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I used to be funny – Recensione dell’esordio di Ally Pankiw

La regista canadese Ally Pankiw, classe 1986, si avvicina alla regia grazie al mondo del videoclip musicale, realizzandone di svariati per artisti suoi connazionali (su tutti, la band Muna) e internazionali (Janelle Monáe). Afferma così il suo nome in cabina di regia riuscendo ad approdare all’ambito televisivo. Dirige dunque puntate di prodotti gradualmente più noti, e passando per Feel good e The great arriva alla regia dellampiamente discusso episodio di Black mirror intitolato Joan is awful. Contemporaneamente, si dedica al suo primo progetto cinematografico, di cui cura anche la sceneggiatura. Nel marzo 2023 viene così presentato in anteprima mondiale al South by Southwest il suo I used to be funny, lungometraggio d’esordio  della durata di 106 minuti. Il film, con protagonista Rachel Sennott, sta venendo distribuito nel corso di questo giugno nelle sale internazionali. 

La trama del film

Quando la conosciamo, Sam (Rachel Sennott), protagonista di I used to be funny, sembra schiacciata da una depressione che pesa su di lei impedendole di vivere la quotidianità che conosce. Si barrica in casa, non frequenta più il mondo esterno e non calca più i palcoscenici su cui fino a poco prima si esibiva nei suoi monologhi di stand-up comedy. Dipende in toto dai suoi coinquilini Paige e Philip (Sabrina Jalees e Caleb Hearon), che si preoccupano inevitabilmente per lei, e grava su di loro relativamente alla sua quota d’affitto, che non riesce a pagare avendo perso il lavoro. Deve concentrarsi e impegnarsi con tutte le sue forze nel compiere azioni elementari come farsi una doccia o mangiare. Quando sente la notizia di una giovane di nome Brooke (Olga Petsa) dispersa da giorni la situazione precipita ulteriormente

I used to be funny

Tornando indietro di qualche mese nella sua esperienza, scopriamo che oltre a farsi un nome nella stand-up Sam lavorava come tata della quattordicenne Brooke. La ragazza, con madre affetta da malattia terminale e padre assente per impegni di lavoro, è inizialmente reticente all’accudimento di Sam. Quando però inizia a vedere la figura della tata non come una balia imposta ma come una confidente poco più grande di lei, le due diventano pressoché inseparabili. Nonostante il carattere turbolento e a tratti disturbato della ragazza, anche Sam si affeziona in breve a lei. Proprio quando la protagonista meno se lo aspetta, però, una sua stessa battuta viene usata contro di lei determinando il verificarsi di un’esperienza traumatica da cui sarà per Sam quasi impossibile riprendersi. Quest’evento segna un prima e un dopo sia nella sua vita che nel rapporto con Brooke, che sembra ormai irrecuperabile. 

I used to be funny – Un’opera prima che si colloca sulla difficile intersezione fra dramma e commedia

Ally Pankiw arriva al lungometraggio, e lo fa scegliendo di non passare per nessuna scorciatoia, evitando qualsiasi via preferenziale o facilitata. Il percorso che sceglie è quello, spinoso, della contaminazione fra dramma e commedia. Il primo si lega all’esperienza traumatica vissuta dalla protagonista, la seconda alla natura ironica della protagonista stessa e alla sua “deformazione professionaleda standup comedian. Quest’ultima però, oltre ad essere inevitabilmente incoraggiata dalla professione di Sam che già detta di per sé un certo numero di derive comiche narrative e della protagonista, passa anche attraverso alle interazioni fra lei e gli altri personaggi. La si ritrova con forza, ad esempio, nella giocosità – quantomeno iniziale – di Sam con i suoi coinquilini e amici, che come lei a quella sfera appartengono. La vediamo manifestarsi nelle battute sferzanti e sdrammatizzanti della nostra eroina, sia sopra al palco che al di fuori di esso. 

I used to be funny

Prendono, le battute di Sam (battute intese non solo come jokes ma più genericamente come linee di dialogo), la forma di unironia pungente, la manifestazione di quella stessa observational comedy a cui la stessa Sam in I used to be funny dice di rifarsi. Per contro, la linea drammatica ci piove addosso sin dal principio, ma le ragioni che l’hanno provocata ci arrivano gradualmente, prendono campo minuto dopo minuto. Quando abbiamo modo di intuire la portata e lo spessore della drammaticità è già troppo tardi, siamo ormai immersi nel suo buio avvolgente, totalizzante. Lo stesso buio che ha scatenato in Sam una depressione persistente, che le ha tolto tutto. Il motivo lo capiremo con certezza solo sul finale, ma gli indizi che ce ne lasciano intuire la natura e l’entità si dipanano nel corso dell’intero minutaggio, facendosi sempre più frequenti e chiari. 

I used to be funny – Nuove sfumature performative per una già apprezzatissima Rachel Sennott 

Quando questa vena inizia ad acquisire un perché, il pathos si fa crescente e la drammaticità si fa così piena che, nella sua ultima porzione, i toni di I used to be funny sembrano quasi quelli di un thriller. Ad essere risolta e svelata però, in questo caso, non è una corsa contro il tempo né una figura enigmatica, ma la natura del trauma vissuto dal protagonista. Natura che già sub-odoriamo, ma di cui temiamo di avere conferma. Questa vena così oscura offre alla protagonista Rachel Sennott – già attrice feticcio di Emma Seligman, e indubbio punto di forza di questo filmla possibilità di mettere in mostra un nuovo, sferzante e sorprendentemente calibrato range interpretativo drammatico. Un timbro che avevamo velatamente avuto modo di scorgere nel suo exploit in Shiva baby, che l’ha portata all’attenzione del pubblico, ma che era totalmente assente nel successivo Bottoms, indubbiamente più giocoso. 

Certamente, come spesso accade per gli esordi, certi aspetti del lungometraggio sarebbero rivedibili. Alcune incongruenze e illogicità nella scrittura, ad esempio, che rischiano di incrinare a più riprese la sospensione dell’incredulità su cui poggia l’esperienza filmica. O la temporalità narrativa a singhiozzo fra flashback e ritorno al presente, che sì garantisce l’effetto sorpresa nello svelamento del trauma posto in posizione di climax ma che, in questo caso, rende quasi inutilmente faticosa la fruizione. Apprezzabili tuttavia il coraggio in termini di tono e la scelta di un cast capitanato da una protagonista sorprendente e intensa. Così, I used to be funny si delinea come un’opera prima forse a tratti ingenua, ma sicuramente ambiziosa nel suo piccolo, E, con questo esordio, Ally Pankiw si configura come una nuova pedina da tenere d’occhio nel grande campo da gioco del cinema contemporaneo. 

PANORAMICA

Regia
Soggetto e sceneggiatura
Interpretazioni
Emozioni

SOMMARIO

In I used to be funny oltre all'interpretazione di una squisita attrice protagonista si condensano il dramma, la commedia e il thriller, che al netto di alcune illogicità narrative e situazionali rivelano una scrittura studiata e una regia delicata da parte dell'esordiente Ally Pankiw.
Eleonora Noto
Eleonora Noto
Laureata in DAMS, sono appassionata di tutte le arti ma del cinema in particolare. Mi piace giocare con le parole e studiare le sceneggiature, ogni tanto provo a scriverle. Impazzisco per le produzioni hollywoodiane di qualsiasi decennio, ma amo anche un buon thriller o il cinema d’autore.

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