’asepsi forzata degli spazi che occupa (le camere dei motel, che “personalizza” in modo del tutto peculiare). Con un magistrale movimento di macchina, a chiusura del film, il regista rivela al suo pubblico che, però, William è tanto asettico quanto lo è Gordo, la sua nemesi. Il finale della pellicola pone protagonista e antagonista sullo stesso piano, dimostrando la fallibilità (o quantomeno, la relatività) di concetti come “buono” e “cattivo”, che solitamente la narrazione tende ad apporre rispettivamente all’eroe della storia e alla sua nemesi. In Il collezionista di carte, il buono e il cattivo in passato si sono macchiati delle stesse nefandezze, tanto che a visione ultimata sorge spontaneo chiedersi se le intenzioni e i ripensamenti siano sufficienti a determinare la redenzione dell’individuo.

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Una breve nota a margine è necessaria per l’unico personaggio femminile del lungometraggio: quello di La Linda, interpretato da Tiffany Haddish. Quest’ultima viene inserita nella narrazione, volendo sublimare gli scopi autoriali, in funzione della redenzione emotiva del protagonista. In concreto, tuttavia, è lecito affermare che La Linda compaia al solo scopo di integrare lo storyline romantico nella pellicola. La potenziale complessità del personaggio, la sua tridimensionalità, viene perciò inevitabilmente svilita, poiché La Linda nel film agisce unicamente in funzione del protagonista maschile – è lecito supporre che Il collezionista di carte non riuscirebbe a superare il famigerato test di Bechdel. In questo senso, Schrader spreca le potenzialità di un personaggio a tutto tondo. Forse, auspicabilmente suo malgrado, il regista è ancora portatore di una visione filmica, quella hollywoodiana del Novecento da cui proviene, prettamente maschile (per non dire maschilista), in cui i ruoli di rilievo vengono affidati esclusivamente ai soggetti maschili.

Il collezionista di carte

La tecnica in Il collezionista di carte

Ampiamente apprezzabili e degni di lode sono gli aspetti prettamente tecnici del film. La macchina da presa racchiude nelle proprie inquadrature campi di forze in tensione, l’equilibrio compositivo cela al proprio interno il seme della distruzione in potenza, come solitamente accade nelle pellicole del regista. Tuttavia, Schrader si concede anche spazio per lo sperimentalismo registico, che si riversa nelle scene del passato del protagonista, dove abbondano anamorfosi, presunto found footage e riprese in stile documentaristico. Il lavoro della regia è coadiuvato da quello della fotografia, curata da Alexander Dynan. La fotografia ha infatti modo di spaziare tra due estremi diametralmente opposti tra loro: la palette nuda e neutra delle scene della prigionia di William (che rasentano il bianco e nero) e gli sfavillanti colori neon e giochi di luce dei casinò.

Peraltro, è proprio nelle scene dei casinò, e più di preciso in quelle ai tavoli da gioco, che trova anche la sua massima espressione il montaggio in Il collezionista di carte, con tagli serrati sui partecipanti al gioco, sulle carte e sul contesto circostante, che comportano una dilatazione del tempo narrativo e quindi un crescendo del senso d’attesa, che ben si coniuga con la tensione dei giochi d’azzardo. Grazie ad una troupe di tutto rispetto e, soprattutto, ad un cast pressoché ineccepibile, Paul Schrader porta a compimento la sua ultima opera. Forse non la migliore della sua carriera, ma indubbiamente un ottimo prodotto filmico, ben scritto, recitato e realizzato, capace di lasciare il segno negli spettatori.

PANORAMICA RECENSIONE

regia
soggetto e sceneggiatura
interpretazioni
emozioni

SOMMARIO

Il collezionista di carte è l’ultimo film di Paul Schrader, grande maestro della tradizione della nuova Holluwood. La pellicola, presentata in anteprima al 78o Festival di Venezia, è un dramma intriso di toni thriller, in cui il passato oscuro dell’enigmatico protagonista, un giocatore d’azzardo interpretato dal mirabile Oscar Isaac, si riversa sul suo presente, comportando conseguenze deflagranti per sé e per i suoi compagni di viaggio.
Eleonora Noto
Eleonora Noto
Laureata in DAMS, sono appassionata di tutte le arti ma del cinema in particolare. Mi piace giocare con le parole e studiare le sceneggiature, ogni tanto provo a scriverle. Impazzisco per le produzioni hollywoodiane di qualsiasi decennio, ma amo anche un buon thriller o il cinema d’autore.

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